Tumore del seno: l’80% delle pazienti è vivo a 10 anni dalla diagnosi ma il 31% delle italiane non conosce l’autopalpazione

Un sondaggio su più di 1.650 donne presentato in un convegno nazionale al Ministero della Salute

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Roma, 4 ottobre 2017 – È necessario migliorare tra le italiane la conoscenza delle regole della prevenzione del tumore del seno. Il 48% delle donne nel nostro Paese ritiene che questa neoplasia non sia guaribile e il 35% non sa che è prevenibile. Ancora un 31% ignora cosa sia l’autopalpazione del seno e solo il 47% di chi conosce questo esame lo esegue regolarmente. Sono i principali risultati del sondaggio condotto dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) su 1.657 donne per fotografare il loro livello di conoscenza su questa malattia. Il questionario, presentato oggi in un convegno nazionale all’Auditorium del Ministero della Salute, è parte di un progetto più ampio di informazione e sensibilizzazione sulla patologia che include anche due opuscoli (per pazienti e cittadini). Nel 2017 in Italia sono stimati 50.500 nuovi casi. “È la neoplasia più frequente in tutte le fasce d’età – afferma il prof. Carmine Pinto, presidente nazionale AIOM -. A dimostrazione del livello globalmente raggiunto dal Sistema Sanitario Nazionale, la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi nel nostro Paese raggiunge l’87% ed è più alta sia della media europea (82%) sia dei livelli registrati nei Paesi Scandinavi (85%) e in Irlanda e Regno Unito (79%).  E a 10 anni l’80% delle pazienti italiane è vivo. La prevenzione primaria, basata cioè sugli stili di vita sani (no al fumo, dieta corretta e attività fisica costante), e secondaria (adesione ai programmi di screening mammografico) sono le armi principali per sconfiggere questa neoplasia. Sappiamo infatti che, se si interviene ai primissimi stadi, le guarigioni superano il 90%”. Dal sondaggio emerge che il 57% delle italiane non ha adeguate informazioni sulle possibilità di trattare questo tumore anche in fase avanzata. “Oggi abbiamo a disposizione armi efficaci che ci consentono di controllare la malattia anche in questo stadio – continua il prof. Pinto -. I trattamenti in questi casi sono rappresentati dalla chemioterapia, dall’ormonoterapia e dalle terapie a bersaglio molecolare che hanno prodotto significativi miglioramenti nella sopravvivenza e nella qualità di vita. In particolare sono stati recentemente approvati in Europa farmaci di una nuova classe che intervengono nel rallentare la progressione del tumore del seno in fase metastatica, inibendo due proteine chiamate chinasi ciclina-dipendente 4 e 6 (CDK-4/6). Queste ultime, quando sono iperattivate, possono consentire alle cellule tumorali di crescere e di dividersi in modo eccessivamente rapido”. Nelle pazienti in post-menopausa gli inibitori delle cicline hanno dimostrato, in associazione alla terapia ormonale, di migliorare i risultati ottenuti con la sola terapia ormonale nel prolungare la sopravvivenza libera da progressione. “In 25 anni, dal 1989 al 2014, la mortalità per questa neoplasia è diminuita di circa il 30% – sottolinea la dott.ssa Stefania Gori, presidente eletto AIOM -. Il merito deve essere ricondotto a trattamenti sempre più efficaci e personalizzati e alle campagne di prevenzione. Un ruolo fondamentale è svolto dallo screening mammografico, il primo step è però rappresentato dall’autopalpazione, un vero e proprio esame salvavita che la donna può eseguire da sola a casa. Va effettuata ogni mese a partire dai 20 anni, meglio se nella prima o seconda settimana dalla fine del ciclo mestruale, ed eventuali anomalie devono essere subito segnalate al proprio medico di famiglia. Durante l’esame è necessario prestare attenzione a cambiamenti di forma e dimensione di uno o entrambi i seni, alla comparsa di noduli nella mammella o nella zona ascellare, a secrezioni dai capezzoli e ad alterazioni della cute del seno. Oltre alla mancata conoscenza del ruolo dell’autopalpazione, il sondaggio evidenzia un altro aspetto preoccupante: il 19% delle donne non cambierebbe il proprio stile di vita per ridurre il rischio e il 46% non sa se lo modificherebbe. È necessario continuare a promuovere campagne di sensibilizzazione proprio per agire su queste zone grigie”. Le donne che praticano regolarmente attività fisica presentano una diminuzione della possibilità di sviluppare la malattia di circa il 15-20% e questi effetti sono particolarmente evidenti in postmenopausa. Anche il controllo del peso e la dieta mediterranea hanno ricadute positive.

Nel nostro Paese vivono 766.957 donne dopo la diagnosi di tumore del seno (+26% dal 2010 al 2017). “Si tratta di un vero e proprio esercito di persone che stanno affrontando la malattia o l’hanno vinta e possono essere definite guarite – afferma l’avv. Elisabetta Iannelli, Segretario Generale FAVO (Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) -. Inoltre oggi molte donne vivono a lungo con il tumore del seno: in questi casi è possibile parlare di cronicizzazione della malattia. Per questo, fin dalla prima fase delle scelte terapeutiche, è importante considerare la qualità di vita delle pazienti. Non basta cioè aggiungere anni alla vita, siamo di fronte a un cambiamento culturale importante. E guarire oggi non può voler dire solo aver vinto la personale battaglia contro la malattia. Alla multidimensionalità della condizione di salute corrisponde la complessità della guarigione. Si è guariti quando è ristabilita la piena interazione della persona nel contesto sociale, quando vengono ripristinate le condizioni di vita presenti prima dell’insorgenza della malattia e se vi è il recupero della condizione di benessere fisico, psichico e sociale. Un’indagine condotta dalla FAVO e dalla Fondazione Censis ha evidenziato che per le donne colpite da tumore del seno la ripresa delle normali attività quotidiane ha richiesto in media più di otto mesi, con uno strascico rilevante di criticità (ad esempio disturbi del sonno e alimentari, preoccupazioni per il proprio aspetto fisico). Aspetti spesso sottovalutati ma con una ricaduta importante sulla stessa efficacia delle cure”.

SENOLOGIA: FAVO, SENONETWORK, EUROPADONNA ITALIA E TOSCANA DONNA RICEVUTI AL MINISTERO DELLA SALUTE

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Roma, 8 settembre 2016 – Si è svolto ieri, presso il Ministero della Salute, un incontro tra l’Ufficio di Gabinetto del Ministro e una delegazione composta da Elisabetta Iannelli, Segretario Generale di FAVO (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia), Laura Del Campo, Direttore di FAVO, Luigi Cataliotti, Presidente Senonetwork Italia e Pinuccia Musumeci, presidente Toscana Donna e rappresentante di Europa Donna Italia. L’incontro, a cui ha anche partecipato il Direttore generale della comunicazione e dei rapporti europei e internazionali, Dr.ssa Daniela Rodorigo, si è svolto in un clima di cordialità e collaborazione ed ha rappresentato l’occasione per discutere il tema dell’avvio dei Centri di Senologia multidisciplinare (Breast Unit) su tutto il territorio italiano, con ricadute di rilevante importanza per le donne cui è stato diagnosticato un tumore al seno. In particolare sono stati approfonditi gli aspetti relativi:
1. al numero di Breast Unit attualmente operative rispetto ai centri potenzialmente attivabili in Italia secondo i criteri dettati dalla normativa Europea;
2. ai lavori della Commissione Ministeriale delegata a facilitare e verificare l’adozione, da parte delle regioni, delle linee guida sulla rete dei centri di senologia di cui all’intesa Stato-Regioni del 18 dicembre 2014;
3. all’applicazione delle linee guida condivise sui percorsi relativi a diagnosi, trattamento e riabilitazione psicofisica delle donne malate di cancro al seno; multidisciplinarietà del team e specializzazione in campo senologico; presenza di breast nurse con compiti non solo assistenziali ma anche gestionali e di rilevazione dei bisogni assistenziali delle donne malate; utilizzo di database per la raccolta dei dati ai fini di ricerca;
4. all’avvio dei Centri di Senologia da parte delle Regioni, anche alla luce di quanto previsto nel DM 70 del 2015;
5. alla partecipazione attiva dei rappresentanti del volontariato oncologico nei Centri di Senologia;
6. al counseling e assistenza per assicurare la preservazione della fertilità nelle giovani donne malate di cancro prima dell’inizio dei trattamenti anti-tumorali.

Il Ministero della Salute ha assicurato il più ampio impegno nell’affrontare prontamente le tematiche segnalate dalle organizzazioni presenti all’incontro, anche in considerazione dei termini fissati dalla Comunità Europea per l’attivazione dei Centri di Senologia su tutto il territorio italiano. FAVO, Senonetwork Italia, Toscana Donna e Europa Donna Italia plaudono all’apertura del Ministero, confermando la propria disponibilità a collaborare in modo concreto affinché tutti i Centri di Senologia possano essere attivati nei modi e tempi previsti dalla normativa europea e nazionale vigente

ONCOLOGI: “I LEA DEVONO PREVEDERE ANCHE LA RIABILITAZIONE ONCOLOGICA”

Favo-riabilitazione-oncologica-rientri-in-LEA-Servizio-Sanitario-640x425Roma, 28 luglio 2016 – “La riabilitazione oncologica deve essere inserita nei livelli essenziali di assistenza (LEA)”. E’ quanto sostiene l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) che si unisce alle associazioni di pazienti nel chiedere alle Istituzioni competenti di modificare il recente Decreto di aggiornamento dei LEA. “Quasi il 5% della popolazione del nostro Paese vive con una diagnosi di cancro – sottolinea il prof. Carmine Pinto Presidente Nazionale AIOM -. Ben 2 milioni di cittadini possono dire di aver sconfitto la malattia. Sono numeri importanti che evidenziano la necessità di aggiornare la tipologia di assistenza che diamo ai pazienti oncologici. Non possiamo solo offrire a tutti le migliori terapie, dobbiamo garantire anche una buona qualità di vita durante e dopo le cure. Ancora troppi oneri sono a carico delle famiglie che devono spesso provvedere a proprie spese all’assistenza al parente in difficoltà. Già lo scorso anno insieme alla Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (FAVO) avevamo chiesto al Governo di riconoscere la riabilitazione oncologica nella sua specificità e non di includerla all’interno di altre tipologie riabilitative. Con rammarico constatiamo che la richiesta non è stata accolta. Il nostro auspicio – conclude Pinto – è che al più presto il decreto, recentemente approvato, venga modificato. Solo attraverso un reale aggiornamento dei LEA il servizio sanitario nazionale potrà aiutare concretamente gli oltre 3 milioni di italiani che hanno combattuto il cancro”.

MELANOMA: “OGNI ANNO COLPISCE 2.260 UNDER 40

2016-05-25-PHOTO-00000058Il melanoma, tumore della pelle particolarmente aggressivo, colpisce persone sempre più giovani. Oggi il 20% delle nuove diagnosi, circa 2.260 casi nel 2015 in Italia, riguarda pazienti di età compresa tra 15 e 39 anni. Una tendenza confermata anche dai ricoveri per questa malattia nel nostro Paese. Il maggior incremento dei tassi di ospedalizzazione in 8 anni (2001-2008) si è registrato negli over 81 (+34%), nei cittadini nella fascia di età 61–70 (+20%) e, sorprendentemente, proprio fra i 31–40enni (+17%). Le cause vanno ricondotte soprattutto a comportamenti scorretti, in particolare da bambini, perché le scottature solari gravi nell’infanzia possono aumentare il rischio. Alla “Lotta al melanoma” l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) dedica un convegno nazionale oggi al Ministero della Salute. “Parte dalla prevenzione la battaglia contro questo tumore – afferma il prof. Carmine Pinto, presidente nazionale AIOM -. Nel nostro Paese nel 2015 sono stati stimati circa 11.300 nuovi casi (erano meno di 6.000 nel 2004, 7.000 nel 2010, 11.000 nel 2014). Il melanoma è in costante crescita, infatti le diagnosi sono quasi raddoppiate in dieci anni, particolarmente fra i giovani. Troppe persone si espongono al sole senza precauzioni e i bambini rappresentano l’‘anello debole’ della catena. Un richiamo da tenere in considerazione soprattutto in questi mesi, in cui molti italiani approfittano del fine settimana per stare all’aria aperta”. “È necessario – continua il prof. Pinto – proteggersi con creme solari e indumenti adeguati quando ci si espone al sole, evitando però le ore centrali della giornata (12-16). Inoltre non si devono utilizzare le lampade abbronzanti perché sono cancerogene come il fumo di sigaretta. E ancora, basterebbe un semplice esame della pelle eseguito da uno specialista una volta all’anno per individuare questo tumore nella fase iniziale, quando le percentuali di guarigione superano il 90%”. L’informazione rappresenta la prima medicina, per questo l’AIOM realizza con La Repubblica il portale “OncoLine” su Repubblica.it (www.repubblica.it/oncologia), un progetto reso possibile grazie a un educational grant incondizionato di MSD, con news e approfondimenti che spaziano dalla prevenzione alla ricerca fino alle ultime terapie contro tutti i tipi di cancro. “Oggi abbiamo a disposizione armi efficaci per controllare il melanoma nella fase metastatica – spiega il prof. Paolo Ascierto, direttore dell’Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto ‘Pascale’ di Napoli e presidente della Fondazione Melanoma –. Questa neoplasia, per la sua particolare sensibilità all’azione del nostro sistema immunitario, ha rappresentato il candidato ideale per applicare il nuovo approccio rappresentato dall’immuno-oncologia. I farmaci immunomodulatori, che agiscono contro bersagli specifici per favorire la risposta immune, hanno infatti dimostrato di migliorare la sopravvivenza dei pazienti e in alcuni casi è possibile parlare di cronicizzazione della malattia. Un risultato impensabile prima dell’arrivo di queste terapie, visto che la sopravvivenza mediana in stadio metastatico era di appena 6 mesi, con un tasso di mortalità a un anno del 75%. In particolare pembrolizumab, un inibitore del ‘checkpoint’ immunitario PD-1, molecola coinvolta nei meccanismi che permettono al tumore di evadere il controllo del sistema immunitario, ha dimostrato di allungare in maniera significativa la sopravvivenza. Un aspetto particolare riguarda il tempo di latenza. Al contrario di quanto avviene nella chemioterapia, nell’immuno-oncologia l’iniziale progressione di malattia non va interpretata come un fallimento del trattamento. La risposta clinica può infatti essere osservata anche proseguendo la terapia, quindi in fasi tardive”.

I PAZIENTI: TROPPE LE DIFFERENZE NELL’ACCESSO ALLE TERAPIE ANTI-CANCRO

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I pazienti oncologici devono aspettare 427 giorni in Italia (contro i 364 della Francia, i 109 del Regno Unito e gli 80 della Germania) per accedere ai trattamenti innovativi con preoccupanti differenze regionali. Nel nostro Paese manca la rete della terapia del dolore e le cure domiciliari sono di fatto uscite dai livelli essenziali di assistenza (LEA) regionali, vengono infatti attivate solo per il 48,1% dei pazienti al momento delle dimissioni (per il restante 51,9% provvedono i familiari). E l’accesso a beni e servizi, come i prodotti assicurativi e bancari, è ancora oggi negato a chi ha un passato di malato. È forte la rabbia dei pazienti per l’occasione perduta della riforma costituzionale recentemente approvata. Il modello di regionalismo delineato nel nuovo Titolo V della Costituzione continua a non attribuire allo Stato l’esercizio dei poteri sostitutivi, in caso di necessità, a tutela della concreta attuazione dei LEA. La denuncia è contenuta nell’VIII Rapporto sulla condizione assistenziale dei pazienti oncologici presentato oggi al Senato nel corso della XI Giornata del malato oncologico, organizzata dalla FAVO (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia). “Il nuovo testo dell’art. 117 della Costituzione – sottolinea il prof. Francesco De Lorenzo, presidente FAVO – non consente il superamento di quell’intollerabile differenziazione tra aree del Paese nell’accesso alle terapie e all’assistenza sociale. Il ruolo di garanzia dello Stato non può limitarsi alla definizione dei LEA, ma dovrebbe comprendere anche l’uniformità e il controllo della loro erogazione. L’approvazione dell’emendamento con il quale si inserisce la possibilità di devolvere alle Regioni la potestà legislativa generale sulle politiche sociali rappresenta una sconfitta per tutti i malati”. Le differenze a livello regionale stanno peggiorando e toccano molti aspetti. Avere le terapie giuste al momento giusto è l’unica soluzione per rispondere in modo adeguato alla domanda di cure efficaci. “Ciò purtroppo non avviene a causa di ritardi dovuti all’iter autorizzativo dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) e delle Regioni – spiega il prof. De Lorenzo -. Secondo un’indagine Censis-FAVO, il 53,8% dei pazienti pensa che la messa a disposizione di terapie innovative personalizzate sia una priorità, il 78,8% ritiene che troppi farmaci per patologie gravi siano a carico dei malati e l’83% che il ticket li penalizzi. Nel 2015 sono stati stimati 363mila nuovi casi. Il costo sociale totale del tumore è pari a 36,4 miliardi di euro annui e i costi pro capite per unità, composta da paziente e relativo caregiver (convivente e non convivente), sono pari a 41,2 mila euro annui. Il sistema sanitario è in sofferenza, schiacciato dal contenimento della spesa. È anche orfano di un progetto politico che ne attualizzi gli scopi e lo renda al passo con i tempi. Il contributo del volontariato oncologico è pertanto centrale e strategico per l’elevato impatto economico e sociale della malattia, con riferimento sia alla fase acuta che alla riabilitazione, ancora oggi sorprendentemente trascurata dal Servizio sanitario nazionale”. Preoccupa inoltre la scarsa attenzione rivolta alle esigenze nutrizionali dei malati. “In una percentuale ben superiore ai due terzi dei pazienti neoplastici si riscontra una perdita del perso corporeo e il 20-30% muore per gli effetti della malnutrizione – continua Elisabetta Iannelli, segretario FAVO -. Nonostante questa evidenza, l’attenzione ai problemi della nutrizione rimane ancora insoddisfatta. Alla base di questa situazione sta la scarsa consapevolezza, da parte del medico e del paziente, che il mantenimento di uno stato nutrizionale ottimale, durante e dopo le cure oncologiche, rappresenta un presupposto imprescindibile per il successo della terapia e per la restituzione alla vita attiva. Un circolo vizioso che si può non solo contrastare, ma anche prevenire, stabilendo fin dall’inizio della cura un percorso parallelo e una sinergia tra oncologo e nutrizionista”. Per questo, le Società scientifiche di riferimento di oncologia medica e di nutrizione clinica, in collaborazione con FAVO, intendono sviluppare una serie di iniziative che spaziano dalle campagne di comunicazione a corsi di formazione per oncologi. “Inoltre ancora oggi – continua il prof. De Lorenzo -, solo nel 10% del territorio nazionale esiste una legge specifica per la Nutrizione Artificiale Domiciliare (NAD), mentre in circa il 25% non è disponibile alcun strumento normativo che garantisca il sollecito avvio di questo trattamento. I modelli organizzativi riferiti alla NAD in Italia, quando presenti, sono molteplici. Questo ricade direttamente sui pazienti, costretti ad affrontare problematiche rilevanti, che vanno dalla differenza di qualità dei prodotti e dei materiali forniti, all’assistenza clinico-infermieristica spesso non sufficiente o addirittura assente, alla totale assenza di centri di NAD. È necessario che, seppure all’interno dell’autonomia prevista per ogni singola Regione, il modello organizzativo di gestione di questo trattamento rispetti alcuni requisiti minimi, come da anni fortemente richiesto dalle Società Scientifiche del settore”.