MALATTIA VENOSA CRONICA: 5 REGOLE D’ORO PER “SALVARE” LE GAMBE IN ESTATE

Gambe gonife

 

 

 

 

 

Roma, 23 luglio 2019 – Gonfiore alle caviglie, dolore diffuso alle gambe, senso di pesantezza, formicolii, prurito: sintomi che non vanno sottovalutati perché potrebbero indicare la malattia venosa cronica, una patologia seria e in forte crescita nel nostro Paese. “Si calcola che colpisca, almeno una volta nella vita, il 60% delle italiane – afferma il dott. Demetrio Guarnaccia, Presidente Nazionale dell’Associazione Flebologica Italia (AFI) -. Si determina quando il sangue delle vene non riesce a risalire al cuore e quindi ristagna negli arti inferiori dove può provocare diversi problemi di salute. Nelle forme più gravi e avanzate porta alla formazione di ulcere venose. Si tratta di un disturbo invalidante molto doloroso e che comporta un netto peggioramento della qualità della vita. La malattia diventa più difficile da sopportare in questi giorni di grande caldo. E l’età di insorgenza si sta abbassando: addirittura troviamo ragazze con meno di 25 anni che sono in uno stadio avanzato della malattia. Oggi abbiamo a disposizione terapie farmacologiche e chirurgiche molto efficaci, ma la progressione della patologia va interrotta intervenendo il prima possibile”. Grazie alla ricerca italiana è stato messo appunto il primo cerotto a base di estratti naturali come ippocastano, meliloto, centella e Glycacid Eco, un prodotto biotecnologico di origine vegetale (Venoplant Patch). Un nuovo studio, in via di pubblicazione sulla rivista Minerva Cardioangiologica, ha dimostrato i vantaggi per le donne. “La composizione di Venoplant Patch, ci ha permesso di migliorare i segni e sintomi della malattia in maniera significativa dopo solo due mesi di trattamento – aggiunge il prof. Michele Del Guercio, Vice Presidente Nazionale del Collegio Italiano di Flebologia (CIF) -. Soprattutto i risultati più interessanti li abbiamo ottenuti nel contrasto all’edema, il gonfiore causato dall’accumulo di liquidi, sulla caviglia. La riduzione della circonferenza è stata superiore al 20%”. Va ricordato che intervenire il più precocemente possibile per interrompere la progressione della patologia è fondamentale e possibile ma che anche la sua prevenzione è attuabile intervenendo sugli stili di vita e prendendo alcuni semplici accorgimenti” conclude il prof. Guarnaccia.

Ecco le regole d’oro per prevenire e contrastare l’insorgenza della malattia venosa cronica:

1- Tenere sotto controllo il peso corporeo: i chili di troppo (e soprattutto l’obesità) sono un fattore scatenante della patologia. A causa delle cellule adipose il sangue, negli arti inferiori, viene pompato molto più lentamente

2- Praticare un po’ di sport: l’attività fisica è un vero e proprio toccasana per la salute dell’intero organismo (e anche del sistema circolatorio). Particolarmente indicati sono pilates, jogging e footing, ginnastica a corpo libero e nuoto

3- Attenzione ai tacchi alti: è preferibile utilizzare calzature comode, non troppo strette e neppure eccessivamente basse

4- Seguire un’alimentazione sana ed equilibrata: via libera a frutta e verdura fresca di stagione (contengono preziose vitamine e antiossidanti); limitare i cibi ricchi di acidi grassi saturi, sale e zucchero bianco

5- Non fumare: il tabagismo ha effetti negativi soprattutto sulle arterie. Ogni sigaretta contiene oltre 4mila sostanze nocive che entrano nel sistema cardio-circolatorio

Ecco la “Top Five” dei pediatri per promuovere buone pratiche cliniche

ScreenHunter 5151

 

 

 

 

 

 

Roma, 30 ottobre 2018 – Si tratta di cinque raccomandazioni che hanno l’obiettivo di favorire l’appropriatezza prescrittiva di esami diagnostici e di alcune terapie per la cura dei più frequenti disturbi di salute dei bimbi promuovendo il dialogo tra pediatri e famiglie. E’ un’iniziativa della Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP) e fa parte del progetto “Fare di più non significa far meglio – Choosing Wisely Italia” lanciato nel 2012 dalla rete di professionisti e cittadini “Slow Medicine”. Le raccomandazioni della FIMP sono “ufficiali” e pubblicate, oltre che nel sito di Choosing Wisely Italia, nel sito dell’Istituto Superiore Sanità (ISS) all’interno del Sistema Nazionale Linee Guida. “Siamo arrivati a queste cinque raccomandazioni attraverso un’indagine e una riflessione interna che ha coinvolto oltre 1.040 pediatri di famiglia – sottolinea il dott. Mattia Doria, segretario nazionale alle attività scientifiche ed etiche della FIMP -. Abbiamo in un primo momento individuato 16 pratiche cliniche considerate a rischio di inappropriatezza. Tra queste ne sono state selezionate cinque. Con questo nuovo documento vogliamo dare un contributo utile a limitare l’utilizzo di pratiche cliniche non confermate dalle evidenze scientifiche ma ancora diffuse sia tra i medici che tra le famiglie. La promozione delle buone pratiche clinico-assistenziali e terapeutiche, come già abbiamo fatto sul tema dell’utilizzo giudizioso degli antibiotici, rappresenta uno dei principali obiettivi di FIMP per garantire la migliore salute possibile ai bambini che seguiamo. L’Italia, infatti, è ai primi posti in Europa per numero di esami prescritti e per utilizzo di alcuni farmaci, tra cui gli antibiotici. E questo vale anche per le cure pediatriche. Si tratta di un problema importante sia da un punto di vista di salute pubblica che di politica sanitaria. Incrementare l’appropriatezza e ridurre il numero di test diagnostici e trattamenti inutili può portare, oltre che ad una migliore salute soggettiva e di comunità, anche a cospicui risparmi di risorse da reinvestire in altri settori dell’assistenza medica”.

Ecco le cinque raccomandazioni della FIMP: 

1. Non prescrivere farmaci (per aerosol e/o sistemici) in caso di Bronchiolite 
2. Non fare diagnosi di Infezione delle Vie Urinarie in base al solo esame colturale delle urine 
3. Non trattare sistematicamente una febbre, in assenza di altri sintomi. Se si decide di trattare, fare ricorso a dosaggi appropriati, evitando l’uso combinato/alternato di paracetamolo e ibuprofene 
4. Non utilizzare farmaci cortisonici per via sistemica per il trattamento della febbre 
5. Non utilizzare terapia nasale topica attraverso doccia nasale micronizzata con farmaci non specificamente autorizzati per questa via di somministrazione 

L’estate è in arrivo, ecco come scegliere la crema giusta

Le tre regole d’oro per scegliere i prodotti giusti

blur-body-care-161608

Verona, 24 maggio 2018 – Senza profumo, in confezione grande e con etichette ben leggibili. È questo l’identikit della crema solare veramente efficace per prevenire le scottature secondo gli specialisti SIDeMaST ( Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse). E va spalmata nelle quantità giuste, non meno di 40 grammi ogni ora di esposizione al sole. “Per evitare danni alla pelle vanno seguiti i criteri che derivano dall’osservazione scientifica. Le creme non sono un talismano. Proteggono la pelle dalle ustioni provocate dai raggi ultravioletti, ma non offrono alcuna prevenzione contro i tumori” avverte il professor Piergiacomo Calzavara Pinton, presidente della SIDeMaST, riunita fino a sabato nel suo 93esimo Congresso alla Fiera di Verona, presieduto dal professor Giampiero Girolomoni, ordinario di Dermatologia e Venereologia all’Università di Verona. “L’unica vera prevenzione contro i tumori è limitare l’esposizione al sole – osserva Calzavara Pinton -. Pensare che la crema offra una garanzia totale dai raggi ultravioletti è una falsa sicurezza: andrebbe utilizzata solo per proteggere la pelle quando si praticano delle attività all’aria aperta. Diversamente, è meglio restare all’ombra”. Questa falsa sicurezza, unita a un utilizzo spesso improprio e scorretto delle protezioni, negli ultimi anni ha creato una situazione paradossale: sebbene la gente utilizzi sempre di più le creme solari, i tumori della pelle sono in costante aumento”.

Oncologia di precisione: un’arma efficace contro i tumori

pexels-photo-256262

Torino, 5 febbraio 2018 – Oggi sei persone su dieci sopravvivono al cancro e, quando non si arriva a guarigione, in molti casi è possibile convivere a lungo termine con la malattia con una buona qualità di vita. Il merito va attribuito ai progressi nella diagnosi precoce, alle campagne di prevenzione e all’innovazione nella ricerca contro i tumori. Proprio l’oncologia rappresenta l’area terapeutica in cui si concentrano maggiormente gli sforzi della ricerca farmaceutica: basti pensare che su oltre 7.000 molecole in sviluppo clinico, più di 1.800 appartengono all’area oncologica. “Alle sfide ed opportunità nel mercato farmaceutico nel prossimo triennio” è dedicato il convegno che svolge oggi a Torino. “La nuova frontiera nel trattamento del cancro è rappresentata dall’oncologia di precisione – spiega il prof. Giorgio Scagliotti, Direttore Oncologia Medica all’Università di Torino –. La prima ‘ondata’ è stata costituita dalle terapie a bersaglio molecolare che hanno cambiato l’aspettativa di vita in diverse neoplasie solide e in un considerevole numero di quelle ematologiche, ma che hanno anche mostrato limiti in termini di acquisizione di resistenza. Ad esempio nel tumore del polmone questi trattamenti riescono a controllare la malattia per un lungo periodo di tempo, però sono efficaci solo nei pazienti che presentano specifiche mutazioni genetiche: sono una minoranza, pari a circa il 15%, soprattutto non fumatori. La seconda ‘ondata’ dell’oncologia di precisione ha preso forma con l’immunoterapia che progressivamente ha dimostrato efficacia in diversi tipi di tumori solidi, a partire dal melanoma fino alle neoplasie del rene e del polmone, con importanti prospettive anche in quelle della vescica, del distretto testa collo, del fegato e del colon-retto. Il concetto di medicina di precisione dovrebbe essere applicato in modo ampio a qualsiasi tipo di approccio sistemico nella terapia dei tumori solidi. Queste innovazioni implicano costi sociali rilevanti e impongono con forza il tema della sostenibilità, nell’ambito di un servizio sanitario universalistico come il nostro che offre ogni attività diagnostica e terapeutica a titolo gratuito”. Da un lato vanno considerati i costi legati allo sviluppo di una nuova molecola, che oggi sono pari a più di 2,5 miliardi di dollari, cresciuti più di 13 volte negli ultimi 40 anni (sono soprattutto le fasi di sviluppo clinico ad assorbire più del 50% dell’intero costo di sviluppo del farmaco). Dall’altro vi sono i costi sociali: nel 2015 le uscite associate ai tumori in Italia sono state pari a 18,9 miliardi di euro, di cui il 57% rappresentato da costi diretti (che includono la spesa per assistenza primaria, ambulatoriale, ospedaliera, il pronto soccorso, il follow up e i farmaci) e il restante 43% da ricondurre a perdite di produttività (legate alla mortalità, disabilità e pensionamento anticipato). Non solo. I pazienti oncologici italiani attendono in media 806 giorni, cioè 2,2 anni, per accedere a un farmaco anti-cancro innovativo. È il tempo che trascorre fra il deposito del dossier di autorizzazione e valutazione presso l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) e l’effettiva disponibilità di una nuova terapia nella prima Regione italiana. Un termine che può dilatarsi fino a tre anni (1.074 giorni) se si considera l’ultima Regione in cui il farmaco viene messo a disposizione. “La sfida è individuare il giusto equilibrio fra immediata disponibilità delle terapie anti-cancro innovative e sostenibilità del sistema sanitario – sottolinea il prof. Scagliotti -. Va affrontato il grave problema dei tempi di accesso a questi trattamenti nelle diverse regioni del nostro Paese. Il ridimensionamento dei prontuari terapeutici regionali potrebbe essere la via da seguire, perché l’inserimento delle nuove terapie in questi elenchi implica inevitabili e inutili tempi di attesa a danno dei pazienti. L’aumento del Fondo sanitario nazionale per garantire la sostenibilità è una ‘soluzione tampone’ che non può essere applicata a lungo termine. Va creato un tavolo di lavoro che includa i diversi attori coinvolti: agenzia regolatoria, industria, società scientifiche, accademia e pazienti. L’obiettivo è ridefinire il concetto di innovazione: non può essere considerato innovativo un farmaco reso disponibile 3 o 4 anni dopo la prima terapia commercializzata in quella specifica classe terapeutica. Bisogna ragionare in termini di costo e di efficacia delle terapie. Vanno fissate regole nuove rispetto a 10 anni fa”.