Tumori: in 10 anni in Italia meta’ dei pazienti vivi dopo la diagnosi

Giordano Beretta, Presidente AIOM: Il nostro Paese è ai vertici in Europa nell’assistenza oncologica.

IMG-20200203-WA0004

 

Milano, 3 febbraio 2020 – In dieci anni, in Italia, i pazienti vivi dopo la diagnosi di tumore sono aumentati del 53%. Erano 2 milioni e 250mila nel 2010, oggi sono 3 milioni e 460mila. Un risultato molto importante, che dimostra i passi in avanti realizzati nell’assistenza oncologica e che colloca il nostro Paese ai vertici in Europa e nel mondo. Ma si tratta di un risultato migliorabile, perché sono ancora troppe le differenze sul nostro territorio: dall’adesione e copertura degli screening ancora troppo basse al Sud, alla realizzazione delle reti oncologiche regionali a macchia di leopardo, alla disponibilità solo in alcune Regioni più virtuose di terapie efficaci e di test in grado di analizzare il profilo molecolare del tumore. È concreto il rischio di pericolose discrepanze a danno dei pazienti. Domani si celebra la Giornata Mondiale contro il Cancro, che ha l’obiettivo di evidenziare l’impegno di ognuno nella lotta contro la malattia (lo slogan di quest’anno è I am and I will). Un impegno che si traduce anche nel garantire a tutti le stesse opportunità di cura, eliminando le differenze territoriali. L’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) aderisce alla Giornata e, in una conferenza stampa oggi a Milano, lancia un appello alle Istituzioni perché venga seguito l’esempio delle Regioni più virtuose, a tutto vantaggio dei pazienti.
“Nel 2018 sono stati stimati, nel mondo, più di 18 milioni di nuovi casi di cancro, erano 12 milioni nel 2008 – spiega Giordano Beretta, Presidente Nazionale AIOM e Responsabile dell’Oncologia Medica all’Humanitas Gavazzeni di Bergamo -. La patologia è in costante crescita nel mondo per la diffusione di stili di vita scorretti, a cui si aggiungono anche fattori ambientali. La qualità del nostro Sistema Sanitario è testimoniata dalla sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi, che presenta tassi più alti rispetto alla media europea nei tumori più frequenti: 86% nella mammella (83% UE), 64% nel colon (60% UE), 16% polmone (15% UE) e 90% prostata (87% UE). E raggiungiamo questi risultati con minori investimenti: la spesa sanitaria pubblica in rapporto al PIL nel nostro Paese ha registrato un calo, passando dal 7% nel 2010 al 6,5% nel 2017, a fronte del 9,8% della media europea. Vi sono, però, ancora differenze regionali che devono essere superate, perché nessuno rimanga indietro e tutti possano accedere alle cure più efficaci indipendentemente dal luogo in cui vivono”.
Alcune Regioni come la Campania hanno segnato la strada. “A ottobre 2019, è stata la prima in Italia a fornire gratuitamente a tutti i pazienti colpiti da melanoma, un tumore della pelle, la combinazione di due molecole immunoterapiche, nivolumab e ipilimumab – afferma Paolo Ascierto, Direttore dell’Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione ‘G. Pascale’ di Napoli -. Un anno fa, la terapia era stata approvata dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), ma lasciata in fascia C, impendendone così la rimborsabilità da parte del Servizio Sanitario Nazionale. Si è creato in questo modo un grave danno per i pazienti colpiti da melanoma, soprattutto per i cittadini con metastasi cerebrali asintomatiche, circa il 40% del totale, per i quali questa combinazione ha evidenziato risultati importanti: il 70% delle persone è libero da recidiva a 2 anni, motivo per cui tale trattamento è riconosciuto come prima opzione dalle maggiori linee guida internazionali in questi pazienti. Nelle altre Regioni la terapia non è ancora rimborsata, chiediamo che le Istituzioni locali si attivino quanto prima perché i malati non possono aspettare”.
La Lombardia è stata apripista sui test genomici, stabilendone, a settembre 2019, la rimborsabilità per le donne con carcinoma della mammella in stadio iniziale (positivo ai recettori ormonali e a rischio intermedio). “È stata la prima Regione ad adottare un provvedimento di questo tipo – sottolinea Nicla La Verde, membro Direttivo nazionale AIOM e Direttore Oncologia Ospedale Sacco di Milano -. La genomica fornisce straordinarie informazioni sulla natura di alcuni tumori, in particolare nel carcinoma mammario aggiunge dati che i parametri clinici, come il diametro della massa tumorale o la sua stadiazione, non offrono. I test genomici sono in grado di predire l’aggressività della malattia in stadio iniziale e di stimare meglio il rischio di una paziente, operata di tumore al seno, di sviluppare metastasi; quindi possono aiutare a decidere se aggiungere la chemioterapia alla terapia ormonale dopo la chirurgia. Grazie al test genomico, alcune pazienti a rischio intermedio di ricaduta possono evitare la chemioterapia. Ciò può tradursi, da un lato, in un beneficio clinico per le pazienti che non vengono più esposte a un eccesso di trattamento e al relativo rischio di tossicità immediate e tardive, dall’altro in un impatto favorevole sulla spesa sanitaria, che rappresenta un elemento di importanza fondamentale con cui anche i clinici devono confrontarsi”.
Nel trattamento del tumore della mammella si stanno evidenziando preoccupanti disparità nell’accesso alle terapie. “In particolare, nelle forme che esprimono in quantità eccessiva la proteina HER2 e che rappresentano circa il 15-20% dei casi, l’ente regolatorio europeo (EMA) nel 2015 ha approvato pertuzumab, terapia a bersaglio molecolare, prima della chirurgia (trattamento neoadiuvante) – spiega Lucia Del Mastro, membro Direttivo nazionale AIOM e Responsabile Breast Unit IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova -. È dimostrato che il farmaco, somministrato insieme alla chemioterapia prima dell’intervento chirurgico, aumenta la probabilità di ottenere la risposta patologica completa, vale a dire la scomparsa del tumore invasivo sia nel seno che nei linfonodi, riducendo così le probabilità di ripresa di malattia. AIFA ha recepito l’indicazione europea, ma nel 2017 ha deciso di non rimborsare la molecola. In questo modo, si creano disuguaglianze sia rispetto agli altri Paesi europei che invece (fatta eccezione per la Francia) hanno rimborsato la molecola sia all’interno del territorio nazionale. Assistiamo a disparità inaccettabili nell’accesso alla terapia, anche all’interno di una stessa Regione, perché alcuni ospedali hanno assunto la decisione di acquistare il farmaco, invece altri, per considerazioni di budget, non l’hanno adottata. Nel momento in cui EMA approva un farmaco con una specifica indicazione, AIFA dovrebbe non solo recepire la decisione ma anche rimborsare la terapia. La situazione attuale crea difficoltà sia alle pazienti sia ai medici, che non possono seguire le linee guida internazionali che raccomandano il trattamento neoadiuvante con pertuzumab”.
Il 4 e 5 febbraio a Milano, AIOM e Fondazione AIOM organizzano un corso di formazione sulle Linee Guida destinato ai pazienti. “Le Linee Guida sono uno degli strumenti principali della medicina basata sull’evidenza – afferma Massimo Di Maio, Segretario Nazionale AIOM e Direttore dell’Oncologia dell’Ospedale Mauriziano di Torino -. Attraverso un processo sistematico e trasparente rendono possibile il trasferimento nella pratica clinica di tutte le nuove conoscenze prodotte dalla ricerca medico-scientifica. Nell’elaborazione di diverse Linee Guida AIOM hanno preso parte anche i pazienti, che oltre ai medici specialisti, sono gli ‘utilizzatori finali’ di questi documenti. Devono essere inclusi nella loro stesura, per questo organizziamo corsi di formazione per pazienti. Ma le Linee Guida non bastano. Per estendere le ‘buone pratiche’ a tutto il territorio, devono essere implementate le reti oncologiche regionali, la cui attivazione ad oggi risulta eterogenea. Le reti rappresentano il modello per garantire in tutto il nostro Paese l’accesso a diagnosi e cure appropriate e di qualità, per razionalizzare risorse, professionalità e tecnologie, e per arginare il fenomeno preoccupante delle migrazioni sanitarie”.
In Italia, nel 2019, le nuove diagnosi di cancro sono state 371mila. “Rispetto al 2018, si è registrato un calo di circa 2.000 casi, a cui ha contribuito l’efficacia dello screening del tumore del colon retto, che permette di individuare lesioni a rischio prima della loro trasformazione in neoplasia – conclude il Presidente Beretta -. L’adesione alla mammografia, nel 2017, ha raggiunto il 55% e allo screening colorettale il 41%. Vi sono notevoli differenze fra Nord e Sud che vanno ricondotte anche alla diversa copertura. Per quanto riguarda la mammografia, quest’ultima è praticamente completa nell’Italia settentrionale e centrale, al Sud invece solo 6 donne su 10 ricevono l’invito. Nello screening colorettale, al Nord e al Centro siamo vicini alla copertura completa (92% Nord, 95% Centro), il Sud invece è ancora sotto il 50%”.

 

 

 

Tumori: Aiom 37 Linee Guida a disposizione di clinici e pazienti

FA8_0029

 

 

 

 

 

Roma, 23 gennaio 2019 – Sono 37 le Linee Guida ufficiali prodotte dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) nel 2018. Si tratta di documenti elaborati con metodologia GRADE e stilati con l’impegno di oltre 500 professionisti e il coinvolgimento di 45 diverse Società Scientifiche. Solo nel 2018 sono state scaricate e consultate da oltre 500mila persone. L’obiettivo, per quest’anno, è procedere con un costante aggiornamento per perfezionare così la formazione continua degli oncologi. E, al tempo stesso, migliorare e garantire un migliore e più uniforme sistema di cure su tutto il territorio nazionale. E’ quanto emerge dal convegno nazionale organizzato da AIOM Linee Guida AIOM 2019. L’evento si svolge oggi a Roma (presso il Ministero della Salute) e vuole portare all’attenzione delle Istituzioni le modalità con cui vengono prodotte le raccomandazioni in ambito oncologico (modi, tempi, metodologia e collaborazioni). Partecipano al convegno le 45 Società Scientifiche con cui AIOM collabora da anni nella produzione di linee guida oncologiche, tra cui l’Associazione Italiana di Medicina Nucleare ed Imaging Molecolare (AIMN, Presidente Orazio Schillaci), l’Associazione Italiana di Radioterapia ed Oncologica Clinica (AIRO, Presidente Stefano Magrini), l’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (AISF, Presidente Salvatore Petta), l’Associazione Nazionale Italiana Senologi Chirurghi (ANISC, Presidente Mario Taffurelli), l’Associazione Urologi Italiani (AURO, Presidente Roberta Gunelli), la Società Italiana di Anatomia patologica e di Citologia Diagnostica (SIAPEC, Presidente Mauro Truini), la Società Italiana di Chirurgia Oncologica (SICO, Presidente Domenico D’Ugo), la Società Italiana di Ematologia (SIE, Presidente Paolo Corradini), la Società Italiana di Radiologia medica e Interventistica (SIRM, Past president Carmelo Privitera), la Società Italiana di Urologia (SIU, Presidente Salvatore Voce) e la Società Italiana di Urologia Oncologica (SIUrO, Segretario e Tesoriere Giario Conti).
“Le Linee Guida sono uno degli strumenti principali che rappresentano la medicina basata sull’evidenza – spiega Stefania Gori, Presidente nazionale AIOM -. Attraverso un processo sistematico e trasparente rendono possibile il trasferimento nella pratica clinica di tutte le nuove conoscenze prodotte dalla ricerca medico-scientifica. Attualmente le patologie oncologiche sono la seconda causa di decesso nel nostro Paese e ogni giorno sono diagnosticati 1.000 nuovi casi di cancro. Diventa quindi fondamentale, per gli specialisti, avere a disposizione strumenti che favoriscono anche l’appropriatezza prescrittiva dei trattamenti e degli esami diagnostici e strumentali. Gli ultimi provvedimenti legislativi, tra cui la Legge Biondi-Gelli del 2017, hanno rafforzato enormemente il ruolo delle Società Scientifiche nella produzione di Linee Guida. Anche per questo motivo, AIOM ha continuato a lavorare in questo importante progetto che rappresenta uno dei due obiettivi principali della società scientifica. Esistono tuttavia aspetti che vogliamo perfezionare, migliorando sempre più la collaborazione con altre associazioni di specialisti così da ottenere raccomandazioni sempre più condivise e multidisciplinari”.
Nella elaborazione di sei Linee Guida AIOM 2018 hanno preso parte anche i pazienti. “Oltre ai medici specialisti, i malati di cancro sono gli ‘utilizzatori finali’ delle Linee Guida – aggiunge Fabrizio Nicolis, presidente di Fondazione AIOM -. Il coinvolgimento dei pazienti viene suggerito anche dalle Istituzioni sanitarie. Questi pazienti devono essere tuttavia formati adeguatamente e, per questo motivo, Fondazione AIOM, in collaborazione con AIOM, da tre anni ha avviato corsi di formazione specifici”. Fondazione AIOM infatti è da molti anni impegnata per aumentare l’interazione e un dialogo costruttivo fra oncologi e pazienti.

Tumore del pancreas: a Brescia la prima app per i pazienti

2018-03-06-PHOTO-00000070

 

 

 

 

Brescia, 6 marzo 2018 – VisioMedic e una guida per il paziente colpito da tumore del pancreas e l’obiettivo è aiutare chi si appresta a sottoporsi ad un complesso intervento chirurgico, spiegando nel dettaglio tutte le fasi, da prima del ricovero fino al ritorno a casa. E’ la prima app messa a punto per la Fondazione Poliambulanza di Brescia, polo ospedaliero di riferimento in Italia, dove vengono eseguite più di 50 resezioni pancreatiche l’anno. Grazie ad un avatar, Arianna, l’applicazione accompagna virtualmente il paziente e i suoi familiari attraverso tutte le fasi dell’intervento, fornendo informazioni sulla preparazione, sulla struttura ospedaliera, sull’operazione vera e propria e sulla gestione della vita quotidiana dopo la dimissione. Anima del progetto sono il dottor Edoardo Rosso, direttore del Dipartimento di Chirurgia Generale e specialistica di chirurgia del pancreas e del fegato e il dottor Marco Garatti, responsabile dell’unità specialistica di chirurgia epatobiliopancreatica. “Abbiamo voluto fortemente questa app per il nostro ospedale – spiega il dottor Rosso – dobbiamo informare i pazienti e le loro famiglie non solo sulle più moderne tecniche chirurgiche, ma anche sul periodo precedente il ricovero e successivo all’intervento”.  “Un aiuto concreto per una neoplasia che nell’ultimo decennio, è cresciuta in modo vertiginoso: i casi di tumore al pancreas sono più che raddoppiati, passando da 144.859 del 2008 a circa 365.000 nel 2017 – sottolinea il dottor Alberto Zaniboni, direttore dell’Oncologia medica della Poliambulanza -. Un aumento preoccupante che non ha risparmiato l’Italia dove, nel giro di quindici anni, i casi sono aumentati del 59%: nel 2002 erano 8.602, nel 2017 sono stati 13.700. Avanti di questo passo, secondo le stime, nel 2020 nel mondo si conteranno 418.000 malati di tumore al pancreas”. Fumo, obesità, vita sedentaria ed età rappresentano i principali fattori di rischio di una neoplasia che, a livello globale, conta oggi circa 1.000 nuove diagnosi al giorno. Diagnosi che sconvolge il malato e la sua famiglia, disorientati di fronte a una patologia così importante e complessa. Proprio per questo la app rappresenta un concreto modo di venire incontro ai dubbi, paure, ansia, proponendo consigli pratici e spiegazioni comprensibili da tutti.  “Per la prima volta in Italia mettiamo a disposizione questa applicazione – sottolinea il dottor Alessandro Signorini, direttore generale di Poliambulanza – che rientra nel processo di digitalizzazione del percorso di cura e rivoluziona il rapporto fra paziente e struttura ospedaliera che Poliambulanza sviluppa da diversi anni in una logica Smart Hospital”.VisioMedic è scaricabile gratuitamente da Apple Store per i dispositivi iOS e da Google Play per gli utenti di Android, ed è accessibile al pubblico tramite username e password. Dopo aver eseguito l’autenticazione, è sufficiente muovere il device sopra la brochure fornita dalla struttura ospedaliera per attivare sia video e informazioni pratiche, ad esempio sulla dieta raccomandata e sui dettagli logistici, sia approfondimenti più complessi, relativi ad esempio alle funzionalità pancreatiche e ai dettagli dell’intervento vero e proprio.

 

 

Tumori: solo il 57% dei pazienti riferisce al medico i piccoli disturbi

Convegno di lancio della campagna sulla gestione integrata delle persone colpite da cancro

Locandina aiom(3)

Roma, 28 febbraio 2018 – Solo il 57% dei pazienti colpiti da cancro riferisce al medico i piccoli disturbi legati alla malattia o alle terapie, contro il 98% che affronta con l’oncologo gli effetti collaterali ritenuti rilevanti. Spossatezza, nervosismo, difficoltà ad addormentarsi, lieve dissenteria, mancanza di appetito, gonfiore e secchezza vaginale sono piccoli fastidi molto frequenti fra i pazienti oncologici italiani, che sembrano però restare nella terra di nessuno. Il 54%, infatti, ritiene che il medico di famiglia non sia un interlocutore adeguato sulle neoplasie e il 79% lamenta l’assenza di dialogo fra oncologi e medici del territorio. E solo il 9% si rivolge al farmacista di fiducia per avere consigli su come affrontare questi disturbi. È la fotografia che Fondazione AIOM e AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) hanno scattato con la prima fase del progetto nazionale “I nuovi bisogni del paziente oncologico e la sua qualità di vita”, presentato oggi al Senato in un convegno nazionale e realizzato con il contributo incondizionato di Bristol-Myers Squibb. “Nel nostro Paese – spiega Stefania Gori, presidente nazionale AIOM e direttore del dipartimento oncologico dell’Ospedale Sacro Cuore-Don Calabria, Negrar-Verona – vivono più di 3 milioni e trecentomila persone dopo la diagnosi di tumore, una percentuale in costante aumento, addirittura il 24% in più rispetto al 2010. E la malattia sta diventando sempre più cronica grazie a armi efficaci come l’immuno-oncologia e le terapie a bersaglio molecolare che si aggiungono a chirurgia, chemioterapia, ormonoterapia e radioterapia. Evidenti i risultati raggiunti in alcune delle neoplasie più frequenti: la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi raggiunge il 91% nel tumore della prostata, l’87% nel seno, il 79% nella vescica e il 65% nel colon-retto”. “Questi cittadini presentano nuovi bisogni, impensabili fino a dieci anni fa – aggiunge Fabrizio Nicolis, presidente di Fondazione AIOM – di fronte ai quali gli operatori sanitari sono spesso impreparati. Da un lato, gli specialisti raramente vengono coinvolti dai pazienti nella gestione di questi piccoli effetti collaterali, dall’altro ai medici di famiglia, come ai farmacisti, non vengono offerti gli strumenti necessari per fornire risposte adeguate. Con la conseguenza che i pazienti e i loro familiari si muovono troppo spesso in modo autonomo cercando soluzioni prive di basi scientifiche. Vogliamo invece creare una nuova alleanza fra oncologi, medici di famiglia e farmacisti per gestire e trasferire sul territorio la cura di questi aspetti. Per questo siamo partiti coi sondaggi e i focus con tutte le figure coinvolte, iniziando proprio dai pazienti: è il primo progetto di questo tipo in Italia che può portare ad un concreto miglioramento della qualità di vita dei malati e dei loro familiari, con un consistente risparmio per il sistema sanitario nazionale, grazie alla diminuzione di visite specialistiche, spesso non più necessarie, con la possibilità di liberare risorse per rendere disponibili le terapie innovative a tutti i malati in tempi brevi”.
L’82% degli oncologi dichiara di essere preparato nella gestione di queste problematiche. Però il 39% evidenzia la sottovalutazione da parte degli stessi clinici di questi disturbi, che per il 52% possono influenzare in senso negativo l’adesione ai trattamenti. “Negli ultimi anni è aumentata l’attenzione delle persone colpite dal cancro su questi aspetti, come evidenziato dall’82% dei medici di famiglia e dall’89% degli oncologi – sottolinea Nicolis -. I pazienti rivolgono sempre più spesso domande sulla dieta da seguire, l’attività fisica che possono praticare e il senso di disagio psicologico con cui sono spesso costretti a convivere. Per questo è fondamentale migliorare il livello di consapevolezza di tutti gli attori coinvolti. Il nostro progetto vuole infatti creare rapporti di collaborazione strutturati e preferenziali fra centri oncologici, medicina del territorio, farmacisti che vadano oltre le visite di controllo successive alla fase acuta della malattia”. Il 93% dei medici di famiglia afferma, infatti, di non avere a disposizione un canale diretto (ad esempio un numero verde dedicato) che facili il dialogo con lo specialista. “Il 72% dei medici di medicina generale, su 1.500 assistiti, segue in media fra 50 e 100 pazienti oncologici – afferma Andrea Salvetti, responsabile oncologia della SIMG (Società Italiana di Medicina Generale, presieduta da Claudio Cricelli) -. Una situazione impensabile solo dieci anni fa, quando questa percentuale era molto contenuta. Dopo la diagnosi, i pazienti o i familiari si recano dal medico di famiglia per informarlo della nuova condizione di malattia. Nel 75% dei casi chiedono dove rivolgersi e quale centro preferire. Il rimanente 25% ha già scelto il percorso di cura. Dopo questo primo momento della comunicazione della diagnosi, il medico di famiglia ha rapporti quasi saltuari con il malato, che è preso in carico dallo specialista. La relazione viene ristabilita quando il paziente torna a casa, una volta terminata la fase acuta della malattia. Un documento dettagliato del centro specialistico informa il medico di famiglia sulle terapie somministrate e sugli eventuali effetti collaterali. Questo report è fondamentale, perché negli ultimi anni sono state rese disponibili molte nuove molecole e non sempre le conosciamo. Infatti il 66% ritiene scarso il proprio livello di conoscenza delle terapie innovative”. La reciproca collaborazione nella gestione dei piccoli disturbi è considerata scarsa o sufficiente dal 76% degli oncologi e dal 73% dei medici di famiglia. “Molto è lasciato alle conoscenze personali del centro oncologico di riferimento della zona – sottolinea Salvetti -. Talvolta siamo costretti a comporre più volte il numero del centralino dell’ospedale, sperando di intercettare prima o poi un collega oncologo”.
“Lo specialista è il principale punto di riferimento nella gestione degli effetti collaterali – spiega Elisabetta Iannelli, vicepresidente Aimac (Associazione Italiana Malati di Cancro) e componente del CdA di Fondazione AIOM -. Spesso però il paziente, per timore o insicurezza, preferisce non parlare dei piccoli disturbi che non hanno rilevanza clinica determinante, ma sono in grado di peggiorare la qualità di vita e, oggi, non trovano capacità d’ascolto, giusta attenzione e adeguate risposte. Uno strumento che potrebbe facilitare la comunicazione di questi disturbi è costituito dai PRO-CTCAE (Patient Reported Outcomes – Common Terminology Criteria for Adverse Event): un questionario, utilizzato nelle ricerche cliniche negli USA e in altri Paesi (la versione italiana è stata validata lo scorso giugno), con cui il paziente segnala in autonomia e in maniera dettagliata gli effetti collaterali dei trattamenti anti-tumorali”.
Il 16% dei pazienti giudica “buona” la propria qualità di vita con le terapie, il 24% “abbastanza buona” e il 26% la ritiene “faticosa ma soddisfacente”. “Una maggiore attenzione ai disturbi leggeri come spossatezza, nervosismo o secchezza vaginale avrebbe un impatto sicuramente positivo sulla quotidianità – afferma Rita Vetere, vicepresidente di ‘Salute Donna Onlus’, associazione che fa parte del CdA di Fondazione AIOM -. Per cercare soluzioni, i pazienti ricorrono a internet: con continuità il 20%, spesso il 16%, qualche volta il 42%. Il rischio però è di incorrere in fonti non certificate e nei ciarlatani che sfruttano le difficoltà determinate da una diagnosi seria. Il passaggio della gestione di questi problemi al territorio può costituire un argine anche contro le cosiddette fake news”. “Il pieno ritorno a una vita come prima – spiega Claudia Santangelo, presidente di ‘Vivere Senza Stomaco (si può!)’ e componente del CdA di Fondazione AIOM – implica l’attenzione anche ai piccoli disturbi. Si è guariti quando vengono ripristinate le condizioni di vita presenti prima dell’insorgenza della malattia e se vi è il recupero della condizione di benessere fisico, psichico e sociale. Un percorso che inizia a partire dal momento in cui la persona entra nell’ospedale e che deve continuare sul territorio dopo la fase acuta della malattia”.
“Negli anni Settanta solo poco più del 30% delle persone colpite riusciva a sconfiggere il cancro – continua Alessandro Comandone, Direttore Oncologia Medica all’Ospedale Humanitas Gradenigo di Torino -, negli anni Novanta questa percentuale arrivava al 47%, oggi 6 persone su dieci sono vive a 5 anni dalla diagnosi e, quando non si arriva a guarigione, in molti casi è possibile convivere a lungo termine con la malattia con una buona qualità di vita. Quello che chiede il paziente, anche se guarito, è di continuare a mantenere i rapporti con il Centro Oncologico per far fronte ai molti problemi che si presentano pur a distanza di anni dalla fine della terapia. Ma il crescente numero dei malati e l’esiguo numero degli oncologi rendono molto difficile affrontare queste tematiche e garantire un appoggio costante. L’unica soluzione è di varare un piano nazionale sulla cronicità che, con collaborazioni multidisciplinari e con la stretta alleanza con le Associazioni dei Pazienti, possa affrontare i problemi della lungosopravvivenza e della cronicizzazione della malattia cancro. Solo in questo modo il malato o ex malato potrà essere accompagnato anche per anni dopo la fine dei trattamenti”.
Il progetto prevede anche il coinvolgimento delle farmacie, per facilitare una distribuzione capillare sul territorio degli attori in grado di supportare i malati. Oggi il 68% dei pazienti non li ritiene interlocutori affidabili per chiedere consigli su questi temi. “Il farmacista in farmacia non fa il medico, il suo ruolo è quello di traduttore di senso, deve spiegare le terapie non integrarle soprattutto in situazioni delicate tenute sotto controllo medico – conclude Paolo Vintani, vicepresidente Federfarma Milano -. Il 59% dei farmacisti dichiara di non sentirsi completamente pronto a consigliare al paziente il giusto percorso per risolvere i piccoli disturbi, soprattutto perché i farmaci oncologici non passano attraverso la farmacia e quindi non abbiamo occasione di conoscere le loro interazioni. Il 92% delle farmacie vorrebbe maggiori informazioni. La creazione di un percorso strutturato con gli oncologi e i medici di famiglia può creare le condizioni per una reale reintegrazione dei cittadini colpiti dal cancro nella società e nel mondo del lavoro”.

Malattie della pelle, l’arma efficace la fototerapia

Risultati sempre più incoraggianti per trattare patologie cutanee autoimmuni

fototerapia-111011152656-phpapp02-thumbnail-4

 

 

 

 

 

 

La fototerapia consiste nell’esposizione alla luce con particolari apparecchiature che permettono di irradiare il paziente o solo alcune zone specifiche del corpo, evitando l’uso di farmaci biologici, molto costosi, che possono provocare effetti indesiderati anche pesanti e sono comunque controindicati in pazienti portatori di infezioni croniche o che hanno sofferto di tumori. “La fototerapia è da tempo un approccio utilizzato con successo nel nostro ospedale – afferma il prof. Piergiacomo Calzavara-Pinton, Direttore del Dipartimento di Dermatologia all’Università di Brescia e Presidente SIDeMaST, (Società Italiana di Dermatologia medica e chirurgica, estetica e di Malattie Sessualmente Trasmesse) -, non riduce le difese immunitarie e può essere efficace quanto le terapie farmacologiche. Inoltre i costi sono ridotti rispetto all’uso di alcune molecole: un ciclo di farmaci biologici costa circa 15mila euro per paziente ogni anno, utilizzando le apparecchiature per la fototerapia si possono trattare efficacemente tra i 100 e i 200 pazienti al giorno, con un notevole risparmio per il sistema sanitario nazionale.” Con i nuovi macchinari, a tecnologia laser, LED o a eccimeri, l’esposizione alla luce può essere localizzata e regolata sulla persona e sul tipo di malattia modulando il sistema immunitario senza avere la tossicità sistemica tipica dei farmaci biologici, che tra l’altro non sono indicati in pazienti con epatite B o C, HIV e tumori.”

Tumori: 369mila casi nel 2017, a Nord ci si ammala di più a Sud si sopravvive di meno

ScreenHunter_1382 Sep. 20 13.02Sono 369mila i nuovi casi di tumore in Italia stimati nel 2017 (192.000 fra i maschi e 177.000 fra le femmine), nel 2016 erano 365.800. È un vero e proprio boom di diagnosi di cancro del polmone fra le donne: 13.600 nel 2017 (+49% in 10 anni), dovuto alla forte diffusione del fumo fra le italiane. Crescono in entrambi i sessi anche quelli del pancreas, della tiroide e il melanoma; in calo, invece, le neoplasie allo stomaco e al colon-retto, grazie anche alla maggiore estensione dei programmi di screening. E oggi oltre 3 milioni e trecentomila cittadini (3.304.648) vivono dopo la diagnosi, addirittura il 24% in più rispetto al 2010. Poi, una conferma: il cancro colpisce più al Nord della Penisola, ma al Sud si sopravvive di meno.
È questo il censimento ufficiale, giunto alla settima edizione, che fotografa l’universo cancro in tempo reale grazie al lavoro dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), dell’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM) e della Fondazione AIOM, raccolto nel volume “I numeri del cancro in Italia 2017” presentato all’Auditorium del Ministero della Salute in un convegno nazionale. “L’incidenza è in netto calo negli uomini (-1.8% per anno nel periodo 2003-2017), legata principalmente alla riduzione dei tumori del polmone e della prostata, ed è stabile nelle donne, ma si deve fare di più per ridurre l’impatto di questa malattia, perché oltre il 40% dei casi è evitabile – afferma il prof. Carmine Pinto, presidente nazionale AIOM -. Ormai è scientificamente provato che il cancro è la patologia cronica che risente più fortemente delle misure di prevenzione. Migliaia di studi condotti in 50 anni hanno dimostrato con certezza il nesso di causalità fra fattori di rischio quali gli stili di vita sbagliati (fumo di sigaretta, sedentarietà e dieta scorretta), agenti infettivi, a cui può essere ricondotto l’8,5% del totale dei casi (31.365 nel 2017), esposizioni ambientali e il cancro. Oggi abbiamo a disposizione armi efficaci per combatterlo, come l’immunoterapia e le terapie target che si aggiungono alla chemioterapia, chirurgia e radioterapia. Tutto questo, unito alle campagne di prevenzione promosse con forza anche da AIOM, si traduce nel costante incremento dei cittadini vivi dopo la diagnosi. Lo scorso anno si temeva che il nostro sistema sanitario non riuscisse a reggere le conseguenze economiche dovute all’arrivo dei nuovi trattamenti. Siamo riusciti ad evitare questo rischio grazie al Fondo di 500 milioni di euro destinato ai farmaci oncologici innovativi che ci ha permesso di garantire a tutti i pazienti le migliori cure disponibili.

Lombardia: oltre 3,5 milioni di persone colpite da malattie croniche

Migliorare la preparazione dei medicina di famiglia, sulla gestione degli oltre 3,5 milioni di pazienti lombardi afflitti da malattie croniche, anche alla luce delle ultime delibere della Regione. Questo è emerso dal  13° congresso regionale lombardo della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (SIMG). L’evento, dal titolo Nuovi modelli di gestione della cronicità, si è tenuto a Padenghe del Garda (Brescia) con oltre 200 camici bianchi.

Malattie-croniche-e-identità-una-revisione-della-letteratura-SLIDER-680x365
Padenghe sul garda, 30 maggio 2017 – Entro fine anno i lombardi colpiti da una o più malattie croniche riceveranno una lettera dal Pirellone. Dovranno indicare chi gli fornirà assistenza sanitaria tra il proprio medico di medicina generale o uno specialista che lavora all’interno di strutture sanitarie pubbliche o accreditate. “E’ una piccola rivoluzione che interessa oltre il 35% dei cittadini della più popolosa Regione italiana – afferma il dott. Aurelio Sessa, presidente regionale SIMG Lombardia -. Secondo l’ultimo decreto infatti i pazienti potranno, per la prima volta in Italia, scegliere a quale professionista affidarsi. Questi cambiamenti riguarderanno ovviamente anche tutto il personale medico sanitario. In particolare il medico di famiglia diventerà l’unico responsabile della salute dell’assistito oppure svolgerà questo compito insieme ad altri colleghi formando delle cooperative. In alternativa potrà indirizzare il paziente ad un centro specializzato”. “Un italiano su tre è colpito da almeno una patologia cronica – aggiunge il dott. Claudio Cricelli presidente nazionale SIMG -. In totale costano al servizio sanitario nazionale circa 60 miliardi di euro ogni anno e l’invecchiamento generale della popolazione porterà ad un incremento dei costi per l’intera collettività. Tutto questo ci costringe a sperimentare nuovi modelli organizzativi-gestionali più efficienti ed appropriati come quello che verrà avviato in Lombardia. Per la prevenzione, cura e assistenza dovrà essere sempre più importante il ruolo del medico di medicina generale. La nostra Società sta collaborando con le varie istituzioni sanitarie, sia locali che nazionali, per riorganizzare il sistema delle cure primarie in Italia”. “La riforma in atto in Lombardia dovrà tenere conto dell’esigenze degli oltre 150mila pazienti complessi – conclude il dott. Ovidio Brignoli vice presidente nazionale SIMG -. Si tratta di una particolare categorie di persone che hanno problemi di salute così gravi che necessitano di un’assistenza non solo sanitaria ma anche sociale. Il loro numero è esiguo ma tuttavia assorbono molte delle risorse economiche e umane del sistema sanitario regionale. La ultime delibere del Pirellone mettono giustamente la medicina generale al centro del sistema di assistenza. Però al tempo stesso cambiano alcuni obblighi e paradigmi del nostro lavoro. Noi medici di famiglia dobbiamo saper rimetterci in gioco e rivedere le nostre conoscenze e competenze”.