AL VIA IL 1° FESTIVAL DELLA PREVENZIONE E INNOVAZIONE IN ONCOLOGIA

Dal 16 al 18 dicembre, la città ospita la prima tappa del tour dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica

Reggio Emilia, 13 dicembre 2016 – La lotta ai tumori scende in piazza a Reggio Emilia. Il capoluogo è infatti la prima città italiana a ospitare il “Festival della prevenzione e innovazione in oncologia”, in programma dal 16 al 18 dicembre. Un motorhome, cioè un pullman, sarà allestito per tre giorni in Piazza Martiri 7 luglio (dalle 9.30 alle 18.30), dove gli oncologi dell’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) forniranno informazioni sulla prevenzione, sull’innovazione terapeutica e sui progressi nella ricerca in campo oncologico. Non solo. Sono previste lezioni nelle scuole e domenica mattina una passeggiata della salute per portare ai cittadini un messaggio fondamentale: il cancro non va più considerato un male incurabile e contro questa malattia si deve giocare d’anticipo. “Lanciamo, sul modello dei festival della letteratura, il primo ‘Festival della prevenzione e innovazione in oncologia’ per spiegare agli italiani il nuovo corso dell’oncologia, che spazia dai corretti stili di vita, agli screening, alle armi innovative come l’immuno-oncologia e le terapie a bersaglio molecolare, fino alla riabilitazione e al ritorno alla vita – spiega il prof. Carmine Pinto, presidente nazionale AIOM e Direttore dell’Oncologia Medica dell’Azienda Ospedaliera – IRCCS di Reggio Emilia -. Grazie alla diagnosi precoce e alle nuove armi il 60% dei pazienti sconfigge la malattia, percentuale che raggiunge il 70% nelle neoplasie più frequenti. La manifestazione itinerante, resa possibile grazie al sostegno di Bristol-Myers Squibb, tocca 11 città con eventi che dureranno tre giorni”. Molti studi hanno dimostrato che il 40% dei tumori può essere evitato con uno stile di vita sano (no al fumo, attività fisica costante e dieta corretta), ma pochi italiani seguono queste regole. “Resta ancora molto da fare sul piano della prevenzione – continua il prof. Pinto -, se pensiamo che l’Italia destina solo il 4,2% della spesa sanitaria totale a queste attività, collocandosi negli ultimi posti per investimenti in prevenzione fra i 34 Paesi che fanno parte dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OECD)”. Anche in Emilia Romagna emergono dati preoccupanti: fuma il 28% degli adulti 18-69enni, pari a una stima di circa 838mila persone; il valore regionale è in linea con quello nazionale (27%). L’abitudine al fumo inizia precocemente: è tabagista l’1% degli 11enni, il 5% dei 13enni e il 29% dei 15enni, percentuali che salgono al 31% tra i 18-24enni e al 34% tra i 25-34enni. L’eccesso ponderale coinvolge una quota rilevante (42%) di adulti 18-69enni della Regione (in linea con il dato nazionale pari al 42%): in particolare il 31% è in sovrappeso (930mila persone) e l’11% è obeso (340mila). Migliori rispetto alla media nazionale i dati relativi all’attività fisica: un quinto è completamente sedentario (21%), pari a circa 623 mila persone nella fascia 18-69 anni, valore significativamente inferiore a quello nazionale (31%).

Oltre al motorhome in piazza, il programma del “Festival” prevede lezioni agli studenti del Liceo Classico di Piazza Pignedoli (venerdì 16 dicembre alle 10.55), del Liceo Scientifico Spallanzani (venerdì 16 dicembre alle 12) e delle Scuole Medie Sandro Pertini (sabato 17 dicembre alle 12). Sabato 17 dicembre, dalle 16 alle 18, Ilaria Orlandini, allenatrice del Basket Tricolore di Reggio, sarà ospite nel motorhome e testimonial del progetto. Domenica 18 dicembre alle 10.30, con partenza da Piazza Martiri 7 luglio, si svolgerà anche la “Passeggiata della salute”, 10.000 passi per godere delle bellezze architettoniche di Reggio Emilia. Durante gli eventi saranno distribuiti ai cittadini opuscoli sulle principali regole della prevenzione oncologica e sulle nuove armi in grado di sconfiggere la malattia o di migliorare la sopravvivenza in modo significativo.

TUMORE DEL POLMONE: OGNI GIORNO IN ITALIA 110 NUOVE DIAGNOSI

polmone

 

Vienna, 6 dicembre 2016 – Oggi per i pazienti in fase avanzata del tumore del polmone si sta aprendo importanti prospettive nel trattamento in prima linea grazie alla combinazione delle molecole immuno-oncologiche innovative. Lo dimostrano i risultati presentati alla 17° Conferenza mondiale sul tumore del polmone dell’International Association for the Study of Lung Cancer in corso a Vienna. “L’immuno-oncologia – sottolinea il prof. Federico Cappuzzo, direttore Oncologia all’Ospedale di Ravenna – ha già evidenziato risultati decisivi in seconda linea nella fase avanzata della malattia. La sfida ora è individuare i pazienti che possono maggiormente beneficiare di questa nuova arma in prima linea, cioè al momento della diagnosi. Sono incoraggianti i risultati aggiornati dello studio CheckMate -012, dopo un follow-up di circa 16 mesi, sulla combinazione di nivolumab e ipilimumab nella forma non a piccole cellule, la più frequente. I tassi di risposta obiettiva confermata in tutti i pazienti trattati sono pari al 43%, quasi il doppio rispetto alla percentuale registrata con nivolumab in monoterapia (23%). Inoltre, la sopravvivenza a un anno copre il 100% dei pazienti quando l’espressione tumorale di PD-L1 è superiore al 50%. Positivi anche i dati sulla sopravvivenza libera da progressione. Per questi pazienti si sta sempre più concretizzando la possibilità di evitare la chemioterapia e aver accesso a farmaci innovativi caratterizzati da una tollerabilità migliore. Nel frattempo aspettiamo i risultati di CheckMate -227, questo studio di fase III in cui l’Italia ha svolto un ruolo determinante sta valutando le combinazioni con nivolumab in prima linea: riteniamo che il futuro sia rappresentato dall’associazione delle molecole immuno-oncologiche”. Il principale fattore di rischio di questa neoplasia è rappresentato dal fumo, un vizio sempre più diffuso fra le donne: infatti il 23% delle italiane è tabagista. Con gravi conseguenze: tra il 1999 e il 2011 l’incidenza del carcinoma del polmone è diminuita del 20,4% tra gli uomini, mentre è aumentata del 34% nelle donne. La percentuale di sopravvivenza a 5 anni delle persone colpite da carcinoma del polmone in Italia è pari al 14,3%, più elevata rispetto alla media europea (13%). Le possibilità di guarigione cambiano drasticamente in relazione allo stadio in cui avviene la diagnosi. Complessivamente, la sopravvivenza a 5 anni nella forma non a piccole cellule in stadio I è compresa tra il 47% e il 50%, mentre per lo stadio IV scende al 2%. I tassi tendono a essere più bassi nel tumore del polmone a piccole cellule perché questa forma cresce più rapidamente (in stadio I sono compresi tra il 20 e il 40%, in stadio IV scendono all’1%). “Lo studio CheckMate -032 presentato a Vienna – spiega il prof. Francesco Grossi, Responsabile UOS Tumori Polmonari all’IRCCS AOU San Martino IST, Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro di Genova – ha valutato nivolumab in monoterapia e in combinazione con ipilimumab in pazienti precedentemente trattati, quindi in seconda linea, colpiti proprio da tumore del polmone a piccole cellule. Il tasso stimato di sopravvivenza a due anni è stato del 30% con nivolumab più ipilimumab e del 17% con nivolumab in monoterapia. Non solo. Il tasso di risposta obiettiva con la combinazione era pari al 25%, il doppio di quello riportato con la monoterapia (11%). È la conferma che la combinazione rappresenta la strada da seguire”.

TUMORE DEL POLMONE: NIVOLUMAB DIMOSTRA RISPOSTE DURATURE AL FOLLOW-UP PIÙ LUNGO CON UN INIBITORE DI PD-1

36900648

Copenaghen, 11 ottobre 2016 – Bristol-Myers Squibb ha annunciato i risultati aggiornati dei due studi pilota di fase III, CheckMate -057 e CheckMate -017, che dimostrano che più di un terzo dei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule metastatico pre-trattati presentava risposte ongoing in entrambi gli studi nel braccio nivolumab, rispetto a nessun caso di risposta ongoing tra i pazienti trattati con docetaxel. Nello studio CheckMate -057, la durata mediana della risposta (DOR) è risultata di 17,2 mesi (IC 95%: 8,4 – NE) con nivolumab e di 5,6 mesi (IC 95%: 4,4 – 6,9) con docetaxel, rispettivamente e nello studio CheckMate -017 di 25,2 mesi (IC 95%: 9,8 – 30,4) e di 8,4 mesi (IC 95%: 8,4 – NE), rispettivamente. Nel CheckMate -057, i pazienti con espressione di PD-L1 ≥ 1% presentavano una DOR mediana di 17,2 mesi (IC 95%: 8,4 – NE) e quelli con espressione di PD-L1 < 1% il dato corrispondente era di 18,3 mesi (IC 95%: 5,5 – NE). In entrambi gli studi, una risposta duratura è stata osservata sia nei pazienti con tumori esprimenti il PD-L1 sia in quelli che non lo esprimevano e, nello studio Checkmate -057, una risposta completa su quattro si è manifestata in un paziente il cui tumore aveva un livello di espressione di PD-L1 < 1%. Dall’analisi di sicurezza congiunta di entrambi gli studi, non sono emerse nuove segnalazioni relativamente alla sicurezza di nivolumab. Non si è verificato alcun nuovo decesso correlato al trattamento tra il primo e il secondo anno di follow-up minimo a fronte dell’esposizione più prolungata al trattamento e nuovi eventi si sono osservati in 11 su 418 pazienti con un ulteriore anno di follow-up. Questi risultati sono stati presentati il 9 ottobre durante la sessione dedicata alla poster discussion in occasione del congresso ESMO 2016 (European Society for Medical Oncology Congress) (Abstract #1215PD). “Ulteriori valutazioni riguardanti nivolumab nel tumore del polmone non a piccole cellule pre-trattato hanno continuato a dimostrare una sopravvivenza più lunga e la possibilità di ottenere risposte durature rispetto al docetaxel, nelle diverse istologie tumorali, in questa popolazione di pazienti”, ha affermato Martin Reck, M.D., Ph.D., direttore di oncologia toracica del Hospital Grosshansdorf. “Notoriamente, la durata mediana della risposta con nivolumab risultava essere più che triplicata rispetto a quella osservata con docetaxel”. I risultati della valutazione della qualità della vita correlata allo stato di salute condotta mediante Patient-reported outcomes relativa allo studio CheckMate -057 sono stati presentati nel corso di una sessione dedicata alla poster discussion nel pomeriggio (Abstract #1217PD). I dati indicano che nivolumab ha favorito una migliore salvaguardia dello stato di salute, una migliore qualità di vita correlata allo stato di salute e un maggior controllo dei sintomi rispetto a docetaxel, come emerso dopo valutazione con scala visiva analogica (VAS) di EuroQoL a 5 dimensioni (EQ-5D) e con il Lung Cancer Symptom Score (LCSS). Nick Botwood, M.D., Development Lead, Lung and Head & Neck, Bristol-Myers Squibb, ha commentato: “Nivolumab, standard of care per il tumore del polmone non a piccole cellule nel setting di seconda linea, continua a dimostrare una sopravvivenza prolungata, sulla base dei risultati aggiornati di CheckMate -057 e -017. Inoltre, sulla base dei dati ottenuti mediante Patient-reported outcomes relativi allo studio CheckMate -057, nivolumab contribuisce ad uno stato di salute globale favorevole rispetto alla chemioterapia. Questi dati cardine continuano a informare la comunità scientifica sull’uso di nivolumab nel tumore del polmone non a piccole cellule precedentemente trattato, un tumore difficile da trattare”.

TUMORE DEL COLON: 52MILA NUOVE DIAGNOSI STIMATI NEL NOSTRO PAESE

Il prof. Pinto, presidente AIOM: “Il test della ricerca del sangue occulto nelle feci riduce del 20% la mortalità ma pochi cittadini aderiscono ai programmi”. Il 25% delle diagnosi è in fase avanzata.

10541487

Il 25% delle diagnosi di tumore del colon-retto avviene in fase avanzata. In questi casi le possibilità di sopravvivenza sono limitate, infatti solo l’11% di questi pazienti è vivo a 5 anni. È quindi fondamentale migliorare l’adesione alle campagne di screening, ancora scarsa nel nostro Paese: solo il 47% dei cittadini di età compresa fra 50 e 69 anni (nel biennio 2011-2012) ha eseguito l’esame del sangue occulto nelle feci, un test in grado di ridurre del 20% la mortalità nel tumore del colon-retto proprio perché permette di individuare lesioni sospette in stadio iniziale. L’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) dedica il convegno “Dalla capecitabina al TAS 102” oggi a Milano alle nuove prospettive nel trattamento di questa neoplasia, in particolare alla combinazione di trifluridina e tipiracil. “È necessario migliorare la consapevolezza degli italiani sull’importanza degli screening in difficoltà soprattutto al Sud – afferma il prof. Carmine Pinto, presidente nazionale AIOM -. Infatti i sintomi possono essere confusi con quelli di altre patologie e spesso, quando viene individuato, il tumore si è già diffuso. Importanti progressi nella malattia avanzata dove con i regimi di terapia a disposizione si superano i 30 mesi di sopravvivenza contro i 12 di qualche decennio fa. Questi risultati sono stati ottenuti anche perché per la cura di questi pazienti abbiamo a disposizione due rilevanti innovazioni: la caratterizzazione molecolare con la determinazione delle mutazioni dei geni RAS e BRAF che ci permettono di selezionare i pazienti per il trattamento con farmaci biologici e l’introduzione di farmaci orali di prima e seconda generazione che favoriscono la compliance delle terapie”. Il tumore del colon-retto è il più frequente con circa 52.400 nuovi casi stimati nel nostro Paese nel 2016 e 427mila persone vivono dopo la diagnosi. L’impatto economico della malattia è importante: il costo sociale totale annuo relativo all’insieme di tutti i pazienti italiani (con una diagnosi da non più di 5 anni, con e senza caregiver) è, secondo le stime del Censis, pari a 5,7 miliardi di euro e comprende sia i costi diretti che indiretti (questi ultimi includono i mancati redditi e il valore dell’assistenza garantita dai caregiver). I costi medi annui pro capite di paziente e caregiver sono stimabili in media a 41,6 mila euro (per i malati con una diagnosi da non più di un quinquennio). La possibilità di individuare precocemente lesioni pre-cancerose, oltre a ridurre la mortalità, ha molteplici risvolti positivi, ad esempio permette di asportare per via endoscopica il tumore evitando interventi chirurgici maggiori e demolitivi (con necessità ad esempio di stomia intestinale) e di ridurre i costi sociali. “La sopravvivenza nel nostro Paese è più alta rispetto alla media europea – sottolinea il prof. Alberto Zaniboni, Responsabile Oncologia Medica alla Fondazione Poliambulanza di Brescia -. Anche il confronto con i Paese del Nord Europa, che fanno di solito registrare i valori più elevati, evidenzia l’ottimo livello del nostro sistema assistenziale.

TUMORI: “LA FERTILITÀ È PRESERVATA SOLO NEL 10% UNDER 40″

conferenza 12 luglioNel nostro Paese vi sono 319 Oncologie e sono 178 i centri di Procreazione Medicalmente Assistita che applicano non solo la fecondazione in vitro ma anche la crioconservazione (cioè il congelamento e la conservazione a temperature bassissime) dei gameti. Ma va migliorata la comunicazione fra le due realtà. Va promossa la Rete nazionale dei centri di oncofertilità che consenta ai pazienti di rivolgersi a strutture pubbliche specializzate e organizzate per fare fronte a tutte le loro esigenze. La richiesta è contenuta nelle Raccomandazioni sull’Oncofertilità firmate dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), dalla Società Italiana di Endocrinologia (SIE), dalla Società Italiana di Ginecologia e Ostetrica (SIGO) e presentate oggi a Roma in un incontro con i giornalisti. Ogni anno nel nostro Paese circa 8.000 cittadini under 40 (5.000 donne e 3.000 uomini) sono colpiti da tumore, 30 ogni giorno, pari a circa il 3% del numero totale delle nuove diagnosi. “Il desiderio di diventare genitori dopo la malattia è stato per troppo tempo sottovalutato – spiega il prof. Paolo Scollo, presidente SIGO -. Questo documento, indirizzato alle Istituzioni, riassume i principi chiave da seguire per un cambiamento sostanziale. In ogni Regione dovrebbe essere istituito almeno un Centro di riferimento in cui operino team multidisciplinari composti da ginecologi, senologi, andrologi, biologi e psicologi collegati in rete con i centri oncologici ed ematologici che abbiano esperienza nella gestione di pazienti in età fertile. Bastano poche strutture specializzate distribuite su tutto il territorio nazionale a cui devono fare riferimento altri centri connessi, in modo da realizzare un sistema efficiente ed efficace, senza spreco di risorse e con un’immediata attivazione e potenziamento delle strutture riconosciute idonee e già operanti in Italia. In questo modo potranno essere applicati i più aggiornati e validati strumenti diagnostici, terapeutici, laboratoristici e chirurgici così da garantire ai malati un percorso di cura appropriato e uniforme in tutta Italia”. Le principali tecniche di preservazione della fertilità nella donna sono costituite dalla crioconservazione degli ovociti o del tessuto ovarico e dall’utilizzo di farmaci (analoghi LH-RH) per proteggere le ovaie, nell’uomo dalla crioconservazione del seme o del tessuto testicolare. Il materiale biologico può rimanere crioconservato per anni ed essere utilizzato quando il paziente ha superato la malattia. “Per i cittadini – afferma il prof. Carmine Pinto, presidente nazionale AIOM – la Rete costituirà un grande vantaggio perché, dal momento in cui al paziente viene diagnosticata una neoplasia, l’oncologo sarà in grado di metterlo direttamente in contatto con il centro pubblico di riferimento per procedere, dopo adeguato counselling, alla crioconservazione dei gameti prima dell’inizio delle terapie, bypassando tutte le liste di attesa. La consulenza specialistica dovrà infatti avvenire entro 24-48 ore. Diversamente da quanto accade nell’uomo, nella donna l’utilizzo di alcune di queste tecniche è associato a un ritardo nell’inizio dei trattamenti antineoplastici: da qui l’importanza di avviare quanto prima le pazienti agli esperti in questo campo. Questo sicuramente è un ambito che necessita di un’implementazione della sanità pubblica”. I più comuni tipi di cancro nei giovani sono rappresentati nell’uomo dal tumore del testicolo, del colon-retto, della tiroide, dal melanoma e dal linfoma non Hodgkin, mentre nella donna dal carcinoma mammario, della tiroide, della cervice uterina, del colon-retto e dal melanoma. “Chiediamo al Ministro della Salute – continua il prof. Andrea Lenzi, presidente SIE – di attivare un confronto con le società scientifiche per programmare il numero, le dimensioni, la distribuzione territoriale e i volumi minimi di attività per la definizione di un Centro. Uno dei nostri obiettivi è anche migliorare fra i clinici la cultura della preservazione della fertilità dopo il cancro”. Nelle giovani sottoposte a trattamenti antitumorali, sono due le preoccupazioni principali nei confronti di una gravidanza, talvolta condivise anche dai medici: da un lato i possibili effetti nocivi delle terapie sullo sviluppo del bambino, dall’altro le conseguenze della gestazione sulla donna in termini di ripresa della malattia, in particolare in caso di neoplasie ormono-sensibili come quelle del seno. “Riguardo al primo punto – sottolinea il prof. Scollo -, i dati disponibili non dimostrano un aumento del rischio di difetti genetici o di altro tipo nei bambini nati da donne precedentemente sottoposte a terapie antineoplastiche. Per quanto riguarda il secondo aspetto, oggi è noto che le pazienti che hanno avuto un figlio dopo la diagnosi di tumore mammario non hanno una prognosi peggiore rispetto alle altre. Al contrario, i risultati di uno studio, condotto su 1.244 donne, segnalerebbero addirittura un effetto protettivo della gestazione, con una significativa riduzione del rischio di morte. Va quindi ritenuta definitivamente caduta la storica controindicazione alla gravidanza nelle pazienti con pregresso carcinoma mammario. Nonostante non sussistano reali controindicazioni, la quota di coloro che hanno almeno un figlio dopo la diagnosi di carcinoma mammario è tuttora molto bassa: solo il 3% tra le donne di età inferiore a 45 anni e l’8% se si considerano le under 35”. Anche per i giovani pazienti di sesso maschile, in assenza di una sindrome neoplastica ereditaria, non esiste alcuna evidenza scientifica che una precedente storia di cancro aumenti il tasso di anormalità congenite o di tumori nella loro prole.

TUMORE DEL RENE: L’IMMUNO-ONCOLOGIA AUMENTA DEL 27% LA SOPRAVVIVENZA”

reni-anatomia-corpo-umano

L’efficacia dell’immuno-oncologia si estende al tumore del rene, che nel nostro Paese ha fatto registrare 10.400 nuovi casi nel 2015. In poco più di un anno ben 5 studi in cui è stata sperimentata una nuova molecola immuno-oncologica, nivolumab, sono stati interrotti in anticipo perché hanno raggiunto l’obiettivo ambizioso di un aumento della sopravvivenza. Il melanoma ha aperto la strada, a seguire il tumore del polmone non a piccole cellule (nelle due istologie, squamoso e non squamoso), e, negli ultimi mesi, il carcinoma renale e i tumori del distretto testa collo. Questo approccio innovativo permette anche di migliorare la qualità di vita dei pazienti. “È la dimostrazione che il meccanismo d’azione dell’immuno-oncologia ha un’efficacia trasversale, non limitata a una sola patologia, proprio perché stimola il sistema immunitario rinforzandolo nella lotta contro la malattia – spiega il prof. Sergio Bracarda, Direttore della UOC di Oncologia Medica di Arezzo, Azienda USL Toscana SUDEST -. Nivolumab è approvato negli Stati Uniti e in Europa per il trattamento dei pazienti con carcinoma a cellule renali avanzato precedentemente trattati. Lo studio di fase III che ha portato alla registrazione della molecola ha evidenziato un aumento della sopravvivenza del 27%, pari a più di 5 mesi, rispetto allo standard di cura (25 mesi rispetto a 19,6 mesi)”. In diciassette anni (1990-2007) la sopravvivenza a cinque anni delle persone colpite da tumore del rene è aumentata del 10%. Per i casi diagnosticati più recentemente la sopravvivenza è pari al 69% per gli uomini e al 73% per le donne. Passi in avanti importanti realizzati grazie alle terapie e alla diagnosi precoce. Il 60% circa delle neoplasie renali è individuato casualmente, come diretta conseguenza dell’impiego, sempre più diffuso, della diagnostica per immagini in pazienti non sospetti in senso oncologico. “Ma circa un quarto delle diagnosi avviene in stadio avanzato, con limitate possibilità di trattamento – afferma il prof. Giacomo Cartenì, Direttore dell’Oncologia Medica dell’Ospedale Cardarelli di Napoli -. Nel cancro del rene la chemioterapia e la radioterapia si sono dimostrate, storicamente, poco efficaci. Globalmente, il tasso di sopravvivenza a cinque anni, nei pazienti che ricevono diagnosi di tumore del rene metastatico o avanzato, è del 12,1%. Pertanto la disponibilità di nuove armi come nivolumab potrà migliorare in maniera significativa la capacità di gestione complessiva di questa neoplasia. Nell’immuno-oncologia il beneficio clinico deve essere osservato in base alla sopravvivenza e può invece sfuggire se si utilizzano i parametri ‘classici’ rappresentati dalla risposta oggettiva o dalla sopravvivenza libera da progressione. Va inoltre messo in evidenza l’aumento significativo dei pazienti vivi nei diversi tempi di osservazione. In uno studio di fase 1, con un follow-up a 3 anni, è stato evidenziato il 44% di pazienti vivi”. Anche l’impatto sulla qualità di vita è importante. “Nello studio di fase III – continua il prof. Cartenì -, i pazienti trattati con nivolumab hanno manifestato un miglioramento dei sintomi correlati alla malattia e della qualità di vita rispetto allo standard di cura. I risultati hanno evidenziato che entro 20 settimane di terapia i pazienti trattati con la nuova molecola hanno manifestato un significativo miglioramento dei sintomi, mentre i pazienti trattati con lo standard di cura hanno mostrato un evidente deterioramento entro la quarta settimana”. Nel melanoma, grazie al trattamento con ipilimumab, il primo farmaco immuno-oncologico approvato, il 20% dei pazienti è vivo a 10 anni. “I dati a disposizione sono ancora poco maturi per utilizzare il termine lungosopravviventi nel carcinoma renale – conclude il prof. Bracarda – ed è necessario un follow up più lungo. Ciò che emerge è comunque l’aumento significativo di pazienti vivi nei diversi tempi di osservazione. Alla luce della tendenza già vista in precedenti studi con farmaci immuno-oncologici, è possibile che queste percentuali di sopravvivenza si mantengano anche negli anni successivi e che quindi si possa in futuro parlare di lungosopravviventi. Si stanno aprendo inoltre ulteriori prospettive molto interessanti grazie ad altri studi che stanno valutando combinazioni di farmaci, quali ipilimumab e nivolumab, atezolizumab e bevacizumab e altre ancora”.