COLONSCOPIA: PER LA PREPARAZIONE BASTA BERE SOLO UN LITRO DI SOLUZIONE

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Brescia, 27 agosto 2018 – È questa la novità che la Fondazione Poliambulanza di Brescia offre ai pazienti che si rivolgono alla struttura sanitaria per svolgere una colonscopia. “Con oltre 5.000 esami ogni anno siamo ai primi posti in Lombardia per numero di test effettuati – afferma il dott. Cristiano Spada, Responsabile dell’U.O. Endoscopia Digestiva presso Poliambulanza-. La colonscopia è fondamentale per ottenere una diagnosi precoce del tumore del colon-retto. Si tratta di una delle neoplasie più diffuse in Italia e per avere buone possibilità di sopravvivenza è necessario individuarla quanto prima. La riduzione del dosaggio per la preparazione determina importanti benefici in termini sia di compliance che di tollerabilità. Nel nostro centro la colonscopia non presenta importanti criticità e di solito è ben tollerata dal momento che offriamo la sedazione a tutti i nostri pazienti. La fase di preparazione, invece, risulta ancora difficoltosa. Assumere alti volumi di soluzione è senza dubbio difficile e gravoso per il paziente. Oltre ai problemi di palatabilità ci sono anche le tempistiche da osservare che rendono la preparazione particolarmente fastidiosa e invasiva. Questo fa sì che alcuni pazienti non riescono a completare la preparazione: ne risulta una scarsa pulizia del colon che limita la capacità diagnostica della colonscopia. Poter consumarne un solo litro, suddiviso in due dosi, riduce notevolmente il disturbo e, potenzialmente, limita il numero di pazienti che non riescono a completare la preparazione”. La nuova preparazione (PLENVU) è a base di polietilenglicole (PEG) e mantiene inalterato il consolidato profilo di sicurezza e di efficacia nonostante la minore dose. A conferma della totale sovrapponibilità della nuova preparazione rispetto alle preparazioni attualmente in uso, Poliambulanza ha collaborato ad un lavoro scientifico internazionale in fase di pubblicazione ed è coinvolta in prima linea in uno studio sperimentale italiano.”Abbiamo deciso di partecipare a questa ricerca per dimostrare la piena e totale efficacia del trattamento – prosegue il dott. Spada -. Lo studio, che partirà a breve, coinvolge Poliambulanza insieme ad altri Centri italiani e ha lo scopo di confermare l’efficacia della nuova preparazione ad 1 litro rispetto alle preparazioni ad alto volume di 4 litri che in Italia al momento sono le più utilizzate”.

ESAMI CLINICI IN CRESCITA DEL 20% OGNI ANNO

La SIBIOC: “dobbiamo riorganizzare la rete dei laboratori”IMG-20170130-WA0009

Roma, 30 gennaio 2017 – “Cresce in Italia il numero di esami clinici richiesti ai laboratori del servizio sanitario nazionale. In alcuni settori della medicina, come le malattie cardiovascolari, nel diabete e nell’insufficienza renale, l’incremento annuo arriva al 20%. Questo è dovuto alla deospedalizzazione dei pazienti colpiti da patologie croniche e, talvolta, dal ricorso alla medicina difensiva. Non sempre, però, i test prescritti tengono conto dei criteri di appropriatezza. E’ necessario interrompere quanto prima questo boom di prescrizioni non sempre indispensabili, per evitare sprechi all’intera collettività e migliorare l’assistenza sanitaria nel nostro Paese”. E’ questo l’appello lanciato dal prof. Marcello Ciaccio, Presidente Nazionale della SIBIoC (Società Italiana di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica), in un incontro con i giornalisti organizzato oggi a Roma. “Gli esami di laboratorio influenzano il 70% delle diagnosi mediche e quindi dei successivi trattamenti – afferma il prof. Ciaccio -. Per questo è necessario riorganizzare le rete di queste strutture in Italia in modo che solo in pochi laboratori ci siano le strumentazioni e siano svolte le attività di secondo e terzo livello, specialistiche e ultra specialistiche. Per esempio, le indagini sofisticate come quelle di genetica molecolare non dovrebbero essere eseguite in tutti gli ospedali. Come spesso accade, le Regioni del Sud sono più penalizzate rispetto a quelle del Nord, anche se nel Mezzogiorno esistono numerose eccellenze. In tal modo, si eviterebbero sprechi e inappropriatezza che può portare risultati falsamente positivi che scatenano a loro volta altre indagini, visite e terapie inutili. Da qui il nostro invito a incrementare le strutture accreditate secondo la normativa del Ministero della salute”. “Ma – sottolinea Ciaccio – va combattuta anche la troppa medicina difensiva. Il disegno di legge sul rischio professionale, recentemente approvato dal Senato, potrà ridurre il ricorso ad analisi svolte solo evitare controversie legali. Siamo pronti a dare il nostro contributo e a collaborare con tutte le Istituzioni”.

 

 

EPILESSIA NEI NEONATI, I PEDIATRI: “ATTENZIONE ALLE FORME NASCOSTE”

Per la società scientifica di Neurologia Pediatrica vanno aggiornati i protocolli terapeutici e trattati i bimbi con la sostanza di cui sono carenti

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Si chiamano epilessie ‘piridossino-dipendenti’ e il sintomo principale è una crisi convulsiva che si ripete in modo prolungato e resistente ai farmaci anticonvulsivanti tradizionali. E’ determinata dalla mancanza di vitamina B6, chiamata anche piridossina. “Quando questa sostanza è insufficiente compare la crisi convulsiva che talvolta non viene correttamente diagnosticata – spiega il prof. Raffaele Falsaperla, presidente della Società Italiana di Neurologia Pediatrica (SINP) -. E’ perciò fondamentale, specie per i pediatri che operano nelle strutture di Pronto Soccorso, effettuare una diagnosi precisa per poter somministrare al piccolo paziente la vitamina B6, che in poche ore fa cessare le crisi convulsive. Questa forma di epilessia è una malattia abbastanza rara: colpisce qualche migliaio di bambini in tutta Italia, soprattutto neonati. La difficoltà di diagnosi per lo specialista compare quando la patologia si manifesta in età successiva a quella neonatale. Durante l’allattamento, per esempio può non venire riconosciuta”.

L’epilessia piridossino dipendente spesso è sotto-stimata quando non si si manifesta alla nascita, avvertono gli esperti. Il suo esordio è variabile: nel 70% dei casi compare in età neonatale o può anche più tardi, nei primi mesi di vita del bambino. “Purtroppo ad oggi la diagnosi non è sempre tempestiva – continua il prof. Falsaperla -. Se la crisi non si presenta nel primissimo periodo di vita può essere misconosciuta. Ecco perché è importante sensibilizzare i pediatri nel riconoscere la patologia.”. Negli attuali protocolli il trattamento con la pirodissina è prevista solo nel primo mese di vita. E necessario dunque modificare e aggiornare queste ‘linee guida’ diagnostico- terapeutiche attualmente in vigore e prevedere anche per una fascia d’età superiore questo tipo di cura. E’ importante coinvolgere i pediatri che lavorano nei reparti di pronto soccorso nella diagnosi precoce e nella gestione terapeutica. L’unico trattamento efficace, dunque, è la somministrazione di piridossina per via orale, intramuscolo o endovenosa che fornisce una risposta terapeutica immediata, oltre a consentire la diagnosi genetica. “Le cause della malattia sono soprattutto genetiche ed è importantissimo aumentarne la conoscenza tra i pediatri – conclude il prof. Falsaperla – perché l’insufficienza di piridossina oltre alle epilessie può portare nel bambino anche ritardi motori importanti. Va inoltre considerato che questo tipo di epilessia non risponde alla terapia farmacologica tradizionale”.