Fondazione Poliambulanza: POLIS, un centro per la ricerca, la formazione e la cura del cancro

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Brescia, 21 febbraio 2020 – Un Clinical Cancer Center riconosciuto a livello europeo per una cura personalizzata e multidisciplinare è questo l’ambizioso progetto di Poliambulanza che si svilupperà all’interno di Poliambulanza Innovation Space, POLIS. Una struttura su 5 piani per 15.000 mq complessivi, sarà realizzata in tre anni e sorgerà nell’area antistante l’ospedale. Non un semplice edificio, ma un polo di innovazione. La massima qualità della cura sarà assicurata oltre che dall’utilizzo di robot e strumentazioni iper-sofisticate, da una grande expertise multidisciplinare e internazionale che svolgerà anche attività di ricerca e didattica.  “Si configura una struttura che ruota intorno al paziente per la massima personalizzazione del trattamento diagnostico-terapeutico.Un centro in cui convergeranno tre elementi fondamentali: la cura, la ricerca e la didattica, funzionali non solo a individuare il miglior iter terapeutico per il paziente di oggi, ma anche a fare di Poliambulanza un importante centro di riferimento, dove potranno essere stilati i protocolli personalizzati per il paziente di domani” commenta Paolo Magistrelli, Direttore Scientifico di Fondazione Poliambulanza. Ampio spazio nel progetto è riservato alla didattica. L’istituto bresciano punta a diventare Training Center per l’Europa e a trasmettere, anche all’esterno, le metodiche più innovative. In particolare l’acquisizione di un centro di simulazione robotica permetterà al personale sanitario di affinare il processo di apprendimento delle tecniche di ecografia cardiaca, polmonare, addominale e ginecologica. In grande espansione anche la chirurgia robotica, con l’ingresso della piattaforma più evoluta per gli interventi di chirurgia complessa e del Robot Rosa Knee System, che affiancherà Navio per la protesica del ginocchio. “Si tratta di un progetto in cui è l’intera struttura ospedaliera ad essere coinvolta e a partecipare attivamente ed è per questo che richiede un adeguato lavoro di pianificazione” – chiarisce Paolo Magistrelli. Per ricevere la certificazione di “Clinical Cancer Center” dall’Organisation European Cancer Institute (OECI) è necessario, infatti, possedere specifici requisiti tra cui: una struttura idonea, personale dedicato, un programma di ricerca oncologico strutturato, un approccio multidisciplinare, la garanzia della presa in carico integrale del paziente, dallo screening al follow up, fino alle cure palliative. A tal fine Poliambulanza ha intrapreso un accurato lavoro di auto-valutazione per verificare l’aderenza ai requisiti internazionali richiesti. “L’alto livello di ricerca e cura raggiunto nel trattamento delle neoplasie al pancreas, fegato, vie biliari, stomaco e colon retto – conclude Magistrelli – legittimano il nostro istituto a chiedere la certificazione, in linea anche con i parametri numerici indispensabili: oltre 1.500 pazienti oncologici trattati annualmente, un team multidisciplinare con decine di superspecialisti e vari reparti dedicati e ben attrezzati per la cura del paziente oncologico”.
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Biopsia liquida, un’arma efficace contro il tumore al seno

Grazie alla ricerca scientifica si stanno ottenendo risultati importanti nell’individuazione di strumenti diagnostici e terapeutici più precisi ed efficaci

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Pordenone, 20 febbraio 2020 – In Italia nel 2019 le donne colpite dal carcinoma della mammella sono state in totale 1.450. L’89% delle pazienti riesce a sconfiggere la malattia, soprattutto se viene individuata nelle fasi iniziali. Nella regione nord-orientale l’incidenza è superiore rispetto alla media nazionale con 170 nuovi casi annui ogni 100.000 donne confronto la media nazionale è di 146. Gli indicatori statistici di sopravvivenza hanno dimostrato un netto e costante aumento della probabilità di sopravvivere dopo il tumore della mammella nelle donne del Friuli-Venezia Giulia, +9% dopo 5 anni dalla diagnosi. Tuttavia, nonostante i grandi progressi ottenuti dalla ricerca, ogni anno ancora più di 300 decessi sono causati dalla neoplasia (oltre 12mila in tutta la penisola). Sono questi alcuni dei dati emersi durante la prima giornata del convegno nazionale Focus sul Carcinoma Mammario che si apre oggi a Pordenone. “Il carcinoma mammario è la neoplasia in assoluto più frequente nel nostro Paese e interessa in totale 800mila donne – afferma il prof. Fabio Puglisi, Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica presso il Centro di riferimento Oncologico di Aviano e Responsabile Scientifico del Convegno di Pordenone -. Nella nostra Regione riusciamo a garantire un ottimo livello d’assistenza, nonché un accesso capillare ai trattamenti innovativi. È recente, inoltre, l’approvazione della Delibera della Giunta Regionale sulla Rete Oncologica del Friuli-Venezia Giulia. Siamo agli albori di un nuovo assetto organizzativo indispensabile per garantire un proficuo confronto tra i professionisti coinvolti nei percorsi di diagnosi e cura della patologia oncologica. Fra gli altri obiettivi, vi è l’intenzione di adottare programmi di ricerca condivisi e inseriti nel contesto dei bisogni clinici propri del territorio”. La sessione pomeridiana inaugurale del convegno di Pordenone è dedicata alle grandi opportunità offerte dalla così detta biopsia liquida. “Attraverso un semplice esame del sangue possiamo individuare le cellule tumorali e il DNA tumorale circolanti – prosegue il prof. Michelino De Laurentiis, Direttore del Dipartimento di Senologia e Toraco-Polmonare dell’Istituto Tumori di Napoli -. Sono informazioni indispensabili che ci permettono di capire quali potranno essere i mutamenti biologici del cancro. Con le biopsie tradizionali, svolte sui tessuti, abbiamo solo una semplice fotografia momentanea dello stato della malattia. Ora invece si definiscono in modo più preciso i target terapeutici ed è possibile prevedere un utilizzo più accurato e personalizzato dei trattamenti disponibili. Il monitoraggio dell’evoluzione della malattia ha come obiettivo anche la diagnosi precoce di un’eventuale recidiva”. “La ricerca si sta concentrando soprattutto nella cura degli stadi precoci del carcinoma mammario – sottolinea la prof.ssa Lucia Del Mastro, Coordinatrice della Breast Unit dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova e relatrice al convegno friulano -. Le terapie tendono ad essere sempre più spesso neo-adiuvanti e quindi somministrate nella fase preoperatoria per ottenere un trattamento chirurgico conservativo e meno invasivo. L’obiettivo è risparmiare l’asportazione dei linfonodi dell’ascella e ridurre comorbilità e complicanze, prima fra tutte il linfedema del braccio”. “Sono soprattutto due le tipologie di cure dove di recente abbiamo assistito alle principali innovazioni – prosegue Del Mastro -. La prima riguarda i carcinomi HER2-positivi per i quali è disponibile il farmaco immunoconiugato TDM-1. Viene utilizzato quando la chemioterapia, combinata con farmaci anti-HER2 tradizionali, non è in grado di eradicare totalmente la malattia presente a livello mammario o linfonodale. La seconda riguarda invece i tumori triplo negativi che attualmente presentano le prognosi peggiori. La novità è rappresentata dall’immunoterapia che sta dando dei risultati interessanti proprio in questo sottogruppo di casi particolarmente aggressivi. Sono allo studio nuovi trattamenti in grado di riattivare il nostro sistema immunitario contro il tumore. I farmaci immunoterapici combinati con la chemioterapia sembrano aumentare la probabilità di ottenere la remissione completa della malattia”. Infine, dal convegno nazionale organizzato in terra friulana arriva un appello a tutte le donne residenti nel nostro Paese. “È assolutamente necessario aderire ai programmi di screening e sottoporsi alla mammografia – conclude la prof.ssa Chiara Zuiani, Direttore dell’istituto di Radiologia dell’Universita’ di Udine e Past-President della sezione di Senologia della Società Italiana Radiologia Medica (SIRM) e relatrice al meeting di Pordenone -. Attualmente poco più del 54% delle italiane si sottopone regolarmente a questo esame e in Friuli-Venezia Giulia la percentuale sale al 70%. Grazie a questi controlli è possibile ridurre fino al 30% il tasso di mortalità della neoplasia”.

POLIAMBULANZA: UNA ‘SENSORY ROOM’ PER LA RIABILITAZIONE DEI PAZIENTI CON DEFICIT NEUROLOGICI

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Brescia, 17 febbraio 2020 –  Inaugurata oggi in Fondazione Poliambulanza nella nuova palestra del Dipartimento di Riabilitazione e serve per la rieducazione di chi è stato colpito da varie patologie come ictus, trauma cranico o malattie neurodegenerative.
“Scenari verosimili proiettati sulle pareti e sul pavimento invitano il paziente neurologico – che ha avuto un trauma cranico o è stato colpito da ictus o affetto da altre malattie neurodegenerative come la malattia di Parkinson – a interagire con stimoli visivi e acustici come fossero reali, per realizzare un compito, senza l’ausilio di occhiali o altri elementi estranianti – spiega Chiara Mulè, Direttore Dipartimento di Riabilitazione e Recupero Funzionale di Fondazione Poliambulanza -. Un sistema di analisi del movimento rileva il comportamento assunto e modifica le scene, per aumentarne il potere stimolante. In questo modo il percorso riabilitativo, oltre ad essere di grande efficacia, risulta personalizzato e anche molto divertente.” All’interno della palestra è stata attrezzata un’area dedicata alla valutazione dei disturbi del movimento attraverso una tecnologia che permettere interventi precisi, specifici e individualizzati.
Nel reparto è stato inoltre creato un vero e proprio ‘bilocale’ dotato di cucina e bagno, attrezzato, un vero e proprio appartamento di terapia occupazionale, in cui pazienti con esiti di ictus o altre malattie invalidanti e i familiari sono così messi nella condizione di affrontare, già in Ospedale, le difficoltà delle attività quotidiane e riacquisire autonomia grazie all’aiuto di un terapista occupazionale. Questo permette di verificare quali possono essere le soluzioni più funzionali per costruire quindi a casa un ambiente accessibile. A disposizione dei pazienti vi è anche un servizio di logopedia e neuropsicologia riabilitativa, per la diagnosi e terapia dei disturbi della comunicazione, del comportamento, della voce e della deglutizione.
“Questa iniziativa – commenta Simona Tironi, Vice Presidente della Commissione Sanità della Regione Lombardia – che ha il valore aggiunto di essere nata anche dalla generosità del nostro territorio, contribuirà a migliorare la qualità di vita dei pazienti con gravi lesioni neurologiche ed è un’occasione positiva anche in termini di sistema. Come riconfermato dal Piano sociosanitario 2019-2023 al quale stiamo lavorando, Regione Lombardia è attenta da tempo al tema della riabilitazione specialistica dopo eventi acuti cardio respiratori, neurologici e ortopedici. Sappiamo, infatti, che queste attività, specie quando effettuate precocemente, tempestivamente e nel setting assistenziale più appropriato, sono fondamentali per il più ampio recupero funzionale possibile e dunque per un reinserimento nella quotidianità che è fondamentale per i pazienti e i loro familiari.”
“I due terzi degli accessi nella nostra struttura riabilitativa – aggiunge Alessandro Triboldi, Direttore Generale di Fondazione Poliambulanza – sono correlati a deficit di tipo neuro-cognitivo, mentre la maggior parte dei pazienti ortopedici sono messi nelle condizioni di tornare nel proprio domicilio in tempi molto rapidi. Su queste basi abbiamo avviato un processo di ristrutturazione funzionale degli ambienti e di acquisizione di nuove strumentazioni, in cui è stato fondamentale il contributo dell’associazione Lapiada Bike.”
 

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SALUTE: EMICRANIA CON AURA COLPISCE OLTRE 1 MILIONE E 700MILA DI ITALIANI

Emerge da un recente studio pubblicato sulla rivista Pain Research and Management

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Roma, 12 febbraio 2020 –Si tratta forma di mal di testa e interessa oltre 1 milione e 700 mila italiani d’ogni fascia d’età.  Si manifesta con forti attacchi preceduti da disturbi visivi, sensitivi e a volte da disturbi dell’eloquio e spesso accompagnarsi a nausea e talvolta vomito. “L’aura associata all’emicrania colpisce oltre il 25% dei pazienti che soffrono di cefalea ma finora ha ricevuto scarsa attenzione negli studi clinici – sottolinea il dott. Giorgio Dalla Volta, del Consiglio Direttivo Nazionale della Societa’ Italiana per lo Studio delle Cefalee (SISC) e Direttore del Centro Cefalee dell’Istituto Clinico Città di Brescia (Gruppo San Donato) -. Non esistono al momento altre molecole dedicate alla possibilità di modulare e gestire questo disturbo. E’ un fenomeno elettrico che coinvolge alcune aree della corteccia cerebrale e non deve essere sottovalutato. L’emicrania con aura è estremamente invalidante perché impedisce al paziente di guidare o lavorare durante la perdita della vista e spaventa il paziente che teme ogni volta che possa essere un evento ischemico, essendo i sui sintomi sovrapponibili a quelli dell’ictus. La frequenza di solito è di poche crisi all’anno ma puo’ comparire anche piu’ volte alla settimana e recidivare per piu’ giorni consecutivi”. Uno studio italiano, recentemente pubblicato su Pain Research and Management, ha dimostrato l’efficacia di Aurastop. E’ un nutraceutico, oggetto anche di altri studi sulla prevenzione dell’emicrania, formato dagli estratti di due piante erbacee (il Partenio e la Griffonia) con l’aggiunta di magnesio, un minerale che contribuisce al normale funzionamento del sistema nervoso. La ricerca ha valutato gli effetti di questo prodotto naturale confrontandolo con un gruppo di pazienti trattati con solo magnesio. “Aurastop ha ridotto di oltre il 50% la durata degli episodi di attacchi di aura – prosegue Dalla Volta -. Anche la disabilità legata al disturbo è risultata dimezzata e nel 35% degli attacchi non c’è stato bisogno di assumere farmaci analgesici. Risultati ottimi e migliori rispetto a quelli ottenuti con la semplice assunzione di magnesio. Infatti nei pazienti trattati con magnesio solo il 14% ha riscontrato una diminuzione dell’aura e nella quasi totalità dei casi si è reso necessario dover prendere ulteriori medicinali antidolorifici”. Lo studio ha chiaramente evidenziato come il beneficio clinico sia attribuibile all’azione sinergica dei tre componenti rispetto alle singole molecole. “Aurastop per essere efficace deve essere assunto ai primi sintomi del disturbo visivo – aggiunge il dott. Dalla Volta -. Somministrato nella fase acuta riduce la durata e la disabilità della spiacevole esperienza dell’aura. E diminuisce anche l’evenienza dell’attacco doloroso che quasi sempre si presenta in seguito. Inoltre agisce positivamente anche sulla prevenzione dell’emicrania, sia con aura che senza aura, se viene assunto due volte al giorno per tre o più mesi. L’aura emicranica e l’emicrania sono una seria patologia che impatta fortemente sulla salute di oltre 7 milioni di cittadini solo nel nostro Paese. Si calcola che in Italia, i costi diretti e indiretti generati dal disturbo neurologico siano più di 6 miliardi di euro ogni anno. Ciò è dovuto al fatto che si manifesta soprattutto tra i 25 e i 55 anni e quindi nel periodo della vita di maggiore produttività”. “La nutraceutica rappresenta una preziosa risorsa e merita di essere maggiormente studiata e presa in considerazione per il trattamento di malattie a grande diffusione – aggiunge la dott.ssa Lidia Savi, già Direttrice del Centro Cefalee della AOU Città della Salute e della Scienza di Torino -.

SALUTE: SPORT ANCHE PER I BAMBINI ASMATICI, I PEDIATRI IN PRIMA LINEA NELLA CAMPAGNA “HO L’ASMA E FACCIO SPORT”

Il Presidente FIMP Paolo Biasci: “Siamo in prima linea, dal sospetto alla diagnosi,  al trattamento e alla sorveglianza”

ScreenHunter 10514a, 12 febbraio 2020 –  I pediatri di famiglia sono impegnati ogni giorno a riconoscere tempestivamente la malattia, a gestirla, in collaborazione con i centri di riferimento quando è grave, e a rendere tutto questo compatibile con la crescita di un bambino, che vuol dire anche sana attività sportiva. L’adesione alla campagna “Ho l’asma e faccio sport” va proprio in questa direzione. “In età pediatrica l’asma bronchiale è la più comune malattia cronica” ricorda il Presidente della Federazione Italiana Medici Pediatri Paolo Biasci. Arrivano a due/tre per classe i piccoli affetti da quella che è una patologia respiratoria in costante crescita, vuoi per reazioni allergiche a pollini, polveri, acari, muffe, epiteli di animali, vuoi per fattori infettivi, chimici, ambientali o reazioni da sforzo. Fare sport per questi bambini e adolescenti non solo è possibile, ma è necessario al loro benessere psico-fisico. Noi pediatri di famiglia facciamo la nostra parte, ma dobbiamo essere messi nelle condizioni di intercettare la malattia prima possibile, con strumenti diagnostici essenziali come lo spirometro e le prove allergiche cutanee ( skin prick test)”.

“Mi spingerei a dire che l’attività fisica per un bambino asmatico è un diritto – afferma il Vice-Presidente FIMP Antonio D’Avino – anche se in alcuni casi rischia di essere un obiettivo non raggiunto. Come pediatri di famiglia siamo i primi a dovercene responsabilmente occupare. Ma non tutti disponiamo della stessa tecnologia e di medesimi percorsi: sull’asma in età pediatrica i PDTA (Percorsi Diagnostico-Terapeutici Assistenziali) sono a macchia di leopardo sul territorio nazionale. Un percorso clinico omogeneo ci aiuterebbe invece nella gestione ottimale dei casi di asma non grave e nell’attivazione di una collaborazione strutturata e condivisa con i livelli superiori, nei casi più severi”. Ma come rendere compatibili asma e sport e quali sono le discipline più indicate per chi soffre di questa malattia? Per Mattia Doria, Segretario Nazionale alle Attività Scientifiche ed Etiche della FIMP, “il paziente asmatico che pratica attività fisica deve compiere un’adeguata preparazione e può aver bisogno di una terapia di fondo e/o di una premedicazione. Tra gli sport più adatti senz’altro il nuoto. Vanno bene comunque tutti quelli in cui l’impegno è graduale nel tempo e crescente nell’intensità, come le arti marziali, il basket e la pallavolo. Ma dobbiamo garantire a tutti i bambini asmatici anche di poter giocare a pallone. Possiamo addirittura affermare che lo sport diventa quasi la “cartina al tornasole” di una buona gestione dell’asma: se l’asma è ben trattata il bambino è in grado di praticare qualsiasi tipo di sport”. “Non dobbiamo privare bambini e ragazzi asmatici di un’opportunità di crescita fisica, psicologica, umana e sociale straordinaria come lo sport – l’appello del Presidente Biasci – considerando le positive ricadute in termini di salute e benessere. E non possiamo non pensare all’attività fisica come prevenzione di numerose patologie, anche tra gli asmatici.

PEDIATRI IN TOUR PER INSEGNARE A VACCINARE

Corsi di formazione rivolti anche a ostetriche e personale sanitario

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Il tour ha preso il via da Torino “Vaccinando su e giù per lo Stivale”, una campagna di formazione, giunta alla sua sesta edizione. L’intera giornata è stata dedicata al confronto sul Calendario Vaccinale per la Vita e Piano Nazionale di Prevenzione, approfondimenti su meningiti, rotavirus, influenza, papilloma virus, fino alle metodiche di analgesia in ambulatorio. “La Famiglia al centro: Un’alleanza per vaccinare al meglio” è invece il corso rivolto a ostetriche, assistenti sanitari, infermieri e pediatri che si terrà nella giornata odierna. “Consiglia i genitori, somministra e fa formazione. Il ruolo del pediatra di famiglia è tanto complesso quanto centrale nel raggiungimento delle coperture vaccinali del nostro Paese – afferma Paolo Biasci, Presidente FIMP -. E fondamentale è anche la collaborazione nell’assistenza, in particolare in ambito ostetrico e pediatrico, con la presa in carico della salute della futura madre, nel solco delle raccomandazioni vaccinali”. Nel programma del corso per le ostetriche anche l’importanza della comunicazione con le famiglie. “Informare e raccomandare al tempo delle fake news è un impegno basato anche su un rapporto di fiducia con la coppia. Esistono genitori difficili – dichiara Maria Vicario, Presidente della Federazione Nazionale Ordini della Professione Ostetrica -. Eppure, in Inghilterra il virus dell’HPV è stato quasi debellato proprio grazie a una campagna vaccinale massiva. Il tasso di infezioni da papilloma virus è sceso dal 15% a meno del 2% nelle ragazze 16-18enni, in soli 10 anni. Come essenziale è la raccomandazione del richiamo della pertosse e la vaccinazione antinfluenzale in gravidanza. L’alleanza tra professionisti innesca un processo virtuoso nell’assistenza e miglioramento della comunicazione alla popolazione – continua Vicario -. Per questo motivo la Federazione collabora intensamente con la FIMP nelle attività di formazione e informazione, come l’avvio del tour odierno”.

Prossime tappe: il 14 e 15 febbraio a Bologna e il 20 e 21 marzo a Napoli.
Per informazioni e iscrizioni vaccinazionifimp2020@webaimgroup.eu

Reumatologia: solo un paziente su cinque fa attività fisica

Oltre 5 milioni di italiani colpiti da malattie reumatologiche

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Torino, 7 febbraio 2020 – Tutti i pazienti reumatici dovrebbero svolgere attività fisica compatibilmente con le proprie condizioni di salute. Questo, infatti, rappresenta un prezioso aiuto per chi sta affrontando malattie come i reumatismi infiammatori e l’osteoartrosi. Attualmente meno del 20% dei pazienti pratica attività fisica ed è necessario incrementare il loro numero. L’appello degli specialisti, agli oltre 5 milioni di italiani colpiti da malattie reumatologiche, arriva dal convegno Reumasport organizzato con il supporto del Provider Dynamicom Education che si svolge oggi a Torino e che prevede la partecipazione di oltre 100 specialisti di diverse aree mediche. L’evento vuole offrire un’occasione di aggiornamento e confronto multidisciplinare su un aspetto della reumatologia di cui si dibatte ancora poco nel nostro Paese. “Per colpa di un retaggio culturale del passato, ad ancora troppi pazienti viene erroneamente sconsigliata l’attività fisica – afferma il dott. Simone Parisi, della SC Reumatologia AOU Città della Salute e della Scienza di Torino -. Oggi sono disponibili farmaci immunomodulatori sempre più personalizzati ed estremamente efficaci. Agiscono diminuendo il dolore e stabilizzando la patologia fino a contribuire al raggiungimento della remissione della malattia. Inoltre quelle reumatologiche non sono malattie solo appannaggio degli anziani ma colpiscono sempre di più anche giovani adulti, adolescenti e addirittura bambini. Sono quindi categorie di persone che possono e devono continuare a praticare attività sportiva”. “Se il paziente mantiene una corretta tonicità muscolare l’organismo riesce a rispondere meglio alla malattia – prosegue il prof. Ezio Ghigo, Direttore della SCDU Endocrinologia, Diabetologia e Metabolismo, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino -. Dal punto di vista metabolico un fisico allenato può avere una migliore risposta terapeutica e tollerabilità farmacologica. Il paziente affetto da artrite reumatoide corre un rischio doppio di sviluppare una malattia cardiovascolare rispetto al resto della popolazione. Per tutti questi motivi si rende necessaria l’attività fisica che però deve essere correttamente “prescritta” e svolta in modo consapevole. La profilazione di un’adeguata attività sportiva è un parametro importante come lo è la scelta del trattamento farmacologico più opportuno”. “Gli sport acquatici come il nuoto sono tra quelli indicati perché permettono di allenarsi in scarico gravitazionale e ciò aiuta chi ha problemi a livello articolare – sottolinea il dott. Marco Alessandro Minetto, della SCDU Medicina Fisica e Riabilitazione, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino -. Esercizio aerobico o attività atletica modulata sono altre discipline tra le più consigliate”. “Le malattie reumatologiche sono oltre 150 – conclude il dott. Enrico Fusaro, Direttore della SC Reumatologia, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino -. Per alcune di queste in particolare l’osteoartrosi, è possibile praticare una prevenzione, costituita in gran parte dall’attività fisica, dal controllo del peso corporeo e dal controllo delle alterazioni metaboliche. Per molte altre, come le artriti, non è possibile una prevenzione. Tuttavia un fisico allenato e tonico sopporta meglio le problematiche articolari qualora dovessero insorgere. Per questo anche noi reumatologi dobbiamo impegnarci per contrastare la sedentarietà, una pericolosa abitudine che riguarda oltre il 40% degli italiani”.

Tumori: in 10 anni in Italia meta’ dei pazienti vivi dopo la diagnosi

Giordano Beretta, Presidente AIOM: Il nostro Paese è ai vertici in Europa nell’assistenza oncologica.

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Milano, 3 febbraio 2020 – In dieci anni, in Italia, i pazienti vivi dopo la diagnosi di tumore sono aumentati del 53%. Erano 2 milioni e 250mila nel 2010, oggi sono 3 milioni e 460mila. Un risultato molto importante, che dimostra i passi in avanti realizzati nell’assistenza oncologica e che colloca il nostro Paese ai vertici in Europa e nel mondo. Ma si tratta di un risultato migliorabile, perché sono ancora troppe le differenze sul nostro territorio: dall’adesione e copertura degli screening ancora troppo basse al Sud, alla realizzazione delle reti oncologiche regionali a macchia di leopardo, alla disponibilità solo in alcune Regioni più virtuose di terapie efficaci e di test in grado di analizzare il profilo molecolare del tumore. È concreto il rischio di pericolose discrepanze a danno dei pazienti. Domani si celebra la Giornata Mondiale contro il Cancro, che ha l’obiettivo di evidenziare l’impegno di ognuno nella lotta contro la malattia (lo slogan di quest’anno è I am and I will). Un impegno che si traduce anche nel garantire a tutti le stesse opportunità di cura, eliminando le differenze territoriali. L’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) aderisce alla Giornata e, in una conferenza stampa oggi a Milano, lancia un appello alle Istituzioni perché venga seguito l’esempio delle Regioni più virtuose, a tutto vantaggio dei pazienti.
“Nel 2018 sono stati stimati, nel mondo, più di 18 milioni di nuovi casi di cancro, erano 12 milioni nel 2008 – spiega Giordano Beretta, Presidente Nazionale AIOM e Responsabile dell’Oncologia Medica all’Humanitas Gavazzeni di Bergamo -. La patologia è in costante crescita nel mondo per la diffusione di stili di vita scorretti, a cui si aggiungono anche fattori ambientali. La qualità del nostro Sistema Sanitario è testimoniata dalla sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi, che presenta tassi più alti rispetto alla media europea nei tumori più frequenti: 86% nella mammella (83% UE), 64% nel colon (60% UE), 16% polmone (15% UE) e 90% prostata (87% UE). E raggiungiamo questi risultati con minori investimenti: la spesa sanitaria pubblica in rapporto al PIL nel nostro Paese ha registrato un calo, passando dal 7% nel 2010 al 6,5% nel 2017, a fronte del 9,8% della media europea. Vi sono, però, ancora differenze regionali che devono essere superate, perché nessuno rimanga indietro e tutti possano accedere alle cure più efficaci indipendentemente dal luogo in cui vivono”.
Alcune Regioni come la Campania hanno segnato la strada. “A ottobre 2019, è stata la prima in Italia a fornire gratuitamente a tutti i pazienti colpiti da melanoma, un tumore della pelle, la combinazione di due molecole immunoterapiche, nivolumab e ipilimumab – afferma Paolo Ascierto, Direttore dell’Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione ‘G. Pascale’ di Napoli -. Un anno fa, la terapia era stata approvata dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), ma lasciata in fascia C, impendendone così la rimborsabilità da parte del Servizio Sanitario Nazionale. Si è creato in questo modo un grave danno per i pazienti colpiti da melanoma, soprattutto per i cittadini con metastasi cerebrali asintomatiche, circa il 40% del totale, per i quali questa combinazione ha evidenziato risultati importanti: il 70% delle persone è libero da recidiva a 2 anni, motivo per cui tale trattamento è riconosciuto come prima opzione dalle maggiori linee guida internazionali in questi pazienti. Nelle altre Regioni la terapia non è ancora rimborsata, chiediamo che le Istituzioni locali si attivino quanto prima perché i malati non possono aspettare”.
La Lombardia è stata apripista sui test genomici, stabilendone, a settembre 2019, la rimborsabilità per le donne con carcinoma della mammella in stadio iniziale (positivo ai recettori ormonali e a rischio intermedio). “È stata la prima Regione ad adottare un provvedimento di questo tipo – sottolinea Nicla La Verde, membro Direttivo nazionale AIOM e Direttore Oncologia Ospedale Sacco di Milano -. La genomica fornisce straordinarie informazioni sulla natura di alcuni tumori, in particolare nel carcinoma mammario aggiunge dati che i parametri clinici, come il diametro della massa tumorale o la sua stadiazione, non offrono. I test genomici sono in grado di predire l’aggressività della malattia in stadio iniziale e di stimare meglio il rischio di una paziente, operata di tumore al seno, di sviluppare metastasi; quindi possono aiutare a decidere se aggiungere la chemioterapia alla terapia ormonale dopo la chirurgia. Grazie al test genomico, alcune pazienti a rischio intermedio di ricaduta possono evitare la chemioterapia. Ciò può tradursi, da un lato, in un beneficio clinico per le pazienti che non vengono più esposte a un eccesso di trattamento e al relativo rischio di tossicità immediate e tardive, dall’altro in un impatto favorevole sulla spesa sanitaria, che rappresenta un elemento di importanza fondamentale con cui anche i clinici devono confrontarsi”.
Nel trattamento del tumore della mammella si stanno evidenziando preoccupanti disparità nell’accesso alle terapie. “In particolare, nelle forme che esprimono in quantità eccessiva la proteina HER2 e che rappresentano circa il 15-20% dei casi, l’ente regolatorio europeo (EMA) nel 2015 ha approvato pertuzumab, terapia a bersaglio molecolare, prima della chirurgia (trattamento neoadiuvante) – spiega Lucia Del Mastro, membro Direttivo nazionale AIOM e Responsabile Breast Unit IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova -. È dimostrato che il farmaco, somministrato insieme alla chemioterapia prima dell’intervento chirurgico, aumenta la probabilità di ottenere la risposta patologica completa, vale a dire la scomparsa del tumore invasivo sia nel seno che nei linfonodi, riducendo così le probabilità di ripresa di malattia. AIFA ha recepito l’indicazione europea, ma nel 2017 ha deciso di non rimborsare la molecola. In questo modo, si creano disuguaglianze sia rispetto agli altri Paesi europei che invece (fatta eccezione per la Francia) hanno rimborsato la molecola sia all’interno del territorio nazionale. Assistiamo a disparità inaccettabili nell’accesso alla terapia, anche all’interno di una stessa Regione, perché alcuni ospedali hanno assunto la decisione di acquistare il farmaco, invece altri, per considerazioni di budget, non l’hanno adottata. Nel momento in cui EMA approva un farmaco con una specifica indicazione, AIFA dovrebbe non solo recepire la decisione ma anche rimborsare la terapia. La situazione attuale crea difficoltà sia alle pazienti sia ai medici, che non possono seguire le linee guida internazionali che raccomandano il trattamento neoadiuvante con pertuzumab”.
Il 4 e 5 febbraio a Milano, AIOM e Fondazione AIOM organizzano un corso di formazione sulle Linee Guida destinato ai pazienti. “Le Linee Guida sono uno degli strumenti principali della medicina basata sull’evidenza – afferma Massimo Di Maio, Segretario Nazionale AIOM e Direttore dell’Oncologia dell’Ospedale Mauriziano di Torino -. Attraverso un processo sistematico e trasparente rendono possibile il trasferimento nella pratica clinica di tutte le nuove conoscenze prodotte dalla ricerca medico-scientifica. Nell’elaborazione di diverse Linee Guida AIOM hanno preso parte anche i pazienti, che oltre ai medici specialisti, sono gli ‘utilizzatori finali’ di questi documenti. Devono essere inclusi nella loro stesura, per questo organizziamo corsi di formazione per pazienti. Ma le Linee Guida non bastano. Per estendere le ‘buone pratiche’ a tutto il territorio, devono essere implementate le reti oncologiche regionali, la cui attivazione ad oggi risulta eterogenea. Le reti rappresentano il modello per garantire in tutto il nostro Paese l’accesso a diagnosi e cure appropriate e di qualità, per razionalizzare risorse, professionalità e tecnologie, e per arginare il fenomeno preoccupante delle migrazioni sanitarie”.
In Italia, nel 2019, le nuove diagnosi di cancro sono state 371mila. “Rispetto al 2018, si è registrato un calo di circa 2.000 casi, a cui ha contribuito l’efficacia dello screening del tumore del colon retto, che permette di individuare lesioni a rischio prima della loro trasformazione in neoplasia – conclude il Presidente Beretta -. L’adesione alla mammografia, nel 2017, ha raggiunto il 55% e allo screening colorettale il 41%. Vi sono notevoli differenze fra Nord e Sud che vanno ricondotte anche alla diversa copertura. Per quanto riguarda la mammografia, quest’ultima è praticamente completa nell’Italia settentrionale e centrale, al Sud invece solo 6 donne su 10 ricevono l’invito. Nello screening colorettale, al Nord e al Centro siamo vicini alla copertura completa (92% Nord, 95% Centro), il Sud invece è ancora sotto il 50%”.