IL 70% DEGLI ITALIANI SCONFIGGE IL CANCRO

Il presidente Carmine Pinto: “Il 40% dei casi è evitabile con la prevenzione, le nostre campagne per sensibilizzare i cittadini. Le terapie innovative sono sempre più efficaci ma servono risorse dedicate”

Roma, 28 aprile 2016 – Aumentano le guarigioni degli italiani colpiEco di Bergamoti dal cancro, oggi il 68% dei cittadini a cui vengono diagnosticati tumori frequenti sconfigge la malattia. Percentuali che raggiungono il 91% nella prostata e l’87% nel seno, le due neoplasie più diffuse fra gli uomini e le donne. L’impegno degli oncologi si muove su più fronti: da un lato migliorare la consapevolezza dei cittadini sulle regole della prevenzione, perché il 40% dei casi di tumore può essere evitato con uno stile di vita sano (no al fumo, dieta corretta e costante attività fisica), con evidenti risparmi per il sistema sanitario. Dall’altro garantire a tutti le terapie più efficaci e l’assistenza migliore, un obiettivo da raggiungere con la creazione immediata di un Fondo Nazionale per l’Oncologia. La proposta è avanzata alle Istituzioni dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) nel convegno nazionale sullo “Stato dell’Oncologia in Italia” organizzato dalla società scientifica oggi al Senato con la partecipazione del Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin. “Nel 2015 sono stati stimati 363mila nuovi casi di cancro nel nostro Paese – spiega il prof. Carmine Pinto, presidente nazionale AIOM -. Il Fondo può essere finanziato con le accise sul tabacco, 1 centesimo in più a sigaretta, per colpire una delle cause del tumore al polmone, tra le forme più diffuse, con circa 41.000 nuove diagnosi registrate nel 2015. Terapie innovative sempre più efficaci consentono ai pazienti di vivere a lungo, in alcuni casi più di 5 anni con una buona qualità di vita, anche se colpiti da patologie particolarmente aggressive come il melanoma avanzato che fino a pochi anni fa era caratterizzato da una sopravvivenza di 6-9 mesi”. Più di 3 milioni di cittadini (il 4,9% della popolazione) vivono con una diagnosi di tumore. E circa due milioni persone possono affermare di avere sconfitto la malattia. “L’istituzione di un Fondo non deve esimerci dall’obbligo dell’appropriatezza – sottolinea la dott.ssa Stefania Gori, presidente eletto AIOM -. Sono ancora troppi gli esami impropri, un problema che riguarda in particolare i marcatori tumorali. Questi test sono utilizzati in oncologia da più di 40 anni, ma oggi il loro uso sta diventando eccessivo rispetto al numero dei pazienti oncologici. Perché vengono impiegati a scopo diagnostico in persone non colpite dalla malattia. Nel 2012 sono stati eseguiti oltre 13 milioni di marcatori tumorali a fronte di 2 milioni e 300mila italiani che vivevano dopo la diagnosi (oggi sono più di 3 milioni). La soluzione è rappresentata dalla uniformazione a livello nazionale delle indicazioni per un loro uso appropriato, per questo l’AIOM entro il 2016 presenterà un documento condiviso con la SIBiOC (biochimici clinici) e altre società scientifiche”. “Data la bassa specificità di quasi tutti i biomarcatori – continua il prof. Pinto -, l’impiego a scopo diagnostico e durante il follow up comporta un’alta probabilità di incorrere in risultati falsi positivi che, di fronte al numero complessivo di richieste, potrebbe riguardare in Italia ogni anno centinaia di migliaia di persone non affette da tumore, che almeno in parte vengono sottoposte ad ulteriori accertamenti di conferma o esclusione di una possibile neoplasia. L’eccessivo utilizzo di esami in scenari inappropriati rappresenta oggi un problema socio-sanitario complesso. Sono evidenti le conseguenze psicologiche e fisiche sul paziente e pesanti le ricadute sul piano della organizzazione e fruizione dei servizi, quindi anche economiche, che possono far seguito all’impiego di marcatori tumorali, di esami diagnostici di imaging e esami endoscopici prescritti in modo improprio”.

PROSTATA : TOUR DEGLI ONCOLOGI A BRESCIA PER PROMUOVERE STILI DI VITA SANI

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Ogni anno, il cancro della prostata colpisce 7.430 lombardi, 750 solo a Brescia e provincia. In tutta Italia, nel 2015 le diagnosi di questo tumore, un quinto del totale e il più frequente nei maschi con più di 65 anni, sono state più di 35.000. Fatto non irrilevante, visto che la popolazione anziana rappresenta oggi circa il 21% del totale, ma nel 2050 gli over65 nel mondo raddoppieranno e i super-anziani, con più di 80 anni, triplicheranno. Tuttavia, 8 su 10 non sanno che si può prevenire o anche convivere con il cancro della prostata adottando stili di vita sani ed evitando alcol e fumo. Le cattive abitudini possono infatti essere corrette anche in età avanzata. “Un quarto dei cittadini lombardi più anziani fa poca attività fisica e circa la metà supera il peso forma – afferma il prof. Alfredo Berruti, professore associato di Oncologia Medica presso l’Università degli Studi di Brescia e direttore del reparto di Oncologia Medica alla ASST Spedali Civili di Brescia -. Anche l’alimentazione non è sempre la migliore per la maggior parte degli anziani residenti in questa regione: solo il 13% consuma frutta e verdura in quantità adeguate. Inoltre, l’11% degli over65 fuma e il 21,1% eccede con gli alcolici”.
Questa situazione, che interessa più o meno pesantemente tutta l’Italia, ha portato l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) a lanciare il progetto ‘Prostata: sul tumore vince chi gioca d’anticipo’, un vero e proprio ‘Tour della prevenzione’ in ventitré città che prevede l’approccio diretto degli oncologi con gli anziani per parlare esclusivamente di lotta alle neoplasie nei centri ricreativi per la terza età. L’iniziativa, realizzata con successo da AIOM, grazie al contributo incondizionato di Janssen, farmaceutica di Johnson & Johnson, è giunta al suo ventesimo appuntamento, che si svolgerà oggi pomeriggio a Brescia alle ore 15 presso l’Auditorium Anteas (Via Altipiani d’Asiago, 3). “Sapere che il 79% degli over65 non ritenga utile modificare le abitudini scorrette in età avanzata è preoccupante – continua il prof. Berruti. – È invece largamente dimostrata l’azione protettiva e antitumorale della dieta mediterranea e di una regolare attività fisica, che sono in grado di contrastare i principali processi degenerativi legati all’invecchiamento, di prevenire i disturbi cardiovascolari e metabolici e diminuire anche il rischio oncologico. Basti pensare che smettere di fumare in età avanzata, come confermano recenti studi, riduce il rischio di invalidità e morte fino al 34%”.
Il tour promosso da AIOM si focalizza soprattutto sui tumori della terza età, primo tra tutti quello della prostata, per spiegare che il cancro si può prevenire, ma che anche quando colpisce può essere sconfitto e si può tornare ad una vita normale. Obiettivo è una fascia di popolazione per la quale non esistono programmi di informazione adeguati: gli anziani. “Correggere comportamenti a rischio come l’abitudine al fumo, il consumo di alcol o la sedentarietà offre notevoli vantaggi anche in età matura, riducendo la probabilità di sviluppare una neoplasia – aggiunge l’oncologo -. Con l’invecchiamento, il rischio di cancro è 40 volte più alto rispetto alle persone di 20-40 anni e 4 volte rispetto a quelle di 45-65 anni. Nonostante ciò, il 40% dei tumori si può prevenire attraverso stili di vita corretti. Una dieta sana ha importanti effetti positivi perché, quando si è colpiti dalla malattia, può rallentare la progressione del cancro e aiutare il paziente a rispondere meglio alle terapie. L’oncologo ha un ruolo chiave nell’informare il paziente non solo sulla patologia e sui trattamenti a quali sarà sottoposto, ma soprattutto su come gestire il tumore, partendo dalla correzione di quei comportamenti sbagliati come l’abitudine al fumo, il consumo di alcolici, l’alimentazione poco equilibrata e la sedentarietà”.

“ESCI DAL TUNNEL. NON BRUCIARTI IL FUTURO” IL TOUR DI ONCOLOGI E PNEUMOLOGI CONTRO I DANNI DEL FUMO

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Padova, 26 Aprile 2016 – Dopo il grande successo della prima edizione riparte il tour degli oncologi e pneumologi italiani Esci dal tunnel. Non bruciarti il futuro. L’iniziativa è promossa da WALCE Onlus (Women Against Lung Cancer in Europe), l’associazione europea dedita ai pazienti affetti da tumori toracici, e viene presentata il 26 aprile all’Istituto Oncologico Veneto (IOV) IRCCS di Padova. La campagna ha l’obiettivo di combattere il tabagismo e sensibilizzare tutta la popolazione sui rischi per la salute derivati da questa pratica. Prenderà il via il 14 e 15 maggio da Padova, unica tappa del Nord Italia. Nella centrale Piazza Cavour sarà posizionato un tunnel a forma di sigaretta gigante, lungo 14 metri e alto 3, all’interno del quale è previsto un percorso di conoscenza a tappe sui pericoli del fumo. Sarà inoltre possibile parlare con un medico specialista in malattie dell’apparato respiratorio e ricevere opuscoli e altro materiale informativo.

«Dire addio alle sigarette non è una missione impossibile – afferma la prof.ssa Silvia Novello, Presidente di WALCE e docente nel Dipartimento di Oncologia Polmonare all’Università di Torino – Per iniziare bisogna prendere coscienza della loro grandissima pericolosità. Ogni anno solo il cancro del polmone provoca in Italia oltre 33.000 decessi. Il consumo di “bionde” e di altri prodotti a base di tabacco è il principale fattore di rischio che favorisce l’insorgenza della malattia. Con questa nostra iniziativa vogliamo informare e mettere in guardia i cittadini di tutte le fasce d’età e anche le istituzioni. Nonostante le leggi, sempre più restrittive, nel nostro Paese ancora un italiano su cinque fuma regolarmente».

Anche l’Istituto Oncologico Veneto (IOV) IRCCS ha deciso di partecipare alla tappa padovana dell’iniziativa nell’ambito del programma della Regione Veneto per la campagna di screening di prevenzione. «Lo IOV ha deciso di sostenere la campagna di WALCE sia perché la prevenzione rientra tra le finalità dell’Istituto sia alla luce dell’interesse che l’iniziativa ha suscitato l’anno scorso – spiega la dott.ssa Patrizia Simionato, Direttore Generale dell’Istituto Oncologico Veneto (IOV) IRCCS – Nel 2015, infatti, la tappa padovana della campagna è stata quella che ha fatto registrare il maggior numero di accessi, oltre settecento, alla “sigaretta gigante”, superiori addirittura a quelli avuti in grandi città come Roma e Milano. Tale riscontro ci ha detto che nella popolazione, in particolare tra i giovani e i giovanissimi, c’è un forte desiderio di essere informati sui rischi per la propria salute, nel caso specifico quelli derivanti dal fumo, ed era nostro dovere contribuire a dare una risposta qualificata a queste domande».

Tumore della prostata: Colpisce ogni anno più di 600 persone,circa 250 nella città di Trento

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In Italia, le nuove diagnosi di questa neoplasia sono state più di 35.000 nel 2015, circa il 20% del totale, la più frequente tra gli over 65, che in questa regione costituiscono circa il 19% della popolazione. Ma 8 su 10 non sanno che si può prevenire o comunque vivere a lungo con una diagnosi di tumore adottando stili di vita sani. Nella provincia autonoma di Trento, il 23% degli anziani eccede con l’alcol, il 46,4% è in sovrappeso oppure obeso e quasi il 6% è fumatore. Per sottolineare l’importanza di adottare abitudini corrette anche nella popolazione anziana fa tappa a Trento il ‘Tour della prevenzione oncologica nella terza età‘, promosso dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) che porta gli oncologi a parlare di lotta ai tumori direttamente agli anziani nei centri ricreativi per la terza età, è focalizzato sulla prevenzione dei tumori negli anziani, per rassicurarli che anche quando questi colpiscono si possono controllare e si può avere una vita normale. L’obiettivo di AIOM era intercettare la fascia di popolazione per la quale non esistono ad oggi programmi di informazione adeguati.”Esiste un enorme vantaggio nel correggere le cattive abitudini, anche se si è in età matura -aggiunge l’oncologa Francesca Maines, Ospedale Santa Chiara di Trento. – Negli anziani, il rischio di cancro è 40 volte più elevato rispetto agli adulti più giovani di 40 anni e 4 volte maggiore rispetto a quelli di 45-65 anni. Stili di vita sani non solo hanno effetti preventivi ma, quando si è colpiti dalla malattia, aiutano a rispondere meglio alle terapie e ad abbassare il rischio di recidiva”.

“E non è tutto. Un secondo aspetto su cui dobbiamo insistere in questa popolazione-prosegue la dottoressa-riguarda il momento della diagnosi. La maggior parte dei tumori della terza età è scoperta in fase avanzata. E spesso non tutti i pazienti accedono ai trattamenti innovativi”. Tra i temi che verranno discussi nel dibattito sarà inclusa anche la gestione del tumore prostatico, il più frequente tra gli uomini di età superiore ai 65 anni. “Si tratta di una malattia subdola, perché possono passare anni prima della comparsa di sintomi evidenti-spiega l’esperta-. Tuttavia, grazie a una maggior attenzione al proprio stile di vita e a nuovi trattamenti, questo tumore può essere gestito bene anche in età molto avanzata. Nove pazienti su dieci, infatti, superano o convivono con la malattia con una buona qualità di vita. Per il tumore prostatico non esistono ancora programmi di screening efficaci come la mammografia e il sangue occulto nelle feci, rispettivamente per il cancro della mammella e del colon-retto. Per questo è importante l’informazione.

 

Tumori: In Sardegna 70.349 persone vivono dopo la diagnosi

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Cagliari, 21 aprile 2016 –   Oggi terapie sempre più efficaci, come l’immuno-oncologia, permettono di sconfiggere la malattia o di allungare in maniera significativa la sopravvivenza a lungo termine, come evidenziato nel libro “Si può vincere” realizzato dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) che raccoglie le testimonianze dei pazienti che si sono lasciati il cancro alle spalle. Il volume è presentato oggi a Cagliari, la terza tappa di un tour nazionale di 10 incontri con il coinvolgimento dei cittadini, delle Istituzioni e delle associazioni dei pazienti. “Oggi non si può più parlare di male incurabile – spiega il dott. Daniele Farci, oncologo all’Ospedale Businco di Cagliari e membro del Consiglio Direttivo nazionale AIOM -. In Italia più di 3 milioni di persone vivono con la diagnosi di tumore. In sei pazienti su dieci la malattia è stata individuata da almeno 5 anni, per cui possono essere considerati guariti. Ma nella Regione è fondamentale aumentare l’adesione ai programmi di screening”. Nel biennio 2011-2012 solo il 46,4% delle donne residenti nell’isola ha eseguito una mammografia rispetto a una media nazionale pari al 60,9%. Migliore invece la risposta agli altri due test raccomandati, anche in rapporto alla media nazionale. Circa il 45% ha aderito all’invito a sottoporsi al Pap-Test (41% Italia) per la diagnosi tempestiva del tumore del collo dell’utero. E il 50,3% dei sardi ha eseguito il test per la ricerca del sangue occulto nelle feci per individuare il cancro del colon-retto (47,1% Italia). I principali ‘big killer’ (tumore del seno, polmone, prostata, colon-retto, stomaco) hanno fatto registrare nel 2015 nella Regione 5.230 nuovi casi. “La sfida è intervenire contro il tumore in una fase iniziale. Questo risultato può essere raggiunto con le analisi genetiche e molecolari, perché alla radice di ogni neoplasia vi sono alterazioni in uno o più geni – sottolinea il prof. Giuseppe Palmieri, Responsabile dell’Unità di Genetica dei Tumori dell’Istituto di Chimica Biomolecolare-CNR di Sassari -. Attraverso test condotti sulla popolazione della Sardegna sono stati individuati fattori di rischio (età, numero e distribuzione dei tumori in famiglia) in grado di predire in maniera significativa la presenza di mutazioni genetiche predisponenti al cancro del seno e del colon-retto. Abbiamo anche dimostrato che queste alterazioni sono associate a un aumentato rischio di sviluppare non solo queste due neoplasie, ma anche diversi altri tipi di tumori”. “La storia naturale di alcune patologie oncologiche è radicalmente cambiata proprio grazie alle nuove conoscenze biologiche, alla capillare diffusione degli esami di screening e ai trattamenti innovativi mirati – continua il dott. Farci -. L’impatto, non solo economico, dei tumori è in costante crescita perché legato al progressivo invecchiamento della popolazione. Per ottimizzare l’impiego delle risorse disponibili è fondamentale indagare quali aspetti del sistema sanitario non corrispondano a rigidi criteri di efficacia ed efficienza: strutture, ospedali, enti che potrebbero essere gestiti al meglio per potenziare la qualità dei servizi”.

TUMORE DEL RENE: L’IMMUNO-ONCOLOGIA AUMENTA DEL 27% LA SOPRAVVIVENZA”

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L’efficacia dell’immuno-oncologia si estende al tumore del rene, che nel nostro Paese ha fatto registrare 10.400 nuovi casi nel 2015. In poco più di un anno ben 5 studi in cui è stata sperimentata una nuova molecola immuno-oncologica, nivolumab, sono stati interrotti in anticipo perché hanno raggiunto l’obiettivo ambizioso di un aumento della sopravvivenza. Il melanoma ha aperto la strada, a seguire il tumore del polmone non a piccole cellule (nelle due istologie, squamoso e non squamoso), e, negli ultimi mesi, il carcinoma renale e i tumori del distretto testa collo. Questo approccio innovativo permette anche di migliorare la qualità di vita dei pazienti. “È la dimostrazione che il meccanismo d’azione dell’immuno-oncologia ha un’efficacia trasversale, non limitata a una sola patologia, proprio perché stimola il sistema immunitario rinforzandolo nella lotta contro la malattia – spiega il prof. Sergio Bracarda, Direttore della UOC di Oncologia Medica di Arezzo, Azienda USL Toscana SUDEST -. Nivolumab è approvato negli Stati Uniti e in Europa per il trattamento dei pazienti con carcinoma a cellule renali avanzato precedentemente trattati. Lo studio di fase III che ha portato alla registrazione della molecola ha evidenziato un aumento della sopravvivenza del 27%, pari a più di 5 mesi, rispetto allo standard di cura (25 mesi rispetto a 19,6 mesi)”. In diciassette anni (1990-2007) la sopravvivenza a cinque anni delle persone colpite da tumore del rene è aumentata del 10%. Per i casi diagnosticati più recentemente la sopravvivenza è pari al 69% per gli uomini e al 73% per le donne. Passi in avanti importanti realizzati grazie alle terapie e alla diagnosi precoce. Il 60% circa delle neoplasie renali è individuato casualmente, come diretta conseguenza dell’impiego, sempre più diffuso, della diagnostica per immagini in pazienti non sospetti in senso oncologico. “Ma circa un quarto delle diagnosi avviene in stadio avanzato, con limitate possibilità di trattamento – afferma il prof. Giacomo Cartenì, Direttore dell’Oncologia Medica dell’Ospedale Cardarelli di Napoli -. Nel cancro del rene la chemioterapia e la radioterapia si sono dimostrate, storicamente, poco efficaci. Globalmente, il tasso di sopravvivenza a cinque anni, nei pazienti che ricevono diagnosi di tumore del rene metastatico o avanzato, è del 12,1%. Pertanto la disponibilità di nuove armi come nivolumab potrà migliorare in maniera significativa la capacità di gestione complessiva di questa neoplasia. Nell’immuno-oncologia il beneficio clinico deve essere osservato in base alla sopravvivenza e può invece sfuggire se si utilizzano i parametri ‘classici’ rappresentati dalla risposta oggettiva o dalla sopravvivenza libera da progressione. Va inoltre messo in evidenza l’aumento significativo dei pazienti vivi nei diversi tempi di osservazione. In uno studio di fase 1, con un follow-up a 3 anni, è stato evidenziato il 44% di pazienti vivi”. Anche l’impatto sulla qualità di vita è importante. “Nello studio di fase III – continua il prof. Cartenì -, i pazienti trattati con nivolumab hanno manifestato un miglioramento dei sintomi correlati alla malattia e della qualità di vita rispetto allo standard di cura. I risultati hanno evidenziato che entro 20 settimane di terapia i pazienti trattati con la nuova molecola hanno manifestato un significativo miglioramento dei sintomi, mentre i pazienti trattati con lo standard di cura hanno mostrato un evidente deterioramento entro la quarta settimana”. Nel melanoma, grazie al trattamento con ipilimumab, il primo farmaco immuno-oncologico approvato, il 20% dei pazienti è vivo a 10 anni. “I dati a disposizione sono ancora poco maturi per utilizzare il termine lungosopravviventi nel carcinoma renale – conclude il prof. Bracarda – ed è necessario un follow up più lungo. Ciò che emerge è comunque l’aumento significativo di pazienti vivi nei diversi tempi di osservazione. Alla luce della tendenza già vista in precedenti studi con farmaci immuno-oncologici, è possibile che queste percentuali di sopravvivenza si mantengano anche negli anni successivi e che quindi si possa in futuro parlare di lungosopravviventi. Si stanno aprendo inoltre ulteriori prospettive molto interessanti grazie ad altri studi che stanno valutando combinazioni di farmaci, quali ipilimumab e nivolumab, atezolizumab e bevacizumab e altre ancora”.

SIGO: “CONTRO LA MALASANITA’ IN SALA PARTO NON SERVONO NUOVE LEGGI”

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Roma, 15 aprile 2016 – “Per tutelare la salute delle neo-madri italiane e garantire la sicurezza in sala parto non c’è bisogno di nuove leggi. E’ sufficiente applicare al 100% la regolamentazione già vigente a partire dai provvedimenti stabiliti dalla riforma Fazio del 2010”. E’ quanto affermano la Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO), l’Associazione Ostetrici e Ginecologi Ospedalieri Italiani (AOGOI) e l’Associazione Ginecologi Universitari Italiani (AGUI). I ginecologi prendono così le distanze dal DDL sulla violenza ostetrica presentato dal deputato Adriano Zaccagnini, sostenuto da alcune associazioni e da un campagna virale sui social media. Un disegno di legge che offende la professionalità degli operatori sanitari i quali non sono stati nemmeno convocati per richiedere spiegazioni o documentazioni. Il provvedimento diventa così soltanto un duro attacco immotivato a tutta la categoria degli operatori dei punti nascita che si riservano di tutelare, in ogni sede, il loro diritti e la loro onorabilità. “Eventuali offese alla dignità personale della partoriente e del neonato, scelte terapeutiche non corrette o abusi da parte del personale sanitario devono essere ovviamente contrastati – affermano i proff Paolo Scollo (Presidente SIGO), Vito Trojano (Presidente AOGOI) e Nicola Colacurci (Presidente AGUI) -. Alla magistratura spetta il compito di punire chi ha sbagliato ma siamo convinti che la malasanità si possa prevenire. Bisogna applicare la normativa prevista dal decreto ministeriale D.M. 70 che prevede la chiusura e accorpamento dei punti nascita al di sotto dei 1.000 parti l’anno e la corrispettiva messa in sicurezza dei restanti. Il disegno di legge, proposto dall’Onorevole Zaccagnini e attualmente presentato alla Camera, stabilisce invece una serie di nuove restrizioni inutili o addirittura controproducenti. Molte di queste norme, se applicate, renderebbero il nostro lavoro ancora più difficile. Inoltre alimenterebbero il contenzioso medico-legale e di conseguenza anche il ricorso alla medicina difensiva”. “Le nostre Società Scientifiche – aggiungono i ginecologi italiani – sono state le prime a sollecitare la messa in sicurezza delle sale parto del nostro Paese. Per ottenere questo obiettivo fondamentale, non solo per i professionisti ma anche per l’intera collettività, ci siamo mossi nelle sedi istituzionali. Abbiamo promosso una legge sulla responsabilità professionale che tutela la salute delle pazienti mettendo in sicurezza l’operato dei sanitari. E non abbiamo esitato a scioperare, nel febbraio del 2013, per la prima volta nella storia della Repubblica. Non tutti i punti nascita con meno di mille parti l’anno sono stati chiusi o riconvertiti. Quel provvedimento deve essere applicato al 100% per assicurare la salute di donne e neonati”. “Nei mesi scorsi alcuni gravi episodi di malasanità si sono verificati proprio nei reparti materno-infantili – concludono i proff Scollo, Trojano e Colacurci -. Al di là del clamore mediatico suscitato da certi eventi bisogna ricordare che i dati del nostro Paese sulla mortalità neonatale e materna sono tra i più bassi in Europa. Siamo convinti che resta ancora molta strada da percorrere per rendere più sicuro nascere in Italia. Come rappresentanti dei ginecologi e ostetrici italiani siamo pronti a collaborare con le Istituzioni”.

TUMORI RARI: “IN ITALIA 89.000 NUOVI CASI DIAGNOSTICATI NEL 2015

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E la sopravvivenza a cinque anni per questi pazienti, spesso giovani, è del 55%, inferiore rispetto a quella registrata nelle neoplasie frequenti, pari al 68%. Sono alcuni numeri del Rapporto 2015 dell’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM) dedicato ai tumori rari presentato oggi a Milano in un incontro con i giornalisti. È il primo report di questo tipo nel nostro Paese ed è realizzato in collaborazione con l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM). “I dati epidemiologici contenuti nel volume colmano un vuoto importante nelle nostre conoscenze ed evidenziano problemi specifici che spingono a una riorganizzazione del sistema sanitario in questo settore – spiega il prof. Carmine Pinto, presidente nazionale AIOM -. Oggi in Italia vivono almeno 900mila persone colpite da neoplasie rare ed è necessario rispondere alle loro esigenze. Ritardi nella diagnosi, scarse conoscenze, pochi studi clinici e limitate opzioni terapeutiche compromettono talvolta le possibilità di guarigione. Esistono a tutt’oggi importanti differenze nell’accesso e qualità di cura tra diverse aree del Paese. Formazione, definizione di percorsi diagnostici e terapeutici e della rete assistenziale, ricerca e introduzione di terapie efficaci rappresentano punti cardine per una efficiente sanità pubblica”. Queste persone sono affette da tumori eterogenei tra di loro e, molti, estremamente rari. Basti pensare che in Italia ogni anno vengono diagnosticati circa 230 tumori del timo, quelli del polmone invece sono 41.000. Questi pazienti sono quindi numerosi se considerati nel loro insieme, ma rari singolarmente. “La rarità rappresenta il problema principale per la ricerca – sottolinea il prof. Pinto – e l’assistenza va completamente ripensata considerando i numeri che questo rapporto fornisce per la prima volta in Italia. Ci auguriamo quindi che la pubblicazione abbia un impatto anche a livello istituzionale. A partire dal potenziamento della Rete Tumori Rari, istituita nel 1997 e focalizzata soprattutto sui sarcomi. Questa Rete ha svolto un lavoro eccellente, però opera ancora sul principio dell’adesione volontaria delle strutture e non copre tutto il territorio. È indispensabile implementare un network del Sistema Sanitario Nazionale. In questo modo si garantirebbe nell’intero Paese insieme la migliore qualità di cura con la razionalizzazione della spesa, poiché i pazienti sarebbero guidati all’interno di definiti percorsi virtuosi”. “Inoltre – continua il prof. Pinto – occorre sviluppare in maniera coordinata la ricerca clinica per i nuovi trattamenti ed anche in questo settore la Rete può rappresentare un importante e innovativo strumento. Senza dimenticare le regole della prevenzione che devono valere sempre. Basti pensare che alcol e fumo di sigaretta sono i due principali fattori di rischio a cui è riconducibile il 75% dei casi che colpiscono il distretto testa e collo”. Il 7% di tutte le neoplasie diagnosticate in Italia è costituito da tumori ematologici rari e il 18% da tumori solidi rari. Tra questi ultimi, le neoplasie rare dell’apparato digerente sono le più frequenti (23%), seguite dal distretto testa e collo (17%), dall’apparato genitale femminile (17%), dai tumori endocrini (13%), dai sarcomi (8%), dai tumori del sistema nervoso centrale e da quelli epiteliali toracici (5%). “Da notare che, fino ad oggi – sottolinea il prof. Emanuele Crocetti, segretario nazionale AIRTUM -, non si avevano informazioni sul numero di sarcomi in Italia e neanche sul numero dei tumori neuroendocrini. L’AIRTUM ha sempre fornito dati per sede: polmone, prostata etc. Questo rapporto contiene informazioni più dettagliate, per i diversi tipi istologici di ciascuna sede. È la principale novità di questa pubblicazione che risponde alle esigenze degli specialisti, che devono trattare un tipo specifico di tumore, oltre a quelle di sanità pubblica, confermando l’importanza dei registri tumori di popolazione sia in ambito clinico che a supporto della pianificazione sanitaria. Abbiamo analizzato 198 tumori, la maggior parte (139) estremamente rari, ovvero caratterizzati dall’incidenza di meno di mezzo caso ogni 100.000 persone ogni anno in Italia (circa 7.000 casi/anno complessivamente)”. “Questi tumori – continua il prof. Crocetti – condividono i problemi specifici legati alla loro bassa frequenza: le difficoltà nella diagnosi e nel fare ricerca determinano un basso livello di evidenza scientifica, limitate opzioni terapeutiche, ostacoli nell’individuare clinici esperti e ricorso all’uso off label dei farmaci, cioè al di fuori delle indicazioni approvate. Sono disponibili dati epidemiologici a livello europeo, ma è la prima volta che un’associazione di registri si impegna autonomamente a fornire queste cifre per il proprio Paese. Un risultato possibile grazie al grande database di AIRTUM e alla qualità dei ‘numeri’ raccolti in modo standardizzato da oltre 20 anni”. Il volume è frutto della collaborazione con i gruppi di ricerca della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori (INT) di Milano e dell’Istituto Superiore di Sanità che sono stati i primi a occuparsi, nell’ambito di progetti europei e italiani, dei tumori rari dal punto di vista epidemiologico. Il Rapporto è pubblicato sull’ultimo numero della rivista Epidemiologia & Prevenzione, organo ufficiale dell’Associazione Italiana di Epidemiologia, ed è scaricabile dal sito www.registri-tumori.it. “Quelli rari sono spesso difficili da individuare e da trattare – afferma il dott. Paolo G. Casali, direttore dell’Oncologia medica dei Tumori mesenchimali dell’adulto all’INT di Milano e coordinatore della Rete Tumori Rari -. Il principale problema del paziente con tumore raro è ‘dove andare’, cioè a quale istituzione oncologica riferirsi. In molti tumori rari, fra cui i sarcomi, una corretta diagnosi patologica e una buona decisione clinica iniziale di tipo multidisciplinare sono fattori cruciali. Non raramente, l’intervento chirurgico iniziale non è programmato su una diagnosi preoperatoria e deve poi essere ripetuto. Sarebbe fondamentale che il Sistema sanitario lavorasse con le Regioni valorizzando le reti cliniche collaborative nate dal basso, cioè grazie alla volontà dei professionisti, nel campo dei tumori pediatrici, dei tumori ematologici e dei tumori ‘solidi’, riconoscendo e sostenendo le istituzioni partecipanti e fornendo loro strumenti organizzativi che le rendano ‘visibili’ ai pazienti”. L’impatto sociale è notevole, spesso a causa del costo delle cure, delle possibili prestazioni inappropriate e della migrazione sanitaria. In base al tipo di tumore, i trattamenti vanno dalla chemioterapia e radioterapia alla chirurgia fino alle terapie target con farmaci biologici. La sopravvivenza dopo 1, 3 e 5 anni dalla diagnosi nei tumori rari è risultata pari al 77%, 61% e 55%, in quelli frequenti invece è dell’85%, 73% e 68%. “Le differenze un anno dopo l’individuazione della malattia sono limitate, per poi amplificarsi, proprio perché i trattamenti per le neoplasie rare possono essere meno efficaci – sottolinea il prof. Alessandro Comandone, direttore dell’Oncologia Medica all’Ospedale di Gradenigo -. Tuttavia, non vanno escluse differenze nella distribuzione per stadio alla diagnosi, infatti la sopravvivenza a 1 e 3 anni per i tumori rari è inferiore rispetto alle percentuali registrate in quelli frequenti. Inoltre, tra i tumori rari sono incluse molte patologie di sedi tipicamente a cattiva prognosi: ad esempio oltre il 90% dei tumori del distretto testa collo è costituito da neoplasie rare, tale proporzione è pari all’81% per l’esofago, al 65% per l’ovaio, al 53% per il fegato. Al contrario solo il 6% dei tumori della mammella femminile, meno dell’1% della prostata e l’1% del colon-retto, sedi tipicamente a buona prognosi, sono tumori rari”. “I dati del rapporto possono essere rilevanti per diversi portatori di interesse – conclude il prof. Crocetti -. Politici e operatori sanitari trovano nel volume informazioni utili per pianificare e riorganizzare i servizi di assistenza sanitaria in Italia. E i ricercatori hanno a disposizione i numeri per disegnare sperimentazioni cliniche, considerando anche studi alternativi e approcci statistici innovativi”.