Tumore dell’ovaio: olaparib approvato in Europa per i pazienti con mutazione BRCA

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Milano, 20 giugno 2019 – La Commissione Europea ha approvato olaparib come trattamento di mantenimento in prima linea per le pazienti con tumore ovarico avanzato che presentano una mutazione del gene BRCA. Olaparib ha ricevuto l’approvazione per il trattamento di mantenimento di pazienti adulte con tumore ovarico avanzato (stadio III e IV) epiteliale di grado elevato o con tumore delle tube di Falloppio o primitivo del peritoneo che presentano una mutazione di BRCA1 o BRCA2 (germinale e/o somatica) e che hanno mostrato una risposta completa o parziale dopo chemioterapia standard di prima linea a base di platino. “Attualmente, il 70% delle pazienti con carcinoma ovarico in stadio avanzato va incontro a recidiva entro tre anni – afferma la Prof.ssa Nicoletta Colombo, Direttore del Programma di Ginecologia Oncologica dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano -. I risultati dello studio SOLO-1, presentati nel corso del più recente Congresso della European Society for Medical Oncology e pubblicati sulla prestigiosa rivista ‘New England Journal of Medicine’, hanno evidenziato come un trattamento di mantenimento con olaparib riduca la percentuale di recidive nelle pazienti con tumore ovarico BRCA mutato: con questo trattamento mirato il 60% delle pazienti è libera da malattia a tre anni. Alla luce di questi importanti risultati e dell’approvazione europea, il mio auspicio è che l’esecuzione del test BRCA al momento della diagnosi diventi una realtà per tutte le pazienti con carcinoma ovarico affinché possano beneficiare di questa nuova importante arma terapeutica”. L’approvazione della Commissione Europea si basa sui dati dello studio di Fase III SOLO-1 che ha valutato olaparib come monoterapia di mantenimento paragonato a placebo nelle pazienti con carcinoma ovarico avanzato e con mutazione BRCA che avevano già ricevuto una chemioterapia di prima linea a base di platino. I risultati dello studio, presentati a ottobre 2018, hanno mostrato che, a un follow up di 40.7 mesi, la progressione mediana delle pazienti trattate con olaparib non era stata ancora raggiunta, rispetto ai 13,8 mesi registrati per il braccio trattato con placebo (HR 0.30 [95% CI, 0.23-0.41], p<0.001).

Melanoma: gli uomini con chili di troppo rispondono meglio alle cure innovative

melanomaNapoli, 1 dicembre 2017 – È il “paradosso” dell’obesità. Gli uomini con chili di troppo colpiti da melanoma metastatico rispondono meglio alle terapie target e all’immuno-oncologia rispetto a chi è normopeso. In particolare migliora la sopravvivenza libera da progressione e la sopravvivenza globale. Un risultato che non è evidenziato invece fra le donne e nei pazienti obesi (uomini e donne) trattati con la chemioterapia. La relazione apparentemente paradossale fra obesità ed efficacia delle terapie innovative emerge dal Convegno internazionale “Melanoma Bridge” con 200 esperti, un ponte della ricerca che non si ferma al melanoma ma si allarga a altre neoplasie come quelle del polmone, del rene, della vescica, del colon-retto e della testa-collo. Il Convegno, giunto all’ottava edizione, è in corso a Napoli fino a domani. “Nel 2017 nel nostro Paese sono stimati circa 14mila nuovi casi di melanoma, 1.000 in Campania – afferma il prof. Paolo Ascierto, direttore dell’Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto ‘Pascale’ di Napoli e presidente della Fondazione Melanoma che organizza il convegno -. È in costante crescita soprattutto fra i giovani, infatti è la terza più frequente negli under 50. Questa ricerca ci può permettere di capire meglio il meccanismo di funzionamento delle nuove terapie. Resta fermo il ruolo dell’obesità quale fattore di rischio di molte neoplasie. È dimostrato infatti il rapporto fra chili di troppo e tumori frequenti come quelli del colon-retto, del seno, della prostata e dello stomaco. Una dieta corretta potrebbe inoltre rivelarsi utile anche nella prevenzione del melanoma. Molti agenti antiossidanti in fase di sperimentazione per la prevenzione di questa patologia sono derivati alimentari: i licopeni, composto che si trova principalmente nei pomodori, i sulforafani, una piccola molecola isolata dai fiori di broccoli, e gli estratti del tè verde”. Lo studio è stato presentato al “Bridge” da Michael Davies, direttore del Dipartimento Melanoma al MD Anderson Cancer Center dell’Università del Texas, ed è in corso di pubblicazione su Lancet Oncology.

TUMORE DEL COLON: 52MILA NUOVE DIAGNOSI STIMATI NEL NOSTRO PAESE

Il prof. Pinto, presidente AIOM: “Il test della ricerca del sangue occulto nelle feci riduce del 20% la mortalità ma pochi cittadini aderiscono ai programmi”. Il 25% delle diagnosi è in fase avanzata.

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Il 25% delle diagnosi di tumore del colon-retto avviene in fase avanzata. In questi casi le possibilità di sopravvivenza sono limitate, infatti solo l’11% di questi pazienti è vivo a 5 anni. È quindi fondamentale migliorare l’adesione alle campagne di screening, ancora scarsa nel nostro Paese: solo il 47% dei cittadini di età compresa fra 50 e 69 anni (nel biennio 2011-2012) ha eseguito l’esame del sangue occulto nelle feci, un test in grado di ridurre del 20% la mortalità nel tumore del colon-retto proprio perché permette di individuare lesioni sospette in stadio iniziale. L’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) dedica il convegno “Dalla capecitabina al TAS 102” oggi a Milano alle nuove prospettive nel trattamento di questa neoplasia, in particolare alla combinazione di trifluridina e tipiracil. “È necessario migliorare la consapevolezza degli italiani sull’importanza degli screening in difficoltà soprattutto al Sud – afferma il prof. Carmine Pinto, presidente nazionale AIOM -. Infatti i sintomi possono essere confusi con quelli di altre patologie e spesso, quando viene individuato, il tumore si è già diffuso. Importanti progressi nella malattia avanzata dove con i regimi di terapia a disposizione si superano i 30 mesi di sopravvivenza contro i 12 di qualche decennio fa. Questi risultati sono stati ottenuti anche perché per la cura di questi pazienti abbiamo a disposizione due rilevanti innovazioni: la caratterizzazione molecolare con la determinazione delle mutazioni dei geni RAS e BRAF che ci permettono di selezionare i pazienti per il trattamento con farmaci biologici e l’introduzione di farmaci orali di prima e seconda generazione che favoriscono la compliance delle terapie”. Il tumore del colon-retto è il più frequente con circa 52.400 nuovi casi stimati nel nostro Paese nel 2016 e 427mila persone vivono dopo la diagnosi. L’impatto economico della malattia è importante: il costo sociale totale annuo relativo all’insieme di tutti i pazienti italiani (con una diagnosi da non più di 5 anni, con e senza caregiver) è, secondo le stime del Censis, pari a 5,7 miliardi di euro e comprende sia i costi diretti che indiretti (questi ultimi includono i mancati redditi e il valore dell’assistenza garantita dai caregiver). I costi medi annui pro capite di paziente e caregiver sono stimabili in media a 41,6 mila euro (per i malati con una diagnosi da non più di un quinquennio). La possibilità di individuare precocemente lesioni pre-cancerose, oltre a ridurre la mortalità, ha molteplici risvolti positivi, ad esempio permette di asportare per via endoscopica il tumore evitando interventi chirurgici maggiori e demolitivi (con necessità ad esempio di stomia intestinale) e di ridurre i costi sociali. “La sopravvivenza nel nostro Paese è più alta rispetto alla media europea – sottolinea il prof. Alberto Zaniboni, Responsabile Oncologia Medica alla Fondazione Poliambulanza di Brescia -. Anche il confronto con i Paese del Nord Europa, che fanno di solito registrare i valori più elevati, evidenzia l’ottimo livello del nostro sistema assistenziale.