Biopsia liquida, un’arma efficace contro il tumore al seno

Grazie alla ricerca scientifica si stanno ottenendo risultati importanti nell’individuazione di strumenti diagnostici e terapeutici più precisi ed efficaci

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Pordenone, 20 febbraio 2020 – In Italia nel 2019 le donne colpite dal carcinoma della mammella sono state in totale 1.450. L’89% delle pazienti riesce a sconfiggere la malattia, soprattutto se viene individuata nelle fasi iniziali. Nella regione nord-orientale l’incidenza è superiore rispetto alla media nazionale con 170 nuovi casi annui ogni 100.000 donne confronto la media nazionale è di 146. Gli indicatori statistici di sopravvivenza hanno dimostrato un netto e costante aumento della probabilità di sopravvivere dopo il tumore della mammella nelle donne del Friuli-Venezia Giulia, +9% dopo 5 anni dalla diagnosi. Tuttavia, nonostante i grandi progressi ottenuti dalla ricerca, ogni anno ancora più di 300 decessi sono causati dalla neoplasia (oltre 12mila in tutta la penisola). Sono questi alcuni dei dati emersi durante la prima giornata del convegno nazionale Focus sul Carcinoma Mammario che si apre oggi a Pordenone. “Il carcinoma mammario è la neoplasia in assoluto più frequente nel nostro Paese e interessa in totale 800mila donne – afferma il prof. Fabio Puglisi, Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica presso il Centro di riferimento Oncologico di Aviano e Responsabile Scientifico del Convegno di Pordenone -. Nella nostra Regione riusciamo a garantire un ottimo livello d’assistenza, nonché un accesso capillare ai trattamenti innovativi. È recente, inoltre, l’approvazione della Delibera della Giunta Regionale sulla Rete Oncologica del Friuli-Venezia Giulia. Siamo agli albori di un nuovo assetto organizzativo indispensabile per garantire un proficuo confronto tra i professionisti coinvolti nei percorsi di diagnosi e cura della patologia oncologica. Fra gli altri obiettivi, vi è l’intenzione di adottare programmi di ricerca condivisi e inseriti nel contesto dei bisogni clinici propri del territorio”. La sessione pomeridiana inaugurale del convegno di Pordenone è dedicata alle grandi opportunità offerte dalla così detta biopsia liquida. “Attraverso un semplice esame del sangue possiamo individuare le cellule tumorali e il DNA tumorale circolanti – prosegue il prof. Michelino De Laurentiis, Direttore del Dipartimento di Senologia e Toraco-Polmonare dell’Istituto Tumori di Napoli -. Sono informazioni indispensabili che ci permettono di capire quali potranno essere i mutamenti biologici del cancro. Con le biopsie tradizionali, svolte sui tessuti, abbiamo solo una semplice fotografia momentanea dello stato della malattia. Ora invece si definiscono in modo più preciso i target terapeutici ed è possibile prevedere un utilizzo più accurato e personalizzato dei trattamenti disponibili. Il monitoraggio dell’evoluzione della malattia ha come obiettivo anche la diagnosi precoce di un’eventuale recidiva”. “La ricerca si sta concentrando soprattutto nella cura degli stadi precoci del carcinoma mammario – sottolinea la prof.ssa Lucia Del Mastro, Coordinatrice della Breast Unit dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova e relatrice al convegno friulano -. Le terapie tendono ad essere sempre più spesso neo-adiuvanti e quindi somministrate nella fase preoperatoria per ottenere un trattamento chirurgico conservativo e meno invasivo. L’obiettivo è risparmiare l’asportazione dei linfonodi dell’ascella e ridurre comorbilità e complicanze, prima fra tutte il linfedema del braccio”. “Sono soprattutto due le tipologie di cure dove di recente abbiamo assistito alle principali innovazioni – prosegue Del Mastro -. La prima riguarda i carcinomi HER2-positivi per i quali è disponibile il farmaco immunoconiugato TDM-1. Viene utilizzato quando la chemioterapia, combinata con farmaci anti-HER2 tradizionali, non è in grado di eradicare totalmente la malattia presente a livello mammario o linfonodale. La seconda riguarda invece i tumori triplo negativi che attualmente presentano le prognosi peggiori. La novità è rappresentata dall’immunoterapia che sta dando dei risultati interessanti proprio in questo sottogruppo di casi particolarmente aggressivi. Sono allo studio nuovi trattamenti in grado di riattivare il nostro sistema immunitario contro il tumore. I farmaci immunoterapici combinati con la chemioterapia sembrano aumentare la probabilità di ottenere la remissione completa della malattia”. Infine, dal convegno nazionale organizzato in terra friulana arriva un appello a tutte le donne residenti nel nostro Paese. “È assolutamente necessario aderire ai programmi di screening e sottoporsi alla mammografia – conclude la prof.ssa Chiara Zuiani, Direttore dell’istituto di Radiologia dell’Universita’ di Udine e Past-President della sezione di Senologia della Società Italiana Radiologia Medica (SIRM) e relatrice al meeting di Pordenone -. Attualmente poco più del 54% delle italiane si sottopone regolarmente a questo esame e in Friuli-Venezia Giulia la percentuale sale al 70%. Grazie a questi controlli è possibile ridurre fino al 30% il tasso di mortalità della neoplasia”.

Tumori della pelle: la microscopia confocale è la nuova frontiera per biopsie virtuali non invasive

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Roma, 18 ottobre 2018 – Una biopsia virtuale per identificare il tumore in tempo reale, senza aspettare i tempi dell’istologia: ecco quanto promette la microscopia confocale. A discuterne le possibili applicazioni innovative, gli esperti riuniti a Roma nel primo meeting mondiale su questo argomento. “La scelta di tenere questo congresso in Italia è dovuta al fatto che il nostro Paese ha un ruolo centrale nella diagnostica non invasiva, lo ha sempre avuto e continua ad averlo. E anche nella microscopia confocale l’Italia gioca un ruolo di leadership” spiega Marco Ardigò, Ricercatore dell’Istituto San Gallicano, e Presidente del Congresso insieme a Giovanni Pellacani, Preside della Facoltà di Medicina di Modena e co-presidente del 24° Congresso Mondiale di Dermatologia che si terrà a Milano dal 10 al 15 giugno 2019. “L’Italia è uno dei paesi in cui la microscopia confocale è più diffusa, ciononostante ancora non tutti i medici ne conoscono i vantaggi e le applicazioni potenziali” commenta Ardigò. “La microscopia confocale in vivo è una tecnica di imaging cutaneo in grado di fornire una sorta di biopsia virtuale, che può essere utilizzata per approfondire diagnosi in tempo reale, in modo non invasivo e con risultati affidabili, potenzialmente in gran parte dei processi tumorali ed infiammatori della cute” spiega Ardigò.
“L’impiego della microscopia confocale ex vivo (eseguita su tessuto asportato) permette di poter anticipare i tempi delle analisi istologiche standard, che richiedono circa una decina di giorni. La specificità, cioè la capacità di escludere la presenza della malattia, di questo metodo è particolarmente elevata. Quindi questa nuova metodica consentirebbe di intervenire solo se necessario e non in via preventiva in caso di sospetto, di risparmiare i tessuti sani peri-neoplastici, di eliminare tutto il tessuto malato senza dover rimandare a un secondo intervento nel caso l’esito della biopsia risultasse poi positivo”.

La microscopia confocale in vivo permette una maggior confidenza diagnostica, possibilità di monitoraggio clinico e terapeutico e un atteggiamento chirurgico più conservativo e garante della eradicazione della neoplasia. Ha come principale indicazione quella dello studio dei tumori cutanei quindi melanomi e carcinomi cutanei. Questa nuova metodica permette in tempo reale di togliere il tumore un pezzo alla volta e di vedere e capire contestualmente all’intervento se il tumore è stato tolto tutto, risparmiando così tessuto peri-neoplastico sano. Inoltre consente al medico di togliere un minor numero di nei: in passato, soprattutto in epoca pre-dermoscopica, un neo modificato, per prudenza, veniva tolto con pochi indugi (alcuni pazienti arrivano a togliere anche decine di nei nell’arco della vita).
“La microscopia confocale viene anche impiegata nelle patologie infiammatorie della pelle – aggiunge il prof. Piergiacomo Calzavara Pinton, presidente SIDeMaST – per aumentare la confidenza della diagnosi clinica e/o per monitorare se il paziente sta rispondendo correttamente ai trattamenti e per intervenire tempestivamente, se necessario, a modificare le terapie in corso. Si tratta infatti di un esame innocuo e non invasivo, che può essere ripetuto tutte le volte che si desidera.”
IL FUTURO. L’uso della metodica confocale in vivo potrebbe essere esteso anche ad altri tessuti, come il cavo orale e le mucose genitali, sedi particolarmente sensibili a causa della difficoltà interpretative delle lesioni, spesso simili tra loro e quindi difficili da riconoscere senza una biopsia, e per le conseguenze sulle terapie chirurgiche e mediche. Quest’ultime e i prelievi bioptici in queste aree hanno infatti un particolare impatto sul paziente, in termini di esito cicatriziale, dolore, sconforto e paura.
“È in corso di realizzazione” spiega Ardigò “un’ottica adatta a raggiungere parti della mucosa del cavo orale di difficile raggiungimento con le ottiche attuali in modo tale da permettere di studiare neoplasie della mucosa, malattie infiammatorie o una lesione che potrebbe diventare un carcinoma. La possibilità di definire le dimensioni dell’area di mucosa alterata è molto importante per poter limitare il tessuto da asportare in una sede così delicata come la bocca. Stesso discorso per le mucose genitali. Per la dermatologia dunque la diagnostica non invasiva può essere una disciplina chiave, perché la cute, in quanto superficiale e accessibile, è un organo che può essere facilmente analizzato. Il futuro è rappresentato dalla possibilità di impiego della microscopia confocale ex-vivo, cioè su tessuti prelevati durante un intervento chirurgico, per analizzarli immediatamente dopo una breve e semplice preparazione, al fine di consentire il massimo risparmio in termini di tempo e ottimizzare le asportazioni, risparmiando inoltre tessuto sano peri-tumorale”.
I benefici sono evidenti. Si pensi per esempio al tumore del cervello: a differenza di altri tessuti, infatti, come quello del fegato, il tessuto cerebrale non si può rigenerare, quindi è fondamentale evitare di asportare tessuto sano.
L’applicazione al carcinoma della mammella permetterebbe di contenere il tessuto asportato e quindi di poter sottoporre la paziente a una chirurgia ricostruttiva meno complessa e/o più soddisfacente. Nel tumore della prostata, con l’analisi in tempo reale del tessuto, si potrebbe dare una diagnosi immediata al paziente e la relativa estensione dell’interessamento neoplastico della ghiandola prostatica. Al di là di questi esempi la microscopia confocale potrebbe essere applicata a ogni tipo di tumore. La sua combinazione con l’esame istologico, inoltre, consentirebbe di avere informazioni più approfondite sulla patologia rispetto alla sola biopsia standard. Tutto questo potrebbe avvenire in un futuro molto vicino.
Attualmente la microscopia confocale viene utilizzata di routine in centri che hanno competenze specifiche, ma ci si auspica che un numero sempre maggiore di specialisti ne apprezzino le potenzialità e si avvicinino a questa metodica.
Va precisato che questa tecnologia è complessa non tanto nell’esecuzione ma nella interpretazione delle immagini, in modo paragonabile alla istologica: lo scopo del congresso è proprio questo, diffondere le competenze e le esperienze, oltre che uniformare la sua applicazione.

Tumore del seno: la biopsia diventa liquida,poche gocce di sangue per individuare le recedive

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Roma, 10 novembre 2017 – Poche gocce di sangue per individuare il tumore del seno in fase iniziale e test genomici per personalizzare i trattamenti ed evitare alle pazienti inutili tossicità. La lotta contro la neoplasia più frequente fra le italiane (50.500 nuovi casi stimati nel 2017) passa attraverso le nuove tecnologie. In otto anni (2010-2017) nel nostro Paese le donne vive dopo la diagnosi di tumore del seno sono aumentate del 26%. Oggi 766.957 italiane si trovano in questa condizione. Un risultato molto importante, mai raggiunto in precedenza, soprattutto se si considera che per quasi 307mila donne (oltre il 40% del totale) la diagnosi è stata effettuata da oltre un decennio. Ai nuovi trattamenti nel carcinoma del seno è dedicata la quinta edizione dell’International Meeting on New Drugs (and New Concepts) in Breast Cancer, in corso all’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma con la partecipazione di più di 200 esperti da tutto il mondo. “In quindici anni le percentuali di guarigione in questa malattia sono cresciute di circa il 5%, passando dall’81 all’87 per cento – afferma il prof. Francesco Cognetti, Direttore della Oncologia Medica del Regina Elena e presidente del Congresso -. Si tratta di un risultato eccezionale, da ricondurre alle campagne di prevenzione e a terapie innovative sempre più efficaci. Oggi abbiamo molte armi a disposizione, dalla chemioterapia all’ormonoterapia alle terapie target fino all’immunoterapia. E si stanno aprendo nuove prospettive per personalizzare i trattamenti, grazie a esami genomici che analizzano il DNA del tumore per capirne l’aggressività. In particolare un test prognostico e predittivo, Oncotype DX, supporta l’oncologo nella personalizzazione delle terapie in pazienti con carcinoma mammario in fase iniziale. È uno strumento utile nella scelta del trattamento per le donne che, in base alle caratteristiche anatomopatologiche e cliniche, sono in una sorta di zona grigia, in una fase in cui non si può includere o escludere con certezza la chemioterapia rispetto alla sola ormonoterapia. Per i risultati raggiunti questo esame è stato inserito nelle raccomandazioni delle principali linee guida internazionali”. In Italia, a partire da febbraio 2016, è stato attivato un programma di sperimentazione con il quale si è reso disponibile il test Oncotype DX nei centri di riferimento italiani per il tumore mammario. Da febbraio 2016 a settembre 2017 sono state testate 1295 pazienti di 27 strutture distribuite in due regioni, Lazio e Lombardia. “Prima del test la decisione terapeutica era orientata alla sola ormonoterapia nel 46% dei casi e alla chemioterapia in associazione all’ormonoterapia nel 51% – continua il prof. Cognetti –. A seguito del test la scelta è cambiata in modo tangibile: si è deciso di ricorrere alla sola ormonoterapia nel 66% delle pazienti e alla chemioterapia in associazione all’ormonoterapia soltanto nel 33%. L’utilizzo del test Oncotype DX ha quindi permesso di evitare la somministrazione della chemioterapia nel 50% delle donne a cui era stata inizialmente prescritta. La forte diminuzione dell’utilizzo improprio della chemioterapia, che è stato evidenziato anche da altri test genomici, può tradursi, da un lato, in un beneficio clinico per le pazienti che non vengono più esposte ad un eccesso di trattamento e al relativo rischio di tossicità immediate e tardive, dall’altro in un impatto favorevole sulla spesa sanitaria che oggi rappresenta un elemento di importanza fondamentale con cui anche i clinici devono confrontarsi”.  Un risparmio di risorse che può essere ottenuto anche grazie a diagnosi sempre più precoci. “La sfida è individuare in poche gocce di sangue i primissimi segni del cancro – spiega Massimo Cristofanilli professore di Medicina e direttore Precision Medicine alla Northwestern University di Chicago -. è la biopsia liquida, una tecnologia innovativa molto promettente, utilizzata oggi per la prevenzione secondaria durante il follow up, cioè per scoprire la formazione di eventuali recidive e metastasi nelle donne che hanno già sviluppato il tumore. Le tecnologie attuali ci permettono di capire nel 70-75% dei casi se la malattia svilupperà metastasi. Altre applicazioni sono in fase di sperimentazione: l’obiettivo è scoprire la malattia in fase preclinica, risultato che la mammografia non è in grado di ottenere. La biopsia liquida inoltre è facilmente ripetibile nel tempo, bastano 8-10 millilitri di sangue, a differenza di quella tradizionale che richiede l’escissione del tessuto tumorale”. “Oggi si sta affacciando una nuova classe di farmaci target, che intervengono nel rallentare la progressione del tumore del seno, inibendo due proteine chiamate chinasi ciclina-dipendente 4 e 6 (CDK-4/6) – continua il prof. Cristofanilli -. Queste molecole hanno dimostrato di essere superiori rispetto alla terapia standard nella fase metastatica e studi in corso hanno evidenziato la loro efficacia anche nella malattia di nuova diagnosi come trattamento preoperatorio. Nell’immediato le sfide riguardano i casi di tumore del seno più difficili da trattare: quelli triplo negativi e con metastasi cerebrali. In questi casi nuove prospettive sono offerte dall’immunoterapia”. “La stimolazione del sistema immunitario – afferma il prof. Cognetti – funziona soltanto in poche donne con tumore del seno, ma in questi casi con risultati davvero importanti, soprattutto nelle forme triplo negative, che costituiscono circa il 15% del totale. Nelle pazienti resistenti inoltre sono in fase di sperimentazione le combinazioni di immunoterapia e chemioterapia che può favorire la risposta del sistema immune”. Nuovi farmaci biologici come gli inibitori di Parp sono più efficaci della chemioterapia nelle pazienti che presentano mutazioni del gene BRCA, perché agiscono direttamente sui danni del DNA.