AIOM: COL FONDO POSSIAMO CURARE MEGLIO I NOSTRI PAZIENTI

IMG_3948

Il presidente Carmine Pinto: “Ottima la decisione del Governo di destinare 500 milioni per le terapie innovative.

Roma, 28 ottobre 2016 – Sono 7 i farmaci anticancro realmente innovativi che potranno essere resi subito disponibili ai pazienti grazie al Fondo di 500 milioni di euro istituito dal Governo. Si tratta da un lato di molecole completamente nuove, dall’altro di trattamenti già in uso e rimborsabili ma che hanno ricevuto dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) un’estensione delle indicazioni. La recente decisione del Governo può cambiare la vita di milioni di cittadini colpiti dalla malattia, perché queste armi possono allungare in maniera significativa la sopravvivenza garantendo una buona qualità di vita. Gli oncologi italiani ora chiedono un passo in avanti ulteriore, decisivo per cambiare i criteri dell’assistenza nel nostro Paese, un “Patto contro il cancro” che garantisca una strategia unitaria contro la malattia. È la proposta che 3.000 clinici faranno al Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che domenica 30 ottobre alle 9.30 interverrà a Roma al XVIII Congresso nazionale AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica). “Ringraziamo il Premier e il Governo per aver istituito per la prima volta in Italia un Fondo di 500 milioni di euro destinato ai farmaci anticancro innovativi – spiega oggi nella conferenza di apertura del Congresso il prof. Carmine Pinto, presidente nazionale AIOM -. In particolate questi 7 nuovi farmaci includono i trattamenti immuno-oncologici che rafforzano il sistema immunitario contro il cancro e le molecole ‘target’ che colpiscono precisi bersagli delle cellule tumorali. Una decisione importantissima, un primo passo nella direzione di un progetto più ampio, il ‘Patto contro il cancro’, in grado di incidere a 360 gradi sul modello di assistenza e sulla vita di milioni di pazienti”. “Solo così – continua il prof. Pinto – potremo curarli garantendo loro le cure migliori, con un’unica regia che vada dalla ricerca, alla prevenzione primaria, alla diagnosi precoce, alla riabilitazione, fino alle fasi terminali di malattia. Senza trascurare gli aspetti legati al reinserimento sociale e lavorativo”. “È chiaro che avere le terapie giuste al momento giusto è l’unica soluzione per rispondere in modo adeguato alla domanda di cure efficaci – continua la dott.ssa Stefania Gori, presidente eletto AIOM -. Ma serve una visione più ampia e strutturale che parta proprio dal Fondo. Altri Paesi si sono attivati da tempo, ad esempio negli Stati Uniti nel 1971 Presidente Richard Nixon firmò il National Cancer Act, sulla stessa linea nel 2015 il Presidente Barack Obama ha lanciato la Precision Medicine Initiative e a giugno 2016 il vicepresidente Joe Biden ha rilanciato la sfida contro il cancro con il progetto Cancer Moonshot. L’obiettivo è definire un nuovo modo di affrontare la malattia con un approccio a 360 gradi”. Nel 2016 nel nostro Paese si stima un aumento delle nuove diagnosi fra le donne (176.200) e una diminuzione fra gli uomini (189.600). “L’accelerazione dei tempi di accesso alle terapie deve rientrare in una visione più ampia e il ‘Patto contro il cancro’ potrà dar voce anche a altre richieste dei pazienti – conclude il prof. Pinto -. Il ritorno a una vita come prima implica la considerazione di molti aspetti, spesso sottovalutati. Ad esempio i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza non includono la riabilitazione oncologica. Il cancro determina bisogni riabilitativi specifici, non assimilabili alle altre malattie. Si tratta di una omissione particolarmente penalizzante per i pazienti, perché gli esiti dei trattamenti possono causare difficoltà non solo fisiche ma anche cognitive, psicologiche, nutrizionali, sessuali, sociali e lavorative. Senza la previsione specifica della riabilitazione oncologica nei LEA, le disparità territoriali nell’accesso alle prestazioni e ai servizi rischiano di aumentare”.

NASCE LA CARDIOLOGIA A KM ZERO: LA SFIDA DI DESENZANO DEL GARDA

MENO RICOVERI E ACCESSI PIÙ VELOCI AL PRONTO SOCCORSO

09_29_bso_f1_552_1

Desenzano, 21 Ottobre – La cardiologia a km zero parte da Desenzano del Garda. Il Basso Garda presenta le caratteristiche ideali, per organizzazione territoriale e dimensioni, per curare subito i pazienti colpiti da malattie cardiovascolari integrando ospedale e territorio, con grande beneficio per i cittadini e risparmi per il servizio sanitario. Il fattore cruciale è rappresentato dalla rapidità di intervento e in quest’area è possibile un “sistema territorio” che veda l’alleanza efficace tra cittadini, medici di medicina generale e ospedale per garantire l’accesso immediato a cure che devono essere disponibili ai primi sintomi. In provincia di Brescia ci sono oltre 200.000 cittadini che, con vario grado di disabilità, sono colpiti da malattie croniche cardiovascolari, che hanno anche un forte impatto sulla spesa sanitaria. Alle nuove prospettive nella cura di questi pazienti è dedicato il convegno “La sfida del cardiologo alla cronicità, aggiungere qualità agli anni”, oggi e domani a Desenzano del Garda (Hotel Acquaviva). “Un ricovero per scompenso cardiaco costa al Servizio Sanitario Nazionale circa 3.200 euro, per fibrillazione atriale 1.800 euro, per angina pectoris con conseguente intervento di angioplastica circa 5.000 euro – afferma il prof. Claudio Ceconi, direttore della Cardiologia all’Ospedale di Desenzano -. Diminuire le riacutizzazioni ottimizzando le cure e i tempi del ricovero significa non solo risparmiare risorse, ma anche migliorare la qualità di vita del paziente che può continuare la propria attività lavorativa. Il nostro territorio rappresenta la palestra ideale per realizzare la cardiologia a km zero. Ospedali piccoli e locali possono diventare virtuosi ed essere esempi a livello nazionale. Le risorse liberate vanno poi reinvestite in altri momenti della continuità assistenziale. Ovviamente le necessità più complicate troveranno risposte nei centri a più ampio volume”. Le principali malattie cardiovascolari sono rappresentate da infarto (quasi 3.000 nuovi casi ogni anno in provincia di Brescia), fibrillazione atriale (oltre 15.000 persone vivono con la diagnosi in provincia di Brescia) e scompenso cardiaco (circa 4.500 ricoveri annui in provincia di Brescia), che costituisce anche la più importante voce della spesa sanitaria ospedaliera. Ogni anno infatti, a carico del Servizio Sanitario Nazionale, le uscite per i ricoveri per scompenso cardiaco sono pari a 545 milioni di euro. Il paziente con un sintomo cardiologico (ad esempio dolore o mancanza di respiro) dovrebbe avere il primo contatto con la struttura sanitaria entro pochissimo tempo dai sintomi iniziali. “E l’ospedale – continua il prof. Ceconi – dovrebbe farsi carico del paziente portandolo subito al trattamento, necessariamente entro 2 ore, idealmente in meno di 60 minuti. Queste scadenze possono essere rispettate in un territorio come quello di pertinenza dell’Azienda ospedaliera di Desenzano del Garda, a differenza delle grandi metropoli o, purtroppo, di territori più disagiati”. “Varie Regioni – continua il prof. Ceconi – hanno promulgato Piani Sanitari e Decreti di Riordino dell’assistenza sanitaria che interpretano i cambiamenti epidemiologici delle cardiopatie. Vent’anni fa il modello era basato su Aziende Ospedaliere organizzate per trattare ‘l’acuzie’, ovvero con grandi strutture che ‘aspettavano’ i pazienti. Oggi i sistemi si stanno adattando alla gestione della cronicità, della multimorbidità, delle problematiche della disabilità correlate all’età, della restrizione di risorse. Il modello che si sta delineando deve trovare un’integrazione multidisciplinare e strutturata con il territorio, dove medici di medicina generale, cardiologi e internisti collaborano in un sistema paritario”. Il Convegno è l’occasione per un’analisi a 360 gradi delle sfide immediate nei principali settori della medicina cardiovascolare (scompenso, cardiopatia ischemica, ipertensione arteriosa, etc…). “Nella prima parte dell’evento interverranno massimi esperti nazionali e mondiali a fare il punto, in modo multidisciplinare, sulle più avanzate conoscenze in cardiologia – conclude il prof. Ceconi -. Poi studieremo in modo concreto come applicare queste conoscenze nella nostra realtà locale e lo faremo in quattro gruppi di lavoro, study session, in cui si confronteranno in modo paritario cardiologi, internisti e medici di medicina generale su temi che spazieranno dalla gestione della terapia antiaggregante nel territorio a ‘cosa fare’ del paziente dimesso con diagnosi di scompenso cardiaco”.

MALATTIE NEUROLOGICHE: SIBIOC: “ANALISI DIRETTAMENTE SULL’ORGANISMO, SENZA ALCUN PRELIEVO DI SANGUE”

1091_fotoTorino, 21 ottobre 2016. L’inizio di questi studi ‘in vivo’ risalgono nel nostro paese agli anni 70, quando l’imprenditore Enzo Ferrari portò nel nostro paese una spettroscopia di risonanza magnetica acquistata negli USA per aiutare i medici dell’ospedale di Modena a seguire l’evoluzione della patologia del figlio colpito dalla malattia di Duchenne, una miopatia ereditaria. La macchina fu poi donata all’ospedale di Bologna, dove è ancora operativa. “All’epoca rappresentava il primo esempio, avveniristico, di studio ‘in vivo’” – spiega il Prof. Marcello Ciaccio, Presidente di SIBioC – “ed oggi continuiamo a seguire questa strada con risultati sempre estremamente promettenti; lo studio diretto condotto sull’organismo di un paziente nella sua interezza e non su matrici biologiche consente alla medicina di laboratorio diagnosi differenziali prima impossibili. Ad esempio, si possono distinguere la malattia di Parkinson da sindromi simili o altre malattie neurologiche anche rare, con importanti ricadute cliniche sul paziente, che può ottenere rapidamente la cura più corretta. Oggi le apparecchiature che consentono le diagnosi “in vivo” restano poco diffuse e costose. Siamo solo all’inizio, ma è questo il futuro per una medicina di laboratorio sempre più utile al paziente”.

I GINECOLOGI: “IN ITALIA UN PARTO SU 5 E’ DI DONNE STRANIERE. LE ISTITUZIONI CI AIUTINO A GARANTIRE A TUTTE LA MIGLIORE ASSISTENZA”

imageTra le madri non italiane 7 su 10 provengono da Paesi al di fuori dell’Unione Europea. “Problemi linguistici e differenze cultuali possono allontanare le pazienti dai nostri reparti. Abbiamo una sfida importante da affrontare perché ci occupiamo degli aspetti più delicati del benessere femminile”

Roma, 17 ottobre 2016 – Negli ospedali italiani il 20% dei parti è relativo a donne d’origine straniere. Di queste madri sette su dieci sono originarie di Paesi al di fuori dell’Unione Europea. E il 13% di loro ha difficoltà nello svolgere pratiche burocratiche e amministrative per accedere alle prestazioni sanitarie. Ci sono poi nuove emergenze da affrontare legate alla questione dei profughi. Da inizio anno oltre 15mila donne hanno attraversato il Mediterraneo e sono sbarcate sulle coste della Penisola dopo viaggi pericolosi. Alcune di loro sono in gravidanza e costrette, a volte, a partorire in condizioni estreme. “E’ fondamentale che a tutte queste donne sia garantita la migliore assistenza sanitaria, soprattutto nel momento del parto ma anche in tutte le altre fasi della vita”. E’ questo l’appello lanciato dalla Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO) alle Istituzioni in occasione dell’apertura dei lavori del suo 91° congresso nazionale dal titolo La Salute al Femminile Tra Sostenibilità e Società Multietnica. “In Italia risiedono persone di 200 diverse nazionalità – afferma il prof. Giovanni Scambia Direttore del Dipartimento Tutela della Salute della Donna della Cattolica di Roma e Presidente del Congresso di Roma -. Le donne in età fertile sono oltre 1 milione e 700mila. Sono numeri importanti e destinati per forza a crescere con il passare degli anni. Le difficoltà linguistiche per esempio rischiano di allontanare dai nostri reparti donne che invece avrebbero bisogno di un aiuto. Gli stranieri provengono nella maggioranza dei casi da Paesi con una diversa concezione della maternità, della sessualità e più in generale del ruolo della donna. Noi ginecologi quindi abbiamo una sfida ancora più delicata da affrontare”. “Le migranti che risiedono regolarmente in Italia godono in genere di buona salute e prestano attenzione agli stili di vita – sottolinea il prof. Enrico Vizza Segretario Nazionale SIGO e Presidente del Congresso di Roma -. L’86% dà un giudizio positivo sul proprio benessere. Tra le extra-comunitarie l’83% non ha mai fumato una sigaretta. Per sei su dieci il peso corporeo rientra nei parametri corretti. Sono quindi persone che corrono meno rischi di insorgenza di gravi malattie. Tuttavia noi siamo gli specialisti che devono affrontare gli aspetti più intimi della salute femminile. Dobbiamo prestare grande attenzione a come ci approcciamo a questa particolare categoria di donne”.

Il 91° congresso nazionale SIGO si svolge a Roma fino a mercoledì e vede la partecipazione di oltre 2.500 specialisti da tutta Italia. La Società Scientifica ha deciso di mettere al centro del suo più importante appuntamento annuale la salute e il benessere degli oltre 5 milioni di migranti residenti nel nostro Paese che ormai rappresentano l’8% della popolazione. “L’80% delle adolescenti d’origine straniera non è mai andata dal ginecologo. Mentre “solo” il 30% delle loro coetanee italiane ha fatto altrettanto – sottolinea il prof. Paolo Scollo Presidente Nazionale SIGO – Comportamenti sessuali pericolosi e mancato utilizzo di contraccettivi sono due fenomeni molto diffusi che devono essere al più presto contrastati. Infatti nel nostro Paese un’interruzione volontaria di gravidanza su tre è praticata da una straniera. La prevenzione deve cominciare dalle scuole attraverso una maggiore informazione per tutti i ragazzi. Possiamo dare il nostro contributo per esempio formando gli operatori e gli insegnanti che dovranno tenere agli studenti lezioni di educazione alla sessualità e affettività”.

La società italiana sempre più multietnica è al centro anche del 56° Congresso Nazionale dell’AOGOI (Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani) e del 23° Congresso Nazionale dell’AGUI (Associazione Ginecologi Universitari Italiani) che si svolge a Roma insieme a quello SIGO. “Le madri straniere che partoriscono nei nostri reparti materno-infantili presentano caratteristiche leggermente diverse rispetto alle altre – sottolinea il prof. Vito Trojano Presidente Nazionale AOGOI -. L’età media si attesta a 29 anni contro i 32 delle italiane. Più della metà sono casalinghe e hanno una scolarità medio-bassa. Minore risulta anche il ricorso al taglio cesareo. Solo il 28% delle gestazioni termina con un’operazione chirurgica. Tra le donne originarie del Belpaese la quota sale al 37%. I punti nascita devono quindi essere riorganizzati tenendo conto di queste differenze”. “Anche la formazione dei medici specialisti deve svolgere un ruolo importante – conclude il prof. Nicola Colacurci Presidente Nazionale AGUI -. Tutti noi ginecologi dobbiamo riaggiornare le nostre conoscenze alla luce dei nuovi fenomeni sociali che stanno investendo l’Italia negli ultimi anni”.

SIBIOC: LA MEDICINA DI LABORATORIO DIVENTA STRUMENTO PER ‘SEGUIRE’ IL PAZIENTE A 360 GRADI

IMG_0327

Milano, Ottobre 2016 – La Medicina di Laboratorio sta assumendo un’importanza sempre maggiore anche nella pratica clinica: non solo ricerca scientifica e aggiornamento tecnologico, avanzamenti in diagnostica delle malattie più diffuse, ma anche sostenibilità economica di molte delle recenti scelte organizzative. ‘Patologie a larga incidenza come diabete, aterosclerosi e infarto del miocardio, tumori, malattie neurodegenerative come la sclerosi multipla o la malattia di Alzheimer trarranno benefici dall’evoluzione della medicina di laboratorio – spiega il prof. Marcello Ciaccio, presidente SIBioC – ma il nostro apporto scientifico sta affrontando anche nuove sfide su patologie “emergenti” come le meningoencefaliti o le dipendenze da sostanze”. Il congresso nazionale, dal titolo “La centralità del paziente tra laboratorio e pratica clinica”, è articolato in 26 Sessioni Scientifiche con la presenza di oltre 120 professionisti del Settore di fama nazionale ed internazionale.

Nello scenario della Medicina moderna, risulta evidente come la diagnosi precoce e il più possibile non invasiva rappresenta oggi una sfida di primaria importanza nella gran parte delle patologie a maggiore morbilità e mortalità sempre più diffuse nei paesi occidentali. “Ma il ruolo del Laboratorio Clinico non si limita alla diagnosi, cioè all’identificazione dello stato patologico, ma va ben oltre grazie alla possibilità di monitorare l’avanzamento della malattia e la risposta alla terapia, come accade per i marcatori tumorali – precisa il presidente Marcello Ciaccio – Risulta, quindi, uno strumento imprescindibile in moltissime branche della Medicina. In questo senso, infatti, la Medicina di Laboratorio può essere considerata una disciplina “trasversale”. Ma in quali campi è più importante il ruolo del laboratorio Clinico? Ecco alcuni focus sui principali temi che verranno affrontati al Congresso.
L’Infarto Miocardico Acuto, è oggi la principale cause di morte e, secondo una proiezione basata sui dati contenuti nel report redatto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, continuerà ad essere letale in quasi ogni regione del mondo nel 2030. Dati di questa entità impongono a livello mondiale uno sforzo notevole per la diagnostica precoce e per la prevenzione. La Medicina di Laboratorio entra in gioco su entrambi i fronti. Nella diagnosi, perché grazie all’impiego della Troponina, una proteina strutturale del cuore rilasciata in circolo in abbondanza dopo un danno al miocardio, è possibile identificare un infarto dopo pochissimo tempo dall’insorgenza dei sintomi. Sono state recentemente introdotte delle tecnologie che consentono dei dosaggi ancora più sensibili, in grado di identificare anche minime concentrazioni della Troponina, garantendo quindi l’identificazione anche di infarti di piccola entità che sfuggivano con i dosaggi tradizionali. Nella prevenzione, perché tramite il dosaggio della colesterolemia consente una valutazione accurata del rischio cardiovascolare.
Anche la Malattia Diabetica deve essere considerata oggi una malattia ad alta incidenza. Sempre secondo una stima dell’OMS, i decessi causati dal diabete aumenteranno del 34% entro il 2030. In questo settore da sempre il Laboratorio Clinico ha avuto un ruolo centrale, basti pensare che, universalmente, la diagnosi di diabete passa necessariamente attraverso il dosaggio della glicemia che, seppur sia un test semplice, rappresenta tutt’ora il cardine della diagnostica di questa malattia rappresentando il migliore indicatore della stato gluco-metabolico del Paziente. Questa diagnostica “di base” è oggi accompagnata da un corollario di test utili in specifici scenari: per esempio gli studi immunologici nel diabete giovanile o, ancora, la tipizzazione HLA che tramite un semplice prelievo di sangue consente di evidenziare una predisposizione genetica alla malattia.
È forse nel settore dell’Oncologia che la ricerca di nuovi test sta producendo i risultati più promettenti. Ancora secondo stime dell’OMS, l’incidenza di alcuni tumori è in netto aumento, come quello alla prostata. Per molto tempo il Laboratorio Clinico ha fornito delle informazioni di interesse limitato nell’identificazione dei tumori: i marcatori tumorali “classici”, infatti, danno scarse o addirittura nulle informazioni sulla presenza o meno del tumore o sulla malattia minima residua. Oggi, sono disponibili dei test molecolari che in alcuni casi come nell’oncoematologia ci danno informazioni molto utili per la diagnosi o/e sulla malattia minima residua, parametro essenziale per comprendere l’evoluzione del tumore, oppure la possibilità di mettere in evidenza nel sangue periferico la presenza di una neoplasia mediante la determinazione del DNA di cellule tumorali (biopsia liquida).

FUMO: “UN BIMBO SU 5 CRESCE IN UNA CASA NON SMOKE FREE”

Simri: “Le sigarette degli adulti aumentano del 43% il rischio di asma nei giovanissimi”

fumobambini-570x442

Gli adolescenti fumatori fanno fatica a dire addio per sempre alle sigarette. Anche se ne consumano poche al giorno, solo il 6% riesce a smettere da solo mentre la grande maggioranza va avanti per altri 16-20 anni. Con gravissimi danni per il proprio organismo. E tanto più i ragazzini scelgono le “bionde” se, come capita per un bimbo del nostro Paese ogni cinque, si cresce in una casa in cui è consentito fumare e dove lo fanno i genitori. Con due conseguenze: essere costretti a subire il fumo passivo ed essere “incentivati” ad accendersi la prima sigaretta. Sono questi alcuni dei dati emersi dal 20° congresso nazionale della Società Italiana per le Malattie Respiratorie Infantili (SIMRI) che si apre oggi a Roma. Al più importante appuntamento della pneumologia pediatrica partecipano oltre 500 specialisti ed ampio spazio è riservato al tema dei corretti stili di vita e dei disturbi respiratori. “Le sigarette rappresentano un serio fattore di rischio per lo sviluppo di patologie gravi – afferma il prof. Renato Cutrera, Presidente Nazionale SIMRI e Direttore dell’Unità operativa di Broncopneumologia all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma -. L’esposizione passiva al fumo è pericolosa per la salute dei bambini quanto l’’inalazione diretta. Aumenta del 43% il rischio di asma, una malattia in crescita che colpisce il 10% degli italiani con meno di 14 anni. Le oltre 4.000 sostanze nocive sprigionate delle “bionde” possono attaccare le vie respiratorie superiori, fino ad arrivare anche profondamente nei polmoni, bronchioli e alveoli. Anche se le leggi italiane sono sempre più restrittive, manca ancora una corretta cultura della prevenzione. Un italiano su due, infatti, ammette di accendersi una sigaretta in presenza di minorenni”. Per sensibilizzare tutta la popolazione sui danni del tabagismo la SIMRI ha deciso di rilanciare il progetto Dai Un Calcio al Fumo. Sabato 15 ottobre al congresso della Società Scientifica (alle 14.30 al Lifestyle Hotel di Roma) si terrà un evento aperto al pubblico. Saranno allestiti dieci campetti con sette birilli a forma di sigaretta da buttare a terra con un pallone di spugna. A questo gioco a squadre parteciperanno oltre 250 bambini delle scuole elementari e medie inferiori della Capitale. Con un testimonial d’eccezione che ha deciso di sostenere il progetto educazionale: il mister della Roma Luciano Spalletti. E’ prevista anche la distribuzione di materiale informativo e l’installazione di postazioni dove bimbi e genitori potranno effettuare anche un esame spirometrico. “Un adolescente italiano su tre fuma – aggiunge Cutrera -. Chi prende questo vizio in giovane età tende a sviluppare una dipendenza maggiore rispetto a chi inizia più tardi. Oltre alle malattie respiratorie le sigarette sono tra le principali responsabili di tumori e disturbi cardio-vascolari. La lotta al tabagismo deve cominciare fin da giovanissimi. Per questo abbiamo deciso di trasformare per un pomeriggio il nostro congresso in un grande spazio educazionale rivolto a tutta la cittadinanza”.

TUMORE DEL POLMONE: NIVOLUMAB DIMOSTRA RISPOSTE DURATURE AL FOLLOW-UP PIÙ LUNGO CON UN INIBITORE DI PD-1

36900648

Copenaghen, 11 ottobre 2016 – Bristol-Myers Squibb ha annunciato i risultati aggiornati dei due studi pilota di fase III, CheckMate -057 e CheckMate -017, che dimostrano che più di un terzo dei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule metastatico pre-trattati presentava risposte ongoing in entrambi gli studi nel braccio nivolumab, rispetto a nessun caso di risposta ongoing tra i pazienti trattati con docetaxel. Nello studio CheckMate -057, la durata mediana della risposta (DOR) è risultata di 17,2 mesi (IC 95%: 8,4 – NE) con nivolumab e di 5,6 mesi (IC 95%: 4,4 – 6,9) con docetaxel, rispettivamente e nello studio CheckMate -017 di 25,2 mesi (IC 95%: 9,8 – 30,4) e di 8,4 mesi (IC 95%: 8,4 – NE), rispettivamente. Nel CheckMate -057, i pazienti con espressione di PD-L1 ≥ 1% presentavano una DOR mediana di 17,2 mesi (IC 95%: 8,4 – NE) e quelli con espressione di PD-L1 < 1% il dato corrispondente era di 18,3 mesi (IC 95%: 5,5 – NE). In entrambi gli studi, una risposta duratura è stata osservata sia nei pazienti con tumori esprimenti il PD-L1 sia in quelli che non lo esprimevano e, nello studio Checkmate -057, una risposta completa su quattro si è manifestata in un paziente il cui tumore aveva un livello di espressione di PD-L1 < 1%. Dall’analisi di sicurezza congiunta di entrambi gli studi, non sono emerse nuove segnalazioni relativamente alla sicurezza di nivolumab. Non si è verificato alcun nuovo decesso correlato al trattamento tra il primo e il secondo anno di follow-up minimo a fronte dell’esposizione più prolungata al trattamento e nuovi eventi si sono osservati in 11 su 418 pazienti con un ulteriore anno di follow-up. Questi risultati sono stati presentati il 9 ottobre durante la sessione dedicata alla poster discussion in occasione del congresso ESMO 2016 (European Society for Medical Oncology Congress) (Abstract #1215PD). “Ulteriori valutazioni riguardanti nivolumab nel tumore del polmone non a piccole cellule pre-trattato hanno continuato a dimostrare una sopravvivenza più lunga e la possibilità di ottenere risposte durature rispetto al docetaxel, nelle diverse istologie tumorali, in questa popolazione di pazienti”, ha affermato Martin Reck, M.D., Ph.D., direttore di oncologia toracica del Hospital Grosshansdorf. “Notoriamente, la durata mediana della risposta con nivolumab risultava essere più che triplicata rispetto a quella osservata con docetaxel”. I risultati della valutazione della qualità della vita correlata allo stato di salute condotta mediante Patient-reported outcomes relativa allo studio CheckMate -057 sono stati presentati nel corso di una sessione dedicata alla poster discussion nel pomeriggio (Abstract #1217PD). I dati indicano che nivolumab ha favorito una migliore salvaguardia dello stato di salute, una migliore qualità di vita correlata allo stato di salute e un maggior controllo dei sintomi rispetto a docetaxel, come emerso dopo valutazione con scala visiva analogica (VAS) di EuroQoL a 5 dimensioni (EQ-5D) e con il Lung Cancer Symptom Score (LCSS). Nick Botwood, M.D., Development Lead, Lung and Head & Neck, Bristol-Myers Squibb, ha commentato: “Nivolumab, standard of care per il tumore del polmone non a piccole cellule nel setting di seconda linea, continua a dimostrare una sopravvivenza prolungata, sulla base dei risultati aggiornati di CheckMate -057 e -017. Inoltre, sulla base dei dati ottenuti mediante Patient-reported outcomes relativi allo studio CheckMate -057, nivolumab contribuisce ad uno stato di salute globale favorevole rispetto alla chemioterapia. Questi dati cardine continuano a informare la comunità scientifica sull’uso di nivolumab nel tumore del polmone non a piccole cellule precedentemente trattato, un tumore difficile da trattare”.

CHERATOSI ATTINICA: MURATORI, CONTADINI E PESCATORI I PIÙ A RISCHIO

In Italia serve una norma per tutelare i lavoratori all’aperto

epitelioma_derma2

L’esposizione continua e senza protezione ai raggi UV è il principale fattore di rischio della cheratosi attinica, che si presenta sulla pelle con una macchia rossa ricoperta da squame, soprattutto sul viso, sul dorso delle mani e sulle braccia. Si stima che in Italia circa 400mila persone siano colpite da questa malattia, la maggior parte proprio per motivi professionali. “In Paesi come la Germania i lavoratori a rischio hanno assicurazioni idonee a tutelare i danni da esposizione cronica al sole – spiega Giuseppe Monfrecola, Professore ordinario di Dermatologia all’Università Federico II di Napoli -. In Italia non è così. Sarebbe opportuno valutare la possibilità di emanare norme che individuino e tutelino categorie professionali a rischio attinico. La legge oggi in vigore sulla sicurezza sul lavoro fa riferimento ai danni causati dalle radiazioni elettromagnetiche ionizzanti (raggi X) o non ionizzanti (ultravioletto e luce visibile), ma includendo solo le sorgenti artificiali. Invece il principale fattore di rischio è costituito proprio dall’esposizione cronica alle radiazioni solari”. Alle principali malattie della pelle è dedicato il convegno “Derm in Mind 2016” che si svolgerà il 10 e 11 ottobre a Roma con la partecipazione di 250 esperti. “La cheratosi attinica è considerata una forma iniziale di carcinoma squamocellulare della pelle, quindi una diagnosi e un trattamento precoce possono prevenire l’evoluzione in un tumore invasivo che può crescere localmente invadendo i tessuti circostanti e, in alcuni casi, metastatizzare –afferma Maria Concetta Fargnoli, Professore associato di Dermatologia all’Università degli Studi dell’Aquila – Uno studio recente ha dimostrato che le cheratosi attiniche di grado I possono evolvere in una forma invasiva di carcinoma squamocellulare più frequentemente rispetto a quelle di grado II e III, caratterizzate da una maggiore atipia istologica, quindi è molto importante trattare anche le lesioni precoci. Sono disponibili oggi molti trattamenti che garantiscono un ottimo risultato terapeutico e cosmetico”. Le principali regole di prevenzione sono rappresentate dalla protezione delle zone esposte con creme solari e con vestiti. Le probabilità di sviluppare la malattia dipendono sia dalle condizioni ambientali che genetiche. “L’intensità e la quantità di raggi solari assorbiti svolgono un ruolo importante – continua il prof. Monfrecola -. Ma influiscono anche condizioni genetiche, ad esempio le persone con pelle chiara, capelli rossi ed efelidi sono più a rischio, così come gli individui immunodepressi per diverse ragioni”. “I tassi di prevalenza della cheratosi attinica riportati in Italia così come negli altri Paesi sono estremamente eterogeni e sicuramente sottostimati – conclude la prof.ssa Fargnoli -. La variabilità dei dati evidenziati negli studi clinici è legata alle diverse modalità con cui sono raccolti in riferimento alla selezione del campione, alla conta delle cheratosi attiniche e ai differenti fattori di rischio della popolazione in studio, quali il colore della pelle e l’intensità di esposizione alle radiazioni ultraviolette. Il problema principale è la mancata registrazione delle cheratosi attiniche nei registri tumori sia in Italia che all’estero. Abbiamo recentemente effettuato una raccolta retrospettiva di dati sulla frequenza della malattia in pazienti ambulatoriali di età superiore (o uguale) a 30 anni in un periodo di 3 mesi consecutivi (dicembre 2014 – febbraio 2015) che hanno avuto accesso agli Ambulatori di Dermatologia Generale di 24 centri di Dermatologia italiani. Le cheratosi attiniche sono state diagnosticate nel 27% dei pazienti, prevalentemente di sesso maschile ed età maggiore di 60 anni, localizzate alla regione testa/collo nell’80% delle persone e nel 55% dei casi erano presenti in numero inferiore a 5”.

Esmo Award: Alberto Sobrero, oncologo italiano premiato per le sue ricerche sul colon-retto

n-SOBRERO-large570

Copenhagen, 7 ottobre 2016 – Gli oncologi europei premiano l’italiano Alberto Sobrero, responsabile della Divisione di Oncologia di Genova, per le sue ricerche sul cancro al colon-retto. Il prestigioso riconoscimento Esmo Award è stato assegnato a Sobrero in occasione della sessione di apertura a Copenaghen del Congresso della Società europea di oncologia medica (Esmo). Un appuntamento internazionale, l’Esmo 2016, al quale partecipano oltre 19mila oncologi da 130 paesi e che, quest’anno, annota un grandissimo successo per l’Italia.