Biopsia liquida, un’arma efficace contro il tumore al seno

Grazie alla ricerca scientifica si stanno ottenendo risultati importanti nell’individuazione di strumenti diagnostici e terapeutici più precisi ed efficaci

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Pordenone, 20 febbraio 2020 – In Italia nel 2019 le donne colpite dal carcinoma della mammella sono state in totale 1.450. L’89% delle pazienti riesce a sconfiggere la malattia, soprattutto se viene individuata nelle fasi iniziali. Nella regione nord-orientale l’incidenza è superiore rispetto alla media nazionale con 170 nuovi casi annui ogni 100.000 donne confronto la media nazionale è di 146. Gli indicatori statistici di sopravvivenza hanno dimostrato un netto e costante aumento della probabilità di sopravvivere dopo il tumore della mammella nelle donne del Friuli-Venezia Giulia, +9% dopo 5 anni dalla diagnosi. Tuttavia, nonostante i grandi progressi ottenuti dalla ricerca, ogni anno ancora più di 300 decessi sono causati dalla neoplasia (oltre 12mila in tutta la penisola). Sono questi alcuni dei dati emersi durante la prima giornata del convegno nazionale Focus sul Carcinoma Mammario che si apre oggi a Pordenone. “Il carcinoma mammario è la neoplasia in assoluto più frequente nel nostro Paese e interessa in totale 800mila donne – afferma il prof. Fabio Puglisi, Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica presso il Centro di riferimento Oncologico di Aviano e Responsabile Scientifico del Convegno di Pordenone -. Nella nostra Regione riusciamo a garantire un ottimo livello d’assistenza, nonché un accesso capillare ai trattamenti innovativi. È recente, inoltre, l’approvazione della Delibera della Giunta Regionale sulla Rete Oncologica del Friuli-Venezia Giulia. Siamo agli albori di un nuovo assetto organizzativo indispensabile per garantire un proficuo confronto tra i professionisti coinvolti nei percorsi di diagnosi e cura della patologia oncologica. Fra gli altri obiettivi, vi è l’intenzione di adottare programmi di ricerca condivisi e inseriti nel contesto dei bisogni clinici propri del territorio”. La sessione pomeridiana inaugurale del convegno di Pordenone è dedicata alle grandi opportunità offerte dalla così detta biopsia liquida. “Attraverso un semplice esame del sangue possiamo individuare le cellule tumorali e il DNA tumorale circolanti – prosegue il prof. Michelino De Laurentiis, Direttore del Dipartimento di Senologia e Toraco-Polmonare dell’Istituto Tumori di Napoli -. Sono informazioni indispensabili che ci permettono di capire quali potranno essere i mutamenti biologici del cancro. Con le biopsie tradizionali, svolte sui tessuti, abbiamo solo una semplice fotografia momentanea dello stato della malattia. Ora invece si definiscono in modo più preciso i target terapeutici ed è possibile prevedere un utilizzo più accurato e personalizzato dei trattamenti disponibili. Il monitoraggio dell’evoluzione della malattia ha come obiettivo anche la diagnosi precoce di un’eventuale recidiva”. “La ricerca si sta concentrando soprattutto nella cura degli stadi precoci del carcinoma mammario – sottolinea la prof.ssa Lucia Del Mastro, Coordinatrice della Breast Unit dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova e relatrice al convegno friulano -. Le terapie tendono ad essere sempre più spesso neo-adiuvanti e quindi somministrate nella fase preoperatoria per ottenere un trattamento chirurgico conservativo e meno invasivo. L’obiettivo è risparmiare l’asportazione dei linfonodi dell’ascella e ridurre comorbilità e complicanze, prima fra tutte il linfedema del braccio”. “Sono soprattutto due le tipologie di cure dove di recente abbiamo assistito alle principali innovazioni – prosegue Del Mastro -. La prima riguarda i carcinomi HER2-positivi per i quali è disponibile il farmaco immunoconiugato TDM-1. Viene utilizzato quando la chemioterapia, combinata con farmaci anti-HER2 tradizionali, non è in grado di eradicare totalmente la malattia presente a livello mammario o linfonodale. La seconda riguarda invece i tumori triplo negativi che attualmente presentano le prognosi peggiori. La novità è rappresentata dall’immunoterapia che sta dando dei risultati interessanti proprio in questo sottogruppo di casi particolarmente aggressivi. Sono allo studio nuovi trattamenti in grado di riattivare il nostro sistema immunitario contro il tumore. I farmaci immunoterapici combinati con la chemioterapia sembrano aumentare la probabilità di ottenere la remissione completa della malattia”. Infine, dal convegno nazionale organizzato in terra friulana arriva un appello a tutte le donne residenti nel nostro Paese. “È assolutamente necessario aderire ai programmi di screening e sottoporsi alla mammografia – conclude la prof.ssa Chiara Zuiani, Direttore dell’istituto di Radiologia dell’Universita’ di Udine e Past-President della sezione di Senologia della Società Italiana Radiologia Medica (SIRM) e relatrice al meeting di Pordenone -. Attualmente poco più del 54% delle italiane si sottopone regolarmente a questo esame e in Friuli-Venezia Giulia la percentuale sale al 70%. Grazie a questi controlli è possibile ridurre fino al 30% il tasso di mortalità della neoplasia”.

Tumore al seno: oggi si può evitare la chemioterapia con combinazione di trattamenti

Un’analisi internazionale di 140 studi su più di 50mila donne pubblicata su The Lancet Oncology

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Milano, 20 settembre 2019 – In Italia più di 24.100 donne con tumore della mammella metastatico possono essere trattate con la combinazione di ormonoterapia e terapia mirata, evitando così la chemioterapia. 140 studi che ha incluso 50.029 pazienti, pubblicata su The Lancet Oncology, ha infatti dimostrato che la combinazione di ormonoterapia e delle nuove terapie a bersaglio molecolare (inibitori di CDK4/6) è migliore rispetto alla sola ormonoterapia standard (la sopravvivenza libera da progressione è raddoppiata). Non solo. Nessun regime di chemioterapia si è dimostrato più efficace rispetto alla combinazione. Lo studio è il risultato di una collaborazione internazionale, coordinata dal prof. Mario Giuliano dell’Università Federico II di Napoli e dal prof. Daniele Generali dell’Università di Trieste, e che ha visto la partecipazione di molti ricercatori italiani. “Nel nostro Paese, nel 2018, sono state stimate 52.300 nuove diagnosi di carcinoma della mammella e circa 37mila donne vivono con la malattia in fase metastatica – spiega la prof.ssa Lucia Del Mastro, Responsabile della Breast Unit dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova –. La ricerca ha coinvolto pazienti in postmenopausa con la patologia metastatica, positiva per i recettori ormonali e negativa per il recettore 2 del fattore umano di crescita epidermica (HR+/HER2-). Si tratta di un sottotipo che include circa il 65% di tutti i casi metastatici”. “Questa analisi – continua la prof.ssa Del Mastro – è molto importante perché, per la prima volta, pone a confronto, in prima e seconda linea, l’efficacia dei regimi oggi disponibili di chemioterapia e ormonoterapia, con o senza terapie mirate. E conferma quanto stabilito dalle linee guida internazionali, che raccomandano, anche in prima linea, l’impiego dell’ormonoterapia (con o senza terapie mirate), posticipando l’uso della chemioterapia in queste pazienti. Sono chiari i vantaggi di una scelta di questo tipo in termini di minore tossicità. Nonostante le raccomandazioni internazionali, oggi la chemioterapia è ancora diffusa nella pratica clinica. Ci auguriamo che l’analisi pubblicata su The Lancet Oncology possa cambiare la tendenza. Le nuove opzioni terapeutiche costituite dagli inibitori di inibitori di CDK4/6 infatti garantiscono quantità e qualità di vita”. I risultati dell’analisi, che ha incluso ricerche pubblicate fra gennaio 2000 e dicembre 2017, erano in linea con gli studi (PALOMA-2, MONARCH 3, e MONALEESA-2), che hanno condotto all’approvazione degli inibitori di CDK4/6 (palbociclib, abernaciclib e ribociclib) da parte dell’ente regolatorio americano, la Food and Drug Administration, nel tumore della mammella metastatico. “Servono opzioni terapeutiche innovative – spiega il prof. Giuliano -. Gli inibitori di CDK4/6 rappresentano una nuova strategia nella gestione del tumore del seno metastatico positivo per i recettori ormonali e HER2 negativo. In queste pazienti, la pratica clinica si sta progressivamente allontanando dall’impiego della chemioterapia per adottare la combinazione, in prima linea, di diverse molecole a bersaglio molecolare con la terapia endocrina. Gli inibitori di CDK4/6 infatti stanno progressivamente sostituendo la chemioterapia in prima linea, proprio perché, a parità di efficacia, garantiscono una migliore qualità di vita grazie all’ottima tollerabilità. Va sottolineato che non viene meno l’importanza della chemioterapia, soprattutto nelle pazienti già trattate”.

ONCOLOGIA: SEMPRE PIU’ TERAPIE INNOVATIVE CONTRO IL TUMORE DEL SENO, MA SOLO LA META’ DELLE DONNE ESEGUE REGOLARMENTE LA MAMMOGRAFIA

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Cremona, 15 marzo 2019 – Ancora troppo poche italiane aderiscono ai programmi di screening per il tumore del seno. Solo il 56% delle donne ha eseguito la mammografia, l’esame salvavita in grado di diagnosticare precocemente la malattia. La Lombardia è una Regione virtuosa e presenta uno dei tassi d’adesione tra i più alti della Penisola (67% di aderenza). Ciò nonostante ancora una donna su tre non si sottopone agli screening. Un fenomeno che preoccupa dal momento che la neoplasia ogni anno provoca ancora in tutta la Penisola oltre 12mila decessi. E si registrano ancora forti differenze territoriali. Nel Mezzogiorno, dove l’adesione agli screening è inferiore rispetto al Settentrione, la sopravvivenza è leggermente più bassa. Nelle Regioni del Sud si attesta all’85% mentre in quelle del Nord all’88%. Da qui l’appello degli oncologi affinché tutte le italiane, d’età compresa tra i 50 e 69 anni, si sottopongano una volta ogni due anni al test gratuito organizzato dalle Aziende Sanitarie locali. La sollecitazione degli specialisti arriva dal convegno Breast Journal Club. L’importanza della Ricerca in Oncologia che si conclude oggi. Per due giorni oltre 300 esperti si sono riuniti a Cremona per discutere le ultime novità emerse sulla patologia. “Il cancro della mammella è una malattia che riusciamo a sconfiggere nell’oltre 80% dei casi – afferma il prof. Daniele Generali, Direttore della UO Multidisciplinare di Patologia Mammaria e Ricerca Traslazionale dell’ASST di Cremona -. E’ un dato positivo ma non si può sottovalutare una neoplasia così diffusa e che interessa una parte del corpo femminile estremamente delicata. Soprattutto i test per la prevenzione secondaria vanno maggiormente incentivati tra tutta la popolazione. Con la mammografia ogni anno individuiamo poco più di 8.000 nuovi casi; purtroppo ancora troppe diagnosi arrivano comunque tardi. Questo determina non poche difficoltà sia alle singole donne che all’intero sistema sanitario nazionale. La diagnosi precoce è l’arma fondamentale nella lotta contro il tumore al seno, permette infatti di aumentare notevolmente le probabilità di guarigione delle pazienti, oltre a consentire interventi più conservativi ed estetici. Proprio per sensibilizzare la popolazione alla prevenzione, le reti oncologiche nazionali insieme alle Istituzioni stanno promuovendo e supportando la costituzione di centri di senologia ovvero Breast Unit, modelli di assistenza specializzati nella prevenzione, diagnosi e cura del carcinoma mammario, caratterizzati dalla presenza di un team coordinato e multidisciplinare in grado di garantire quel livello di specializzazione delle cure, dalle fasi di screening sino alla gestione della riabilitazione psico-funzionale, in grado di ottimizzare la qualità delle prestazioni e della vita delle pazienti e, nel contempo, garantire l’applicazione di percorsi diagnostico-terapeutici e assistenziali (PDTA) in coerenza con le linee guida nazionali e internazionali. Le donne affette da tumore al seno che si curano presso centri dedicati (Breast Unit) hanno un 18% in più di guarigioni definitive e una migliore qualità di vita”.

TUMORE DEL SENO: -24% DI MORTALITA’ SE IL PAZIENTE PRATICA ATTIVITA’ FISICA

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Roma, 27 febbraio 2019 –  Con 150 minuti alla settimana di attività fisica si riduce del 24% il rischio di mortalità per il tumore del seno e del 28% per quello del colon-retto. Non solo. Lo sport rappresenta un ottimo rimedio contro i sintomi della fatigue, uno degli effetti collaterali più frequenti. Si calcola, infatti, che interessi la metà delle persone sottoposte a chemioterapia. Ma gli italiani colpiti da una neoplasia sembrano non essere consapevoli di questi benefici. Se l’88% rispetta le raccomandazioni degli specialisti contro il fumo solo uno su tre modifica il proprio stile di vita sedentario dopo una diagnosi di cancro. E’ quanto emerge dal convegno nazionale La Qualità di Vita in Oncologia promosso oggi dalla Fondazione Insieme contro il Cancro al Ministero della Salute. Rientra in un progetto, realizzato con il supporto non condizionato di AstraZeneca, per incentivare l’attenzione verso la qualità di vita nel paziente, con particolare riferimento alle pazienti con carcinoma della mammella, alla gestione degli effetti collaterali della chemioterapia, ormonoterapia, terapie target e immunoncologia. All’evento partecipano oncologi medici, infermieri, pazienti, familiari, cittadini e Istituzioni. E proprio al convegno è stato presentato il documento finale della Consensus Italiana: Neoplasia della mammella: impatto degli stili e della qualità di vita sull’outcome della malattia in fase precoce e nel setting della malattia avanzata. E’ stato scritto da un comitato di nove oncologi italiani coordinati dal prof. Francesco Cognetti, Presidente della Fondazione Insieme contro il Cancro. “Negli ultimi anni sono aumentate le diagnosi precoci e le terapie anti-cancro sono diventate più efficaci – afferma il prof. Cognetti -. Un problema clinico rilevante è non solo garantire ai pazienti la sopravvivenza ma anche una buona, se non ottima, qualità di vita. Questo aspetto però non sempre viene ritenuto una priorità dall’oncologo, nonostante stia assumendo una dimensione rilevante. In Italia oltre 3 milioni di nostri concittadini vivono con un tumore a la sopravvivenza risulta in aumento. Questa particolare categoria di malati presenta nuove esigenze e bisogni. In totale più del 50% dei pazienti, che ha ricevuto una diagnosi da almeno cinque anni, soffre di effetti collaterali legati ai trattamenti che si manifestano a livello fisico e psico-sociale ed è necessario aumentare la consapevolezza su quali possono essere i rimedi. Anche la scelta tra trattamenti, dotati di simili attività, deve essere guidata dall’eventuale differente tossicità di questi farmaci. In quest’ottica, particolare importanza viene assunta da alcuni comportamenti utili non solo a prevenire il cancro. Oltre all’attività fisica il malato deve prestare grande attenzione al controllo del peso corporeo. Va inoltre eliminato il fumo e limitato il più possibile il consumo di alcol. Un’ampia letteratura scientifica ha dimostrato come siano tutti fattori sui quali bisogna intervenire per evitare la ricomparsa di una neoplasia e migliorare le risposte dell’organismo alle cure oncologiche”.   “Anche l’alimentazione deve essere adeguatamente monitorata sia durante che dopo le terapie – aggiunge il prof. Paolo Marchetti, Direttore dell’Oncologia Medica B del Policlinico Umberto I di Roma -. La malnutrizione può impattare negativamente sulla qualità della vita, ridurre l’efficacia dei trattamenti chemioterapici e di conseguenza anche la sopravvivenza. Oltre l’80% dei pazienti però non ha mai ricevuto una valutazione sul proprio stato nutrizionale. E’ una consulenza ormai imprescindibile e che va personalizzata prendendo in considerazione eventuali perdite di peso e comorbidità. La dieta ideale varia poi in base alla neoplasia e al tipo di trattamento eseguito. Non vanno infine dimenticati gli effetti collaterali delle cure che spesso e volentieri interessano proprio l’apparato gastro-intestinale”.

Tumore del seno: In Piemonte oltre 4.300 nuovi casi l’anno

Cresce il numero di donne piemontesi colpite da tumore del seno

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Cuneo, 14 novembre 2018 – In Regione, quest’anno anno, sono previsti in totale 4.350 nuovi casi e otto pazienti su dieci riescono a sconfiggere la malattia. Il successo è dovuto alla messa a punto di nuove cure che risultano estremamente efficaci contro la neoplasia. Inoltre la scelta presa dalle autorità sanitarie locali di estendere i programmi di screening mammografici alle 45enni sta aumentando i tassi di sopravvivenza. Sono questi i principali temi al centro del convegno regionale promosso dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) La gestione della paziente con carcinoma mammario. L’evento, realizzato con il contributo non vincolante di Novartis, si svolge oggi a Cuneo. Vede la partecipazione di circa 80 specialisti da tutto il Piemonte che si ritrovano per fare il punto sullo stato dell’arte della lotta alla malattia. “Quella alla mammella è la forma di cancro più diffusa tra le donne del nostro Paese e da sola rappresenta oltre il 30% di tutti i tumori femminili – afferma la dott.ssa Patrizia Racca, Coordinatore della Sezione Regionale AIOM per il Piemonte e la Valle d’Aosta -. L’allargamento dell’esame biennale della mammografia ad una popolazione più ampia e giovane ci ha permesso di ottenere risultati positivi. Siamo in grado di individuare e quindi intervenire prima su neoplasie di dimensioni ridotte. Così le chances di guarigione per le pazienti aumentano. Il Piemonte può rappresentare un esempio virtuoso per altre Regioni che dovrebbero anche loro estendere i propri programmi di screening oncologico. E’ un imponente, ma non più rinviabile, investimento di prevenzione da incentivare su tutto il territorio nazionale”. “Sono oltre 55 mila le donne piemontesi che vivono con una diagnosi di carcinoma mammario – prosegue la dott.ssa Ornella Garrone, Consigliere Regionale AIOM per il Piemonte e la Valle d’Aosta e Responsabile della Breast Unit dell’A.O. S. Croce e Carle di Cuneo -. La creazione già da diversi anni delle Breast Unit ha migliorato il livello di assistenza che riusciamo a garantire. In totale ne sono attive 16 in diverse strutture sanitarie regionali. Le donne sono sempre valutate da team multidisciplinari e multiprofessionali al cui interno collaborano e si confrontano diversi specialisti. Questo avviene per prassi dal momento della diagnosi. Esistono sicuramente degli aspetti che devono essere migliorati. Come AIOM, per esempio, stiamo lavorando a fianco delle istituzioni regionali per velocizzare i tempi per ottenere i risultati dei test genetici. Attualmente una paziente deve aspettare parecchi mesi, per conoscere un dato fondamentale come la presenza, o meno, della mutazione BRCA”. Al convegno di Cuneo ampio spazio è dedicato al tema delle nuove terapie. “Anche per la fase avanzata della patologia oncologica possiamo utilizzare farmaci estremamente efficaci in grado di rallentarne la progressione – sottolinea la dott.ssa Racca -. Alcuni di questi agiscono direttamente sulle proteine che consentono alle cellule tumorali di crescere. Si tratta di trattamenti sempre più personalizzati e che agiscono su singoli bersagli molecolari. Questo è reso possibile dalle maggiori conoscenze che abbiamo sui meccanismi biologici dei tumori”.

Tumori: Breast Unit di Fondazione Poliambulanza ottiene la certificazione europea “Eusoma”

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Brescia, 3 luglio 2018 – La struttura, fondata nel 2012, ogni anno gestisce oltre 400 nuovi casi di donne colpite da tumore del seno provenienti da tutta la provincia bresciana e anche dai territori limitrofi. Di queste pazienti nel 2017 circa 370 sono state totalmente gestite all’interno del percorso istituzionale, una sessantina per patologie benigne. Si aggiungono poi altre donne che sono trattate per recidive o sottoposte a chemioterapia o radioterapia dopo interventi chirurgici effettuati altrove oppure che hanno effettuato solo l’intervento chirurgico nella nostra struttura. Grazie alla certificazione, della più prestigiosa Società Scientifica Europea in questo ambito, viene garantita la presenza di tutti i servizi necessari e la qualità delle prestazioni.
“La certificazione EUSOMA ottenuta è per noi motivo di grande soddisfazione poiché attesta il livello dell’assistenza che garantiamo alle nostre pazienti – afferma la dott.ssa Alessandra Huscher, coordinatrice della Breast Unit di Fondazione Poliambulanza -. In Italia sono, ad oggi, una ventina le Breast Unit accreditate da EUSOMA”.
All’interno della Breast Unit di Poliambulanza lavorano in modo integrato figure professionali diverse: radiologi, tecnici sanitari di radiologia medica dedicati, chirurghi senologi e chirurghi plastici, anatomopatologi, oncologi medici, radioterapisti oncologi, genetisti, medici nucleari, psicologi, fisiatri, fisioterapisti, infermieri con formazione specifica nonché personale dedicato alla raccolta e analisi dei dati clinici. Nel prossimo futuro è verosimile si aggiungano altre figure professionali. L’integrazione funzionale delle professionalità, secondo le modalità richieste per l’accreditamento, consente di garantire un percorso di cura di qualità, efficacia ed efficienza, elevate e misurabili.
“L’approccio multidisciplinare strutturato nell’Unità di patologia è scientificamente dimostrato essere il migliore nel trattamento del tumore della mammella – prosegue la dott.ssa Huscher -. Siamo di fronte a una patologia oncologica complessa, che colpisce una parte del corpo femminile estremamente significativa, e ha quindi necessità cliniche peculiari, oncologiche ma anche ricostruttive e riabilitative, che si associano ad aspetti psicologici delicati, in particolare nei casi in cui devono essere sottoposte a chirurgia demolitiva. Nella nostra Breast Unit per il trattamento ricostruttivo utilizziamo, in parte o totalmente, il tessuto adiposo (lipofilling) della paziente. Va comunque ricordato che esistono delle situazioni in cui non si può ricostruire l’organo per intero o non si può applicare questo tipo di ricostruzione. Quando indicata, anche se parziale, la ricostruzione con tessuto autologo ha dimostrati benefici clinici.”

 

Tumore del seno: la biopsia diventa liquida,poche gocce di sangue per individuare le recedive

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Roma, 10 novembre 2017 – Poche gocce di sangue per individuare il tumore del seno in fase iniziale e test genomici per personalizzare i trattamenti ed evitare alle pazienti inutili tossicità. La lotta contro la neoplasia più frequente fra le italiane (50.500 nuovi casi stimati nel 2017) passa attraverso le nuove tecnologie. In otto anni (2010-2017) nel nostro Paese le donne vive dopo la diagnosi di tumore del seno sono aumentate del 26%. Oggi 766.957 italiane si trovano in questa condizione. Un risultato molto importante, mai raggiunto in precedenza, soprattutto se si considera che per quasi 307mila donne (oltre il 40% del totale) la diagnosi è stata effettuata da oltre un decennio. Ai nuovi trattamenti nel carcinoma del seno è dedicata la quinta edizione dell’International Meeting on New Drugs (and New Concepts) in Breast Cancer, in corso all’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma con la partecipazione di più di 200 esperti da tutto il mondo. “In quindici anni le percentuali di guarigione in questa malattia sono cresciute di circa il 5%, passando dall’81 all’87 per cento – afferma il prof. Francesco Cognetti, Direttore della Oncologia Medica del Regina Elena e presidente del Congresso -. Si tratta di un risultato eccezionale, da ricondurre alle campagne di prevenzione e a terapie innovative sempre più efficaci. Oggi abbiamo molte armi a disposizione, dalla chemioterapia all’ormonoterapia alle terapie target fino all’immunoterapia. E si stanno aprendo nuove prospettive per personalizzare i trattamenti, grazie a esami genomici che analizzano il DNA del tumore per capirne l’aggressività. In particolare un test prognostico e predittivo, Oncotype DX, supporta l’oncologo nella personalizzazione delle terapie in pazienti con carcinoma mammario in fase iniziale. È uno strumento utile nella scelta del trattamento per le donne che, in base alle caratteristiche anatomopatologiche e cliniche, sono in una sorta di zona grigia, in una fase in cui non si può includere o escludere con certezza la chemioterapia rispetto alla sola ormonoterapia. Per i risultati raggiunti questo esame è stato inserito nelle raccomandazioni delle principali linee guida internazionali”. In Italia, a partire da febbraio 2016, è stato attivato un programma di sperimentazione con il quale si è reso disponibile il test Oncotype DX nei centri di riferimento italiani per il tumore mammario. Da febbraio 2016 a settembre 2017 sono state testate 1295 pazienti di 27 strutture distribuite in due regioni, Lazio e Lombardia. “Prima del test la decisione terapeutica era orientata alla sola ormonoterapia nel 46% dei casi e alla chemioterapia in associazione all’ormonoterapia nel 51% – continua il prof. Cognetti –. A seguito del test la scelta è cambiata in modo tangibile: si è deciso di ricorrere alla sola ormonoterapia nel 66% delle pazienti e alla chemioterapia in associazione all’ormonoterapia soltanto nel 33%. L’utilizzo del test Oncotype DX ha quindi permesso di evitare la somministrazione della chemioterapia nel 50% delle donne a cui era stata inizialmente prescritta. La forte diminuzione dell’utilizzo improprio della chemioterapia, che è stato evidenziato anche da altri test genomici, può tradursi, da un lato, in un beneficio clinico per le pazienti che non vengono più esposte ad un eccesso di trattamento e al relativo rischio di tossicità immediate e tardive, dall’altro in un impatto favorevole sulla spesa sanitaria che oggi rappresenta un elemento di importanza fondamentale con cui anche i clinici devono confrontarsi”.  Un risparmio di risorse che può essere ottenuto anche grazie a diagnosi sempre più precoci. “La sfida è individuare in poche gocce di sangue i primissimi segni del cancro – spiega Massimo Cristofanilli professore di Medicina e direttore Precision Medicine alla Northwestern University di Chicago -. è la biopsia liquida, una tecnologia innovativa molto promettente, utilizzata oggi per la prevenzione secondaria durante il follow up, cioè per scoprire la formazione di eventuali recidive e metastasi nelle donne che hanno già sviluppato il tumore. Le tecnologie attuali ci permettono di capire nel 70-75% dei casi se la malattia svilupperà metastasi. Altre applicazioni sono in fase di sperimentazione: l’obiettivo è scoprire la malattia in fase preclinica, risultato che la mammografia non è in grado di ottenere. La biopsia liquida inoltre è facilmente ripetibile nel tempo, bastano 8-10 millilitri di sangue, a differenza di quella tradizionale che richiede l’escissione del tessuto tumorale”. “Oggi si sta affacciando una nuova classe di farmaci target, che intervengono nel rallentare la progressione del tumore del seno, inibendo due proteine chiamate chinasi ciclina-dipendente 4 e 6 (CDK-4/6) – continua il prof. Cristofanilli -. Queste molecole hanno dimostrato di essere superiori rispetto alla terapia standard nella fase metastatica e studi in corso hanno evidenziato la loro efficacia anche nella malattia di nuova diagnosi come trattamento preoperatorio. Nell’immediato le sfide riguardano i casi di tumore del seno più difficili da trattare: quelli triplo negativi e con metastasi cerebrali. In questi casi nuove prospettive sono offerte dall’immunoterapia”. “La stimolazione del sistema immunitario – afferma il prof. Cognetti – funziona soltanto in poche donne con tumore del seno, ma in questi casi con risultati davvero importanti, soprattutto nelle forme triplo negative, che costituiscono circa il 15% del totale. Nelle pazienti resistenti inoltre sono in fase di sperimentazione le combinazioni di immunoterapia e chemioterapia che può favorire la risposta del sistema immune”. Nuovi farmaci biologici come gli inibitori di Parp sono più efficaci della chemioterapia nelle pazienti che presentano mutazioni del gene BRCA, perché agiscono direttamente sui danni del DNA.

Tumore del seno: l’80% delle pazienti è vivo a 10 anni dalla diagnosi ma il 31% delle italiane non conosce l’autopalpazione

Un sondaggio su più di 1.650 donne presentato in un convegno nazionale al Ministero della Salute

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Roma, 4 ottobre 2017 – È necessario migliorare tra le italiane la conoscenza delle regole della prevenzione del tumore del seno. Il 48% delle donne nel nostro Paese ritiene che questa neoplasia non sia guaribile e il 35% non sa che è prevenibile. Ancora un 31% ignora cosa sia l’autopalpazione del seno e solo il 47% di chi conosce questo esame lo esegue regolarmente. Sono i principali risultati del sondaggio condotto dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) su 1.657 donne per fotografare il loro livello di conoscenza su questa malattia. Il questionario, presentato oggi in un convegno nazionale all’Auditorium del Ministero della Salute, è parte di un progetto più ampio di informazione e sensibilizzazione sulla patologia che include anche due opuscoli (per pazienti e cittadini). Nel 2017 in Italia sono stimati 50.500 nuovi casi. “È la neoplasia più frequente in tutte le fasce d’età – afferma il prof. Carmine Pinto, presidente nazionale AIOM -. A dimostrazione del livello globalmente raggiunto dal Sistema Sanitario Nazionale, la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi nel nostro Paese raggiunge l’87% ed è più alta sia della media europea (82%) sia dei livelli registrati nei Paesi Scandinavi (85%) e in Irlanda e Regno Unito (79%).  E a 10 anni l’80% delle pazienti italiane è vivo. La prevenzione primaria, basata cioè sugli stili di vita sani (no al fumo, dieta corretta e attività fisica costante), e secondaria (adesione ai programmi di screening mammografico) sono le armi principali per sconfiggere questa neoplasia. Sappiamo infatti che, se si interviene ai primissimi stadi, le guarigioni superano il 90%”. Dal sondaggio emerge che il 57% delle italiane non ha adeguate informazioni sulle possibilità di trattare questo tumore anche in fase avanzata. “Oggi abbiamo a disposizione armi efficaci che ci consentono di controllare la malattia anche in questo stadio – continua il prof. Pinto -. I trattamenti in questi casi sono rappresentati dalla chemioterapia, dall’ormonoterapia e dalle terapie a bersaglio molecolare che hanno prodotto significativi miglioramenti nella sopravvivenza e nella qualità di vita. In particolare sono stati recentemente approvati in Europa farmaci di una nuova classe che intervengono nel rallentare la progressione del tumore del seno in fase metastatica, inibendo due proteine chiamate chinasi ciclina-dipendente 4 e 6 (CDK-4/6). Queste ultime, quando sono iperattivate, possono consentire alle cellule tumorali di crescere e di dividersi in modo eccessivamente rapido”. Nelle pazienti in post-menopausa gli inibitori delle cicline hanno dimostrato, in associazione alla terapia ormonale, di migliorare i risultati ottenuti con la sola terapia ormonale nel prolungare la sopravvivenza libera da progressione. “In 25 anni, dal 1989 al 2014, la mortalità per questa neoplasia è diminuita di circa il 30% – sottolinea la dott.ssa Stefania Gori, presidente eletto AIOM -. Il merito deve essere ricondotto a trattamenti sempre più efficaci e personalizzati e alle campagne di prevenzione. Un ruolo fondamentale è svolto dallo screening mammografico, il primo step è però rappresentato dall’autopalpazione, un vero e proprio esame salvavita che la donna può eseguire da sola a casa. Va effettuata ogni mese a partire dai 20 anni, meglio se nella prima o seconda settimana dalla fine del ciclo mestruale, ed eventuali anomalie devono essere subito segnalate al proprio medico di famiglia. Durante l’esame è necessario prestare attenzione a cambiamenti di forma e dimensione di uno o entrambi i seni, alla comparsa di noduli nella mammella o nella zona ascellare, a secrezioni dai capezzoli e ad alterazioni della cute del seno. Oltre alla mancata conoscenza del ruolo dell’autopalpazione, il sondaggio evidenzia un altro aspetto preoccupante: il 19% delle donne non cambierebbe il proprio stile di vita per ridurre il rischio e il 46% non sa se lo modificherebbe. È necessario continuare a promuovere campagne di sensibilizzazione proprio per agire su queste zone grigie”. Le donne che praticano regolarmente attività fisica presentano una diminuzione della possibilità di sviluppare la malattia di circa il 15-20% e questi effetti sono particolarmente evidenti in postmenopausa. Anche il controllo del peso e la dieta mediterranea hanno ricadute positive.

Nel nostro Paese vivono 766.957 donne dopo la diagnosi di tumore del seno (+26% dal 2010 al 2017). “Si tratta di un vero e proprio esercito di persone che stanno affrontando la malattia o l’hanno vinta e possono essere definite guarite – afferma l’avv. Elisabetta Iannelli, Segretario Generale FAVO (Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) -. Inoltre oggi molte donne vivono a lungo con il tumore del seno: in questi casi è possibile parlare di cronicizzazione della malattia. Per questo, fin dalla prima fase delle scelte terapeutiche, è importante considerare la qualità di vita delle pazienti. Non basta cioè aggiungere anni alla vita, siamo di fronte a un cambiamento culturale importante. E guarire oggi non può voler dire solo aver vinto la personale battaglia contro la malattia. Alla multidimensionalità della condizione di salute corrisponde la complessità della guarigione. Si è guariti quando è ristabilita la piena interazione della persona nel contesto sociale, quando vengono ripristinate le condizioni di vita presenti prima dell’insorgenza della malattia e se vi è il recupero della condizione di benessere fisico, psichico e sociale. Un’indagine condotta dalla FAVO e dalla Fondazione Censis ha evidenziato che per le donne colpite da tumore del seno la ripresa delle normali attività quotidiane ha richiesto in media più di otto mesi, con uno strascico rilevante di criticità (ad esempio disturbi del sonno e alimentari, preoccupazioni per il proprio aspetto fisico). Aspetti spesso sottovalutati ma con una ricaduta importante sulla stessa efficacia delle cure”.

SENOLOGIA: FAVO, SENONETWORK, EUROPADONNA ITALIA E TOSCANA DONNA RICEVUTI AL MINISTERO DELLA SALUTE

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Roma, 8 settembre 2016 – Si è svolto ieri, presso il Ministero della Salute, un incontro tra l’Ufficio di Gabinetto del Ministro e una delegazione composta da Elisabetta Iannelli, Segretario Generale di FAVO (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia), Laura Del Campo, Direttore di FAVO, Luigi Cataliotti, Presidente Senonetwork Italia e Pinuccia Musumeci, presidente Toscana Donna e rappresentante di Europa Donna Italia. L’incontro, a cui ha anche partecipato il Direttore generale della comunicazione e dei rapporti europei e internazionali, Dr.ssa Daniela Rodorigo, si è svolto in un clima di cordialità e collaborazione ed ha rappresentato l’occasione per discutere il tema dell’avvio dei Centri di Senologia multidisciplinare (Breast Unit) su tutto il territorio italiano, con ricadute di rilevante importanza per le donne cui è stato diagnosticato un tumore al seno. In particolare sono stati approfonditi gli aspetti relativi:
1. al numero di Breast Unit attualmente operative rispetto ai centri potenzialmente attivabili in Italia secondo i criteri dettati dalla normativa Europea;
2. ai lavori della Commissione Ministeriale delegata a facilitare e verificare l’adozione, da parte delle regioni, delle linee guida sulla rete dei centri di senologia di cui all’intesa Stato-Regioni del 18 dicembre 2014;
3. all’applicazione delle linee guida condivise sui percorsi relativi a diagnosi, trattamento e riabilitazione psicofisica delle donne malate di cancro al seno; multidisciplinarietà del team e specializzazione in campo senologico; presenza di breast nurse con compiti non solo assistenziali ma anche gestionali e di rilevazione dei bisogni assistenziali delle donne malate; utilizzo di database per la raccolta dei dati ai fini di ricerca;
4. all’avvio dei Centri di Senologia da parte delle Regioni, anche alla luce di quanto previsto nel DM 70 del 2015;
5. alla partecipazione attiva dei rappresentanti del volontariato oncologico nei Centri di Senologia;
6. al counseling e assistenza per assicurare la preservazione della fertilità nelle giovani donne malate di cancro prima dell’inizio dei trattamenti anti-tumorali.

Il Ministero della Salute ha assicurato il più ampio impegno nell’affrontare prontamente le tematiche segnalate dalle organizzazioni presenti all’incontro, anche in considerazione dei termini fissati dalla Comunità Europea per l’attivazione dei Centri di Senologia su tutto il territorio italiano. FAVO, Senonetwork Italia, Toscana Donna e Europa Donna Italia plaudono all’apertura del Ministero, confermando la propria disponibilità a collaborare in modo concreto affinché tutti i Centri di Senologia possano essere attivati nei modi e tempi previsti dalla normativa europea e nazionale vigente