La lotta e la prevenzione del tumore del polmone arriva al Festival del Cinema di Venezia

La prof.ssa Silvia Novello (presidente di WALCE e co-sceneggiatrice della pellicola): “Grazie al grande schermo possiamo veicolare messaggi positivi alla popolazione”

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Venezia, 04 settembre 2019 – Oggi pomeriggio alla Mostra (ore 16) sarà proiettato il cortometraggio intitolato: “Roller Coaster – Montagne russe”. La storia è basata su casi clinici reali e la regia è affidata alla mano esperta di Manuela Jael Procaccia, mentre la sceneggiatura nasce dalla sua collaborazione con la prof.ssa Silvia Novello (Presidente di WALCE – Women Against Lung Cancer in Europe). Il cast è formato da medici veri e da attori professionisti e le protagoniste sono Eliana Miglio e Chiara Iezzi. La pellicola narra la storia di Luisa e Lea: due donne entrambe affette da un tumore del polmone in stadio avanzato. Il loro percorso di cura si snoda in una sfrenata corsa sulle montagne russe, mentre il team di medici discute dei due casi clinici e della terapia in corso. “Il rapido evolversi dei trattamenti e l’iter diagnostico in continua evoluzione fanno sì che anche il processo formativo del personale sanitario, che deve affrontare il cancro, sia spesso complesso e articolato – afferma la prof.ssa Silvia Novello, Presidente di WALCE Onlus -. Quello che offre la cinematografia è un supporto estremamente utile nel coadiuvare chi fa educazione in ambito sanitario. Allo stesso modo la disseminazione di informazioni importanti può essere ben veicolata dal cinema, senza stravolgerne il senso e i contenuti e facendo capire a tutti concetti altrimenti difficili da far penetrare. Il tumore del polmone risulta in diminuzione per gli uomini mentre fra le donne la situazione diventa ogni anno più preoccupante, perché i nuovi casi e i decessi sono in crescita. Quindi le protagoniste della nostra pellicola non potevano che essere due donne”. “Anche i media sono in costante trasformazione ma il cinema rimane un punto fermo nella trasmissione e condivisione di messaggi – aggiunge Manuela Jael Procaccia, sceneggiatrice e regista del cortometraggio -. Il grande schermo ha un potenziale comunicativo molto efficace e diretto. Da figlia di medici, la medicina mi scorre nelle vene. Ho quindi scelto il cinema per raccontare delle storie. E il cinema può parlare di tematiche legate alla medicina e favorire così la prevenzione di gravi patologie”. “Grazie a questo cortometraggio vogliamo far conoscere qualcosa in più su una malattia ancora oggi stigmatizzata socialmente per via della sua stretta correlazione col fumo – conclude la prof.ssa Novello -. Questo impedisce alle persone di provare quel senso di empatia e solidarietà, che spinge chi ne è affetto a sentirsi solo e colpevolizzato per una condizione che, in realtà, non si è cercata. Raccontare la storia di Luisa e Lea all’interno di un evento come la Mostra del Cinema di Venezia è sicuramente un modo per cercare di educare la popolazione, facendo conoscere meglio alcuni aspetti legati alla malattia, che sono per lo più condivisi solo in ambito medico”.

 

 

Tumori: Italia leader nel mondo nella ricerca sull’immuno-oncologia

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Roma, 7 maggio 2019 – L’Italia è leader a livello internazionale nelle ricerche sull’immuno-oncologia, che sta cambiando le prospettive di cura in molti tumori in fase avanzata. Il nostro Paese è fra i primi al mondo nelle sperimentazioni in questo campo, che rientra nell’oncologia di precisione, un approccio che mira a offrire il farmaco “giusto” al paziente “giusto” al momento “giusto”, migliorandone così l’efficacia e la qualità di vita. E Bristol-Myers Squibb, pioniere nello sviluppo di terapie che hanno cambiato la storia dell’oncologia, oggi è in prima linea nella ricerca di farmaci innovativi in grado di modificare le aspettative di vita dei pazienti. L’impegno di Bristol-Myers Squibb in oncologia e le nuove frontiere contro i tumori sono al centro di una conferenza stampa oggi a Roma.  “Negli ultimi 10 anni, l’immuno-oncologia, una vera e propria nuova disciplina che utilizza farmaci immunoterapici che stimolano il sistema immunitario contro il tumore, ha rivoluzionato la lotta contro la malattia – spiega il prof. Michele Maio, Direttore della Cattedra di Oncologia dell’Università di Siena e del Centro di Immuno-Oncologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese -. Dopo i primi due grandi passi in avanti rappresentati dalla chemioterapia e dalle terapie mirate, stiamo assistendo a una vera e propria svolta nel trattamento dei tumori grazie alla progressiva estensione dell’efficacia di quest’arma. L’immuno-oncologia rappresenta oggi lo standard di cura in diverse neoplasie in stadio metastatico: dal melanoma, al tumore del polmone non a piccole cellule, al linfoma di Hodgkin, al carcinoma a cellule renali fino a quelli della testa e del collo e al tumore di Merkel. E sono in corso studi sulle neoplasie gastrointestinali, della vescica, del fegato, del seno, dell’esofago, e in molte altre”. In Italia vivono quasi tre milioni e 400 mila persone dopo la diagnosi di tumore e circa due milioni si sono lasciati la malattia alle spalle da più di 5 anni.
“Nel melanoma metastatico, il 20% dei pazienti trattati con ipilimumab, la prima molecola immuno-oncologica, è vivo a 10 anni dalla diagnosi – sottolinea il prof. Paolo Ascierto, Direttore dell’Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto Nazionale Tumori Fondazione ‘G. Pascale’ di Napoli -. In seguito è stato introdotto nivolumab, che ha migliorato i risultati. E un ulteriore passo in avanti è stato compiuto con la combinazione delle due molecole in prima linea nel melanoma metastatico: il 53% dei pazienti colpiti da questo tumore della pelle è vivo a 4 anni. Un beneficio che molto probabilmente si manterrà a lungo termine grazie all’effetto ‘memoria’ caratteristico dell’immuno-oncologia. Quest’arma garantisce anche una buona qualità di vita. La sfida immediata è aumentare l’efficacia dei farmaci a disposizione per superare la resistenza alle terapie immuno-oncologiche, che impedisce a circa il 50% dei pazienti di beneficiarne”.  “Nel 2013, la prestigiosa rivista americana Science collocò l’immuno-oncologia al primo posto della ‘top ten’ delle più importanti scoperte scientifiche dell’anno – afferma Emma Charles, General Manager Bristol-Myers Squibb Italia -. Allora sembrava una scommessa, oggi l’immuno-oncologia è una realtà consolidata nel trattamento dei tumori e molte conquiste sono considerate ormai acquisite. Il Premio Nobel per la Medicina assegnato, nel 2018, a James Allison e a Tasuku Honjo per i loro studi su quest’arma ha testimoniato la portata della rivoluzione in corso. Bristol-Myers Squibb, per prima, ha creduto in questo approccio investendo tempo e risorse. Abbiamo introdotto la prima molecola immuno-oncologica, ipilimumab, nel melanoma nel 2013 in Italia e, oggi, nivolumab in monoterapia o in combinazione con ipilimumab è utilizzato in numerose indicazioni comportando un beneficio significativo in sopravvivenza per i pazienti. Oggi continuiamo a essere pionieri negli studi sulle nuove combinazioni di terapie e nella medicina di precisione, con l’obiettivo di migliorare la qualità di vita dei pazienti colpiti da gravi malattie. In Italia sono in corso oltre 80 sperimentazioni su 16 molecole sviluppate dall’azienda in oncologia. Investiamo il 25% dei ricavi in ricerca, proprio per sviluppare terapie sempre più efficaci. Attraverso lo sviluppo sinergico di diagnostica e nuove terapie oncologiche, BMS vuole infine realizzare la promessa della medicina di precisione – individuare il trattamento giusto, per il paziente giusto, al momento giusto”.  “Servono studi sui meccanismi di resistenza e la chiave per scoprirli si trova nel microambiente tumorale, cioè nell’ambiente in cui le cellule malate vivono – afferma il prof. Ascierto -. Il microambiente caldo (infiammatorio) risponde alle terapie immuno-oncologiche perché contiene cellule del sistema immunitario, quello freddo invece sviluppa resistenza perché è privo di infiltrato linfocitario. Le strategie immediate della ricerca mirano proprio a introdurre linfociti nel microambiente freddo perché aggrediscano il tumore. Come? Innanzitutto rendendo più efficaci le armi a disposizione attraverso la combinazione di terapie immuno-oncologiche. Vi sono poi farmaci locoregionali che vengono ‘iniettati’ nel tumore per renderlo ‘caldo’: l’idea alla base del loro funzionamento è che, in questo modo, possa essere modificato il microambiente tumorale. Va anche studiata la giusta sequenza di terapie, obiettivo dello studio Secombit coordinato dal ‘Pascale’ di Napoli: ha coinvolto 244 persone da 22 centri (11 italiani e 11 del resto d’Europa) e si concluderà nel giugno 2021. Il trial sperimenta tre opzioni per individuare la sequenza migliore”.  “La ricerca di laboratorio è cruciale per comprendere le nuove frontiere della lotta alla malattia – sottolinea il prof. Maio -. Oltre alle stesse cellule tumorali ed al microambiente in cui esse vivono, anche la funzionalità del sistema immunitario e del microbiota intestinale (cioè la flora intestinale, l’insieme di organismi, in particolare batteri, che popolano l’intestino) svolgono un ruolo fondamentale nel regolare la risposta immunitaria e, quindi, nel determinare l’efficacia delle terapie immuno-oncologiche. Dobbiamo imparare a conoscere e, quindi, ad aggirare gli ostacoli che ciascuna di queste componenti può opporre all’attività del sistema immunitario. Interessanti sperimentazioni mirano proprio a comprendere in che modo alcuni tipi di flora intestinale favoriscano una migliore risposta a questi trattamenti. Grazie al patto virtuoso siglato fra Università, clinici, industria, pazienti e agenzia regolatoria, l’Italia è in prima linea nella ricerca sulle molecole innovative. Non va però dimenticato il peso decisivo della ricerca indipendente: nel Centro di Siena, ad esempio, grazie a studi condotti dalla Fondazione NIBIT, abbiamo, primi al mondo, iniziato a dimostrare l’efficacia dell’immunoterapia nel mesotelioma pleurico e che farmaci epigenetici possono migliorare l’efficacia del trattamento immunoterapico nel melanoma rendendo il tumore maggiormente ‘visibile’ e riconoscibile da parte del sistema immunitario”.  “Oggi il termine ‘sperimentazione’ non provoca più timore – afferma Monica Forchetta, presidente APaIM (Associazione Pazienti Italia Melanoma) -. Le Associazioni però devono sensibilizzare i pazienti oncologici sull’importanza della ricerca clinica, per far capire loro che, proprio entrando in una sperimentazione, è possibile accedere a terapie innovative anni prima della loro commercializzazione. La ricerca offre grandi opportunità ai pazienti, inoltre in questo modo è possibile aiutare gli altri malati”. “Nessuna azienda ha maggiore esperienza nell’immuno-oncologia di BMS. Con più di 250.000 pazienti trattati con le nostre immunoterapie, BMS ha cambiato le aspettative di sopravvivenza al cancro – conclude Cosimo Paga, Executive Country Medical Director, Bristol-Myers Squibb Italia -. Nivolumab ha ricevuto circa 300 approvazioni a livello globale, con 15 pubblicazioni sulla prestigiosa rivista scientifica ‘New England Journal of Medicine’, e otto studi di fase III sulla molecola sono stati interrotti in anticipo perché hanno raggiunto il beneficio di sopravvivenza. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una importante accelerazione nelle scoperte scientifiche, raggiungendo numerosi traguardi con l’immunoterapia, ma c’è ancora tanto da fare e stiamo lavorando per migliorarne ulteriormente l’efficacia. Innanzitutto dobbiamo estendere l’efficacia dell’immuno-oncologia in tumori dove gli attuali farmaci non sono indicati. Dobbiamo inoltre studiare i meccanismi di resistenza dell’immuno-oncologia e per questo abbiamo da poco inaugurato il centro di ricerca traslazionale negli Stati Uniti (Cambridge, Massachusetts), per accelerare la capacità di identificare soluzioni di medicina di precisione per ogni paziente, integrando discipline che comprendono genomica, imaging, bioinformatica. Il programma di medicina traslazionale di BMS definisce le interazioni complesse e uniche tra il tumore, il microambiente tumorale (TME), il sistema immunitario e il paziente nella sua individualità, analizzando le caratteristiche cliniche e i biomarcatori per stabilire quali pazienti più probabilmente possano beneficiare di terapie specifiche. Infine, la nostra capacità di innovazione deriva anche dalla continua e proficua collaborazione con il mondo accademico. In questo senso, vanno ricordati il progetto GECI, che sigla la partnership fra Bristol-Myers Squibb e circa 30 strutture di ricerca internazionali (in Europa, Giappone, Australia e Canada), e gli ‘R&D Days’, appuntamento annuale che riunisce i più importanti scienziati da tutto il mondo per fare il punto sulle ultime strategie nella lotta al cancro”.

Tumori: assistenza psicologica nell’80% delle oncologie

212 breast unit, ma le cure domiciliari sono ancora carenti

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Roma, 2 aprile 2019 – Nel nostro Paese sono attive 332 Oncologie, quasi l’80% (78,9%) ha un servizio di supporto psicologico, ma ancora troppo poche, solo il 65%, garantiscono l’assistenza domiciliare. Una forbice che si allarga spostandosi lungo la Penisola: al Nord le cure domiciliari sono infatti assicurate dal 70% delle strutture rispetto al 52% del Sud. Le Breast Unit, dedicate alla cura del tumore della mammella, sono 212 e l’80% (170) tratta più di 150 nuovi casi ogni anno (la soglia minima stabilita a livello europeo). Ma sono distribuite a macchia di leopardo: al Nord il 72% delle Oncologie (120) è dotato di un centro senologico, rispetto al 68% del Centro (57) e al 43% del Sud (35). Nonostante queste criticità da affrontare quanto prima, sono significativi i passi in avanti fatti nella definizione dei percorsi diagnostico-terapeutici e assistenziali (PDTA), essenziali per garantire un’assistenza multidisciplinare: sono stati deliberati dal 73% delle strutture, per un totale di 798 documenti (in particolare per i tumori della mammella, colon-retto, polmone e prostata). I dati sullo “Stato dell’Oncologia” nel nostro Paese emergono dal convegno nazionale organizzato oggi al Senato dall’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) ed evidenziano luci e ombre nella cura del cancro. “Vanno superate le differenze territoriali nell’assistenza, che ancora oggi alimentano le liste di attesa e le migrazioni regionali, costringendo una significativa percentuale di pazienti a spostarsi dal proprio domicilio – spiega Stefania Gori, Presidente Nazionale AIOM e Direttore dipartimento oncologico, IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria-Negrar -. La svolta è rappresentata dalla reale istituzione delle reti oncologiche regionali, attive solo in Lombardia, Piemonte e Valle D’Aosta, Veneto, Toscana, Umbria, Liguria, Puglia e nella Provincia autonoma di Trento. La concreta realizzazione di questi network consentirà di migliorare i livelli di appropriatezza e di risparmiare risorse da utilizzare per velocizzare l’accesso ai farmaci innovativi. Sul fronte dell’appropriatezza, AIOM mette in campo molti strumenti: dal Libro Bianco dell’Oncologia Italiana, alle raccomandazioni cliniche e metodologiche, alle 37 Linee Guida, ai controlli di qualità nazionali per i test bio-molecolari, alle Raccomandazioni sull’implementazione del test BRCA nelle pazienti con carcinoma ovarico, fino al volume sui ‘Numeri del cancro in Italia’, che presenta ogni anno il quadro epidemiologico dei tumori. In particolare le Linee Guida, costantemente aggiornate, sono indispensabili per favorire l’appropriatezza prescrittiva sia dei trattamenti (farmacologici e non) che degli esami diagnostici e strumentali.”

Oggi, in Italia, il 63% delle donne e il 54% degli uomini sono vivi a 5 anni dalla diagnosi. Il nostro Paese, se valutato nel complesso, presenta un quadro di sopravvivenza pari o superiore alla media europea. “è necessario migliorare il livello tecnologico dei centri, sia in ambito diagnostico (radiologia e biologia molecolare) che chirurgico e radioterapico – sottolinea Giordano Beretta, Presidente eletto AIOM -. Oggi, ad esempio, la radioterapia è impiegata nella cura del 60-70% dei pazienti oncologici e si stima che il suo fabbisogno in Europa aumenterà di oltre il 15% nei prossimi 10 anni. Un’analisi economica internazionale, pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica ‘The Lancet Oncology’, ha evidenziato infatti che gli investimenti in apparecchiature radioterapiche non solo consentono il trattamento di un gran numero di pazienti, ma determinano anche vantaggi economici, tenendo conto delle risorse investite e delle vite salvate. Anche l’assistenza domiciliare, in particolare quella palliativa, è insufficiente in molte realtà, nonostante gli importanti risparmi che ne deriverebbero. È stato dimostrato che, se fosse assicurata un’adeguata assistenza domiciliare e palliativa, la degenza in ospedale si ridurrebbe da 20 a 4 giorni, con un risparmio di circa 2.000 euro a paziente”.

Senza dimenticare le campagne di prevenzione rivolte a tutti i cittadini. Nel 2018, in Italia, sono stati stimati 373.300 nuovi casi di cancro, con un aumento, in termini assoluti, di 4.300 diagnosi rispetto al 2017. E ogni giorno, nel nostro Paese, più di 510 nuovi casi (oltre il 50%) riguardano gli over 70. AIOM e Fondazione AIOM, in collaborazione con Senior Italia FederAnziani, hanno lanciato quindi il primo progetto nazionale per prevenire e vincere i tumori negli anziani (“Cancro, la prevenzione non si ferma dopo i 65 anni”). “Le prime 18 tappe si sono svolte con grande partecipazione – afferma Fabrizio Nicolis, Presidente Fondazione AIOM -. Oggi un over 65 ha ancora davanti a sé più di un ventennio. Ecco perché diventa fondamentale correggere il proprio stile di vita e sottoporsi a regolari controlli medici e agli screening anche in età avanzata: una diagnosi precoce può fare la differenza. Purtroppo il 57% degli over 65 è in sovrappeso o obeso, il 9,8% fuma, il 39,2% è sedentario e solo il 10,6% consuma 5 o più porzioni di frutta e verdura ogni giorno. Vogliamo migliorare queste percentuali con un progetto che è all’avanguardia anche in campo internazionale: gli oncologi entrano nei centri anziani per sensibilizzare un grande numero di cittadini non solo sugli screening (prevenzione secondaria), ma anche sugli stili di vita corretti (prevenzione primaria) e sulle regole da seguire per evitare eventuali recidive dopo la fine dei trattamenti (prevenzione terziaria). Sono previsti in totale 50 incontri frontali nei centri anziani, con 50 corsi di ballo per favorire l’attività fisica e 50 corsi di cucina per insegnare le regole della corretta alimentazione. Coinvolgeremo oltre 50mila anziani, a cui distribuiremo anche opuscoli informativi”.

TUMORI, CHEMIO A BASSE DOSI: L’ALOPECIA SI RIDUCE ALL’1%

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Milano, 1 marzo 2019 – Farmaci a basso dosaggio, anche tutti i giorni. È la Chemioterapia Metronomica, una innovativa strategia che prevede una terapia orale con una frequenza che va dal quotidiano alle due/tre volte alla settimana. “Non solo ha una tossicità diretta sulle cellule tumorali – afferma Marina Cazzaniga, Direttore del Centro di ricerca di Fase I – ASST Monza – ma anche un effetto sul loro microambiente, poiché inibisce l’angiogenesi neoplastica, in altre parole il meccanismo di formazione di nuovi vasi sanguigni, responsabile di crescita tumorale e metastasi. La sua efficacia è dimostrata in alcune forme di tumore al seno, del polmone, linfomi, neoplasie pediatriche e in molti casi di tumori in stadio avanzato. Non è solo efficace, ma ha anche un profilo di bassa tossicità, è in grado di modulare la risposta immunitaria, riduce gli effetti collaterali – meno dell’1% presenta alopecia e la tossicità neurologica è inferiore al 5% – e può portare alla cronicizzazione della malattia. Senza contare l’enorme risparmio economico che offre una terapia “a domicilio”.

A marzo inizieranno i primi corsi dell’International School of Metronomic Chemotherapy (ISMe®). “Con questa scuola, gratuita e accessibile online, abbiamo voluto offrire, nell’interesse dei pazienti e della ricerca, una piattaforma educazionale che rende disponibili tutte le conoscenze accumulate in questi anni di studi” annuncia la Dott.ssa Cazzaniga, fondatrice e presidente della scuola. “Vogliamo migliorare la divulgazione di questo particolare tipo di trattamento, i suoi meccanismi d’azione caratteristici, i risultati più recenti su diversi tipi di tumore, oltre a contribuire allo scambio scientifico tra medici, clinici e ricercatori. La scuola accoglie laureandi in Medicina, oncologi, radioterapisti, chirurghi, ginecologi, infermieri, farmacisti e farmaco-economisti di tutto il mondo”.

Nel 2019 nella sola Europa si stimano 3,9 milioni di nuovi casi e oltre 1,9 milioni di morti per cancro. In Italia, dove la proiezione è di 373.300 nuovi casi di tumore, mediamente ogni giorno oltre 485 persone muoiono a causa di una neoplasia.

“La chemioterapia metronomica ha un potenziale enorme – sottolinea la Dott.ssa Cazzaniga – pensiamo solo all’accesso alle cure nei Paesi poveri, dove anche riuscire a raggiungere un ospedale è tutt’altro che semplice. Inoltre i farmaci che usiamo non sono molto costosi. A breve avremo i risultati di un nuovo studio in real life, ma quello che abbiamo condotto negli ultimi anni ci ha riservato risultati sorprendenti: la terapia sarebbe efficace non solo negli stadi più avanzati di tumore al seno in cui l’ormonoterapia ha fallito, ma anche in quelli meno avanzati. Le opportunità di impiego della metronomica si allargano ogni giorno”.

Gioco di squadra per il successo della terapia, con un ruolo chiave per l’infermiere clinico. La Dott.ssa Olga Trevisi, Infermiera di Ricerca clinica, Centro di ricerca di Fase I – ASST Monza racconta la sua esperienza: “la Terapia Metronomica rende il paziente soggetto di cura e non oggetto di cura. L’infermiere affianca il paziente nel suo percorso mettendo in atto strategie assistenziali che necessitano di un approccio con il paziente assolutamente innovativo”.

Al centro dunque c’è il paziente. Interessante la testimonianza della Signora Antonella Parma: “sembrerà poca cosa, ma con questa terapia non ho perso i capelli, come sarebbe potuto accadere con la chemio tradizionale – dichiara la donna, in trattamento con la terapia metronomica da 9 mesi – inoltre non sono costretta ad eseguire spesso gli esami del sangue. Faccio i miei controlli quando vado in ospedale a ritirare le compresse per la terapia. Sostanzialmente posso continuare a fare la mia vita”.

“Dobbiamo lavorare sulla giusta dose di farmaco – conclude la Dott.ssa Cazzaniga – poiché ad oggi appare chiaro che dosi e tempi di somministrazione differenti dello stesso farmaco inducono effetti diversi sulla cellula tumorale e su quello che la circonda, ovvero il cosiddetto micro-ambiente tumorale. Modulando la dose e la cadenza di somministrazione possiamo avere azioni ed effetti diversi: sui vasi tumorali, sulla stimolazione della risposta immunitaria oppure sulle cellule staminali tumorali. A giugno presenteremo i risultati di uno studio sui profili farmacocinetici. L’attività scientifica sulla concentrazione ottimale di farmaco è determinante nel futuro della chemioterapia metronomica. Ma dovremo occuparci anche di comprendere quali pazienti possano beneficiarne in modo sostanziale, quali farmaci possano essere indicati, quale impostazione del trattamento sia la più appropriata, quale sia il potenziale sull’attivazione del sistema immunitario”.

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Tumori: Aiom 37 Linee Guida a disposizione di clinici e pazienti

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Roma, 23 gennaio 2019 – Sono 37 le Linee Guida ufficiali prodotte dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) nel 2018. Si tratta di documenti elaborati con metodologia GRADE e stilati con l’impegno di oltre 500 professionisti e il coinvolgimento di 45 diverse Società Scientifiche. Solo nel 2018 sono state scaricate e consultate da oltre 500mila persone. L’obiettivo, per quest’anno, è procedere con un costante aggiornamento per perfezionare così la formazione continua degli oncologi. E, al tempo stesso, migliorare e garantire un migliore e più uniforme sistema di cure su tutto il territorio nazionale. E’ quanto emerge dal convegno nazionale organizzato da AIOM Linee Guida AIOM 2019. L’evento si svolge oggi a Roma (presso il Ministero della Salute) e vuole portare all’attenzione delle Istituzioni le modalità con cui vengono prodotte le raccomandazioni in ambito oncologico (modi, tempi, metodologia e collaborazioni). Partecipano al convegno le 45 Società Scientifiche con cui AIOM collabora da anni nella produzione di linee guida oncologiche, tra cui l’Associazione Italiana di Medicina Nucleare ed Imaging Molecolare (AIMN, Presidente Orazio Schillaci), l’Associazione Italiana di Radioterapia ed Oncologica Clinica (AIRO, Presidente Stefano Magrini), l’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (AISF, Presidente Salvatore Petta), l’Associazione Nazionale Italiana Senologi Chirurghi (ANISC, Presidente Mario Taffurelli), l’Associazione Urologi Italiani (AURO, Presidente Roberta Gunelli), la Società Italiana di Anatomia patologica e di Citologia Diagnostica (SIAPEC, Presidente Mauro Truini), la Società Italiana di Chirurgia Oncologica (SICO, Presidente Domenico D’Ugo), la Società Italiana di Ematologia (SIE, Presidente Paolo Corradini), la Società Italiana di Radiologia medica e Interventistica (SIRM, Past president Carmelo Privitera), la Società Italiana di Urologia (SIU, Presidente Salvatore Voce) e la Società Italiana di Urologia Oncologica (SIUrO, Segretario e Tesoriere Giario Conti).
“Le Linee Guida sono uno degli strumenti principali che rappresentano la medicina basata sull’evidenza – spiega Stefania Gori, Presidente nazionale AIOM -. Attraverso un processo sistematico e trasparente rendono possibile il trasferimento nella pratica clinica di tutte le nuove conoscenze prodotte dalla ricerca medico-scientifica. Attualmente le patologie oncologiche sono la seconda causa di decesso nel nostro Paese e ogni giorno sono diagnosticati 1.000 nuovi casi di cancro. Diventa quindi fondamentale, per gli specialisti, avere a disposizione strumenti che favoriscono anche l’appropriatezza prescrittiva dei trattamenti e degli esami diagnostici e strumentali. Gli ultimi provvedimenti legislativi, tra cui la Legge Biondi-Gelli del 2017, hanno rafforzato enormemente il ruolo delle Società Scientifiche nella produzione di Linee Guida. Anche per questo motivo, AIOM ha continuato a lavorare in questo importante progetto che rappresenta uno dei due obiettivi principali della società scientifica. Esistono tuttavia aspetti che vogliamo perfezionare, migliorando sempre più la collaborazione con altre associazioni di specialisti così da ottenere raccomandazioni sempre più condivise e multidisciplinari”.
Nella elaborazione di sei Linee Guida AIOM 2018 hanno preso parte anche i pazienti. “Oltre ai medici specialisti, i malati di cancro sono gli ‘utilizzatori finali’ delle Linee Guida – aggiunge Fabrizio Nicolis, presidente di Fondazione AIOM -. Il coinvolgimento dei pazienti viene suggerito anche dalle Istituzioni sanitarie. Questi pazienti devono essere tuttavia formati adeguatamente e, per questo motivo, Fondazione AIOM, in collaborazione con AIOM, da tre anni ha avviato corsi di formazione specifici”. Fondazione AIOM infatti è da molti anni impegnata per aumentare l’interazione e un dialogo costruttivo fra oncologi e pazienti.

Tumore del colon-retto: nel 2018 stimati 51.300 nuovi casi in Italia

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Milano, 19/12/2018 –  Al Sud solo il 22% dei cittadini di età compresa fra 50 e 69 anni aderisce ai programmi di screening (ricerca del sangue occulto nelle feci) per la diagnosi precoce di questa neoplasia. Più alte le percentuali al Centro (35%) e al Nord (52%), ma il dato nazionale riferito al 2016, pari al 40%, è in calo preoccupante rispetto al biennio precedente (44%). I programmi di screening hanno dimostrato di ridurre la mortalità fino al 33%, grazie all’individuazione della malattia in stadio iniziale. Oggi infatti quasi mezzo milione di italiani (471mila) vive dopo la diagnosi di questo tumore. Nel trattamento della fase metastatica, la scoperta e l’aggiunta di nuove armi alle terapie precedentemente disponibili hanno determinato un prolungamento della sopravvivenza, fino a raggiungere una media di 30 mesi rispetto ai 12 di venti anni fa.

A questi dati e a una maggiore sensibilizzazione dei clinici in tema di carcinoma del colon-retto metastatico, si è ispirato il progetto Evolving Oncology, lanciato da Bayer lo scorso maggio. L’obiettivo è individuare, raccogliere e condividere, a beneficio della comunità scientifica, le migliori esperienze cliniche in cui modalità innovative di approccio personalizzato e l’alleanza terapeutica si siano rivelate utili.

Tre oncologi sono premiati oggi a Milano proprio per le modalità con cui hanno trattato i casi clinici presentati in questi mesi in un bando sul portale www.evolvingoncology.it. La Commissione giudicatrice è costituita da Erika Martinelli (Oncologia Medica Dipartimento di Medicina di Precisione dell’Università degli Studi della Campania L. Vanvitelli di Napoli), Filippo Pietrantonio (Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia dell’Università degli Studi di Milano), Carmine Pinto (Direttore Oncologia Medica dell’IRCCS Arcispedale S. Maria Nuova di Reggio Emilia), Mario Scartozzi (Direttore Oncologia Medica presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria di Cagliari) e Alberto Zaniboni (Direttore Oncologia Medica della Poliambulanza di Brescia).

 

 

Tumore del seno: In Piemonte oltre 4.300 nuovi casi l’anno

Cresce il numero di donne piemontesi colpite da tumore del seno

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Cuneo, 14 novembre 2018 – In Regione, quest’anno anno, sono previsti in totale 4.350 nuovi casi e otto pazienti su dieci riescono a sconfiggere la malattia. Il successo è dovuto alla messa a punto di nuove cure che risultano estremamente efficaci contro la neoplasia. Inoltre la scelta presa dalle autorità sanitarie locali di estendere i programmi di screening mammografici alle 45enni sta aumentando i tassi di sopravvivenza. Sono questi i principali temi al centro del convegno regionale promosso dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) La gestione della paziente con carcinoma mammario. L’evento, realizzato con il contributo non vincolante di Novartis, si svolge oggi a Cuneo. Vede la partecipazione di circa 80 specialisti da tutto il Piemonte che si ritrovano per fare il punto sullo stato dell’arte della lotta alla malattia. “Quella alla mammella è la forma di cancro più diffusa tra le donne del nostro Paese e da sola rappresenta oltre il 30% di tutti i tumori femminili – afferma la dott.ssa Patrizia Racca, Coordinatore della Sezione Regionale AIOM per il Piemonte e la Valle d’Aosta -. L’allargamento dell’esame biennale della mammografia ad una popolazione più ampia e giovane ci ha permesso di ottenere risultati positivi. Siamo in grado di individuare e quindi intervenire prima su neoplasie di dimensioni ridotte. Così le chances di guarigione per le pazienti aumentano. Il Piemonte può rappresentare un esempio virtuoso per altre Regioni che dovrebbero anche loro estendere i propri programmi di screening oncologico. E’ un imponente, ma non più rinviabile, investimento di prevenzione da incentivare su tutto il territorio nazionale”. “Sono oltre 55 mila le donne piemontesi che vivono con una diagnosi di carcinoma mammario – prosegue la dott.ssa Ornella Garrone, Consigliere Regionale AIOM per il Piemonte e la Valle d’Aosta e Responsabile della Breast Unit dell’A.O. S. Croce e Carle di Cuneo -. La creazione già da diversi anni delle Breast Unit ha migliorato il livello di assistenza che riusciamo a garantire. In totale ne sono attive 16 in diverse strutture sanitarie regionali. Le donne sono sempre valutate da team multidisciplinari e multiprofessionali al cui interno collaborano e si confrontano diversi specialisti. Questo avviene per prassi dal momento della diagnosi. Esistono sicuramente degli aspetti che devono essere migliorati. Come AIOM, per esempio, stiamo lavorando a fianco delle istituzioni regionali per velocizzare i tempi per ottenere i risultati dei test genetici. Attualmente una paziente deve aspettare parecchi mesi, per conoscere un dato fondamentale come la presenza, o meno, della mutazione BRCA”. Al convegno di Cuneo ampio spazio è dedicato al tema delle nuove terapie. “Anche per la fase avanzata della patologia oncologica possiamo utilizzare farmaci estremamente efficaci in grado di rallentarne la progressione – sottolinea la dott.ssa Racca -. Alcuni di questi agiscono direttamente sulle proteine che consentono alle cellule tumorali di crescere. Si tratta di trattamenti sempre più personalizzati e che agiscono su singoli bersagli molecolari. Questo è reso possibile dalle maggiori conoscenze che abbiamo sui meccanismi biologici dei tumori”.

L’acido acetilsalicilico riduce di circa un quarto i casi di cancro nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare

L’Italia primo paese al mondo a riconoscere il beneficio preventivo cardio-oncologico del farmaco

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Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della Determina dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). Un importante risultato dimostrato da due meta analisi: la prima ha considerato 4 studi che hanno arruolato 14.033 pazienti trattati con acido acetilsalicilico per la prevenzione cardiovascolare primaria e secondaria. Dopo circa 5 anni di utilizzo, l’acido acetilsalicilico a basse dosi (da 75 mg fino a 300 mg/die) ha ridotto di quasi il 40% l’incidenza del cancro del colon-retto. Una seconda meta-analisi, che ha considerato 6 studi in prevenzione primaria su 35.535 persone ad elevato rischio cardiovascolare, che hanno utilizzato acido acetilsalicilico (a basse dosi, 75-100 mg/die), ha evidenziato una riduzione dell’incidenza complessiva di cancro del 24% a partire dal quarto anno di trattamento. “La decisione dell’AIFA riconosce che la prevenzione del cancro colo-rettale rappresenta un beneficio aggiuntivo di una prevenzione cardiovascolare a lungo termine con acido acetilsalicilico a basse dosi – spiega il Prof. Carlo Patrono, Docente di Farmacologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma -. Un riconoscimento basato sulle stesse evidenze scientifiche ha motivato la United States Preventive Services Task Force (USPSTF) a formulare nel 2016 nuove linee guida per la prevenzione primaria delle complicanze cardiovascolari e del cancro colo-rettale con acido acetilsalicilico a basse dosi”. “Queste linee guida definiscono il beneficio che l’uso di acido acetilsalicilico a basso dosaggio apporta in persone ad alto rischio cardiovascolare (del 10% o superiore a 10 anni, di età compresa tra i 50 e i 59 anni, e a basso rischio emorragico), nella prevenzione del cancro al colon-retto – afferma il Prof. Andrea De Censi, Direttore Oncologia Medica dell’Ospedale Galliera di Genova -. Inoltre, da decenni si stanno accumulando evidenze scientifiche da studi indipendenti a supporto di un effetto di basse dosi di acido acetilsalicilico nel ridurre sia l’incidenza che la mortalità di diversi tumori nella popolazione generale, con i dati più robusti a sostegno di un effetto preventivo contro il cancro del colon-retto”. In Italia nel 2018 sono stimate circa 51.000 nuove diagnosi di questa neoplasia, al secondo posto sia tra gli uomini (15% di tutti i nuovi tumori) che tra le donne (13%), preceduta rispettivamente dalla prostata e dalla mammella. La sopravvivenza a 5 anni è pari al 66% per il colon e al 62% per il retto. A seconda della natura degli studi, il periodo di latenza varia fra i 3 e 10 anni, perché l’effetto preventivo dell’aspirina nei confronti del cancro colo-rettale sia dimostrabile in maniera statisticamente convincente. 

“Una recente metanalisi – sottolinea il Dr. Luis Alberto García Rodríguez, Direttore CEIFE (Centro Español de Investigación Farmacoepidemiológica) di Madrid – ha evidenziato una riduzione di rischio più marcata con l’aumento della durata (almeno 5 anni), in particolare nei tumori del pancreas, ovaio e cervello. In questa metanalisi, 105 studi originali in 218 pubblicazioni hanno riportato una riduzione del rischio anche con una durata inferiore (meno di 5 anni). I risultati sono in linea con un altro studio che ha mostrato una riduzione del rischio nel carcinoma colo-rettale già dopo il primo anno di trattamento con acido acetilsalicilico a basso dosaggio. L’effetto aumenta leggermente con una durata maggiore”. Sono in corso ricerche per chiarire in che modo l’acido acetilsalicilico determini l’effetto chemiopreventivo. “La nostra ipotesi di lavoro – afferma il Prof. Patrono – è che si tratti dello stesso meccanismo attraverso il quale l’acido acetilsalicilico a basse dosi esercita un effetto cardioprotettivo, cioè l’inibizione dell’attivazione piastrinica. La conseguenza di questa inibizione sarebbe rappresentata da una ridotta liberazione da parte delle piastrine di molteplici fattori che favoriscono la crescita tumorale e la diffusione metastatica delle cellule tumorali. Il nostro Gruppo di Ricerca presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore ha vinto quest’anno un Catalyst Grant di Cancer Research UK insieme con altri gruppi di ricerca che operano in istituzioni accademiche inglesi e americane per indagare ulteriormente il meccanismo d’azione dell’aspirina nella prevenzione di alcuni tumori”. 

Un aspetto che richiede un approfondimento riguarda i dosaggi. “Recenti analisi – conclude il Prof. De Censi – suggerirebbero infatti un effetto legato al peso corporeo. Inoltre, sono in corso studi sull’acido acetilsalicilico in associazione alla terapia oncologica nel paziente già trattato chirurgicamente per cancro al colon-retto. Presso la struttura di Oncologia dell’Ospedale Galliera di Genova è attivo uno studio europeo per testare gli effetti dell’acido acetilsalicilico a dosi cardiovascolari su pazienti precedentemente operati per cancro al colon-retto nella riduzione dell’insorgenza di un secondo evento e di metastasi”. 

“Siamo soddisfatti della decisione dell’AIFA, che rappresenta un passaggio importante nella storia dell’acido acetilsalicilico e che recepisce numerose evidenze scientifiche sul tema della prevenzione cardio-oncologica con basse dosi di acido acetilsalicilico – conclude Franco Pamparana, Direttore Medico di Bayer –. Sarà così possibile estendere i grandi benefici in termini di prevenzione oncologica offerti dal farmaco a un’ampia popolazione di pazienti in prevenzione cardiovascolare”.

 

Nel frattempo, per coinvolgere la popolazione sui temi della prevenzione cardiovascolare, Bayer ha lanciato una campagna di sensibilizzazione e creato un sito di approfondimento: “Il battito del cuore” disponibile all’indirizzo www.ilbattitodelcuore.it

Tumori: ogni anno 150mila pazienti soffrono di dolore intenso

Gli oppioidi a rapido inizio d’azione permettono di controllarlo con efficacia

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Roma, 6 novembre 2018 – Dura da mezz’ora a 60 minuti. In una scala da 0 a 10 può raggiungere picchi di 8-9. È il dolore episodico intenso (BTP, BreakThrough cancer Pain), che interessa ogni anno in Italia 150mila nuovi pazienti oncologici, con un impatto significativo sulla qualità di vita nell’85% dei casi. Una forma di “dolore nel dolore”, perché queste persone convivono anche con il cosiddetto “dolore di fondo”, trattato con farmaci a base di oppioidi. È italiano il primo studio al mondo che ha indagato nel dettaglio il disturbo, per definire le strategie migliori per affrontarlo. Si chiama IOPS-MS, ha coinvolto 4.016 pazienti di 32 centri e viene presentato oggi al Ministero della Salute in un convegno nazionale. “Il dolore episodico intenso è ancora sottovalutato e trattato in modo non corretto – spiega il prof. Paolo Marchetti, Direttore Oncologia Medica B del Policlinico Umberto I di Roma e Ordinario di Oncologia all’Università La Sapienza -. I pazienti oncologici curati per il dolore di fondo con morfina (almeno 60 mg al giorno) possono presentare crisi molto intense nella giornata. Nello studio abbiamo voluto caratterizzare questa forma di sofferenza dei pazienti in trattamento con morfina, per fornire indicazioni precise non solo sulla diagnostica differenziale ma anche sulla terapia. Suggerimenti che si traducono in un vantaggio per la qualità di vita del malato e per la sua adesione ai trattamenti. Vogliamo cioè trasmettere agli operatori le conoscenze per individuare in poco tempo questo tipo di sofferenza, perché non rimanga un bisogno non riconosciuto. La terapia più efficace è rappresentata dagli oppioidi a rapido inizio d’azione (ROO, rapid onset opioid), che vantano una comparsa dell’effetto in meno di 15 minuti e una durata inferiore a 2 ore, caratteristiche che corrispondono a quelle considerate ideali per il trattamento del breakthrough cancer pain”. Nel 2018 in Italia sono stati stimati 373mila nuovi casi di tumore, più del 50% presenta dolore cronico di fondo: circa l’85% di questi ultimi convive anche con la forma episodica intensa. “La strategia farmacologica per il trattamento del BTP prevede l’ottimizzazione della terapia antalgica ad orario fisso per il dolore di base e l’utilizzo di dosi supplementari di farmaci, in genere oppioidi, al regime analgesico di base – afferma il prof. Giuseppe Tonini, Responsabile Oncologia Medica Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma -. Idealmente queste ultime dovrebbero rispecchiare l’andamento temporale del BTP, cioè avere un effetto rapido, una breve durata di azione, effetti collaterali limitati e facilità di assunzione, soprattutto nell’ambiente domiciliare. Ciononostante, la morfina a pronto rilascio viene spesso utilizzata per gestire gli episodi di dolore intenso, benché la sua efficacia compaia solo dopo 30-40 minuti, quando il sintomo sta scomparendo o è già scomparso. Oppure, al posto dei ROO, viene aumentata la dose di morfina di base. In questo modo i pazienti vengono lasciati per troppo tempo in una situazione di sovradosaggio, con conseguente incremento della possibilità di effetti collaterali e peggioramento della qualità di vita. I ROO invece consentono di mantenere il dosaggio di morfina di base al livello più basso, coprendo il bisogno del malato solo quando è necessario per ogni singolo episodio di dolore intenso”.
Nello studio IOPS-MS, pubblicato sulla rivista Cancers, l’età media dei pazienti arruolati era di circa 65 anni, colpiti da diversi tipi di neoplasia e in differenti condizioni assistenziali, cioè curati nei reparti di oncologia, in hospice, in day hospital o al domicilio. La frequenza media quotidiana del BTP era pari a 2,4 episodi al giorno (il 64,4% ne presentava 1-2, il 29,4% fra 3 e 4, il 6,2% arrivava fino a 5). L’intensità media del dolore era pari a 7,5, per la maggioranza dei pazienti (73,9%) di 7. Nel 69,5% dei casi il sintomo non era riconducibile a una causa particolare (BTP non prevedibile), quindi spontaneo e scollegato da atti volontari (ad esempio per tentativi di alimentazione, minzione, tosse o per movimenti in presenza di metastasi ossee). Il tempo necessario per raggiungere il picco più alto di dolore era inferiore o uguale a 10 minuti nel 68,9% dei pazienti e superiore a 10 minuti nel 31,1%. La durata media degli episodi (non trattati) era di 43,3 minuti. Per l’85% dei pazienti il breakthrough cancer pain ha causato limitazioni alle attività quotidiane (moltissimo per il 28,1%, molto per il 56%, poco per il 13,5%, per nulla per l’1,7%).
“Dallo studio è emerso che i pazienti risultavano più soddisfatti quando il trattamento farmacologico era in grado di fornire prontamente sollievo dal dolore – sottolinea il prof. Sebastiano Mercadante, Direttore Unità di Terapia del dolore e Cure di supporto, Dipartimento Oncologico La Maddalena di Palermo -. Vanno superate le consuetudini che finora hanno condotto gli oncologi a sottovalutare questa forma di sofferenza. Vi sono barriere di sistema, visto che per lungo tempo in Italia si è assistito a normative volte, da un lato, a disincentivare l’utilizzo non terapeutico degli oppioidi, dall’altro a regolamentarne l’uso. Gli stessi professionisti possono essere preoccupati e demotivati nella prescrizione dalla minuziosità formale delle normative sugli oppioidi. Le barriere professionali invece sono rappresentate dalla carenza di formazione nell’uso di questi farmaci. Va infine sottolineata la necessità di una corretta diagnosi differenziale fra l’esacerbazione di un dolore di fondo non ben controllato e gli episodi di BTP”.
“La prevalenza del dolore episodico intenso nei pazienti oncologici è condizionata dalle fasi della malattia, dalle diverse condizioni assistenziali e dal trattamento del dolore di base – conclude il prof. Augusto Caraceni, Direttore della Struttura Complessa di Cure Palliative, Terapia del Dolore e Riabilitazione, della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano –. Se mediamente un paziente manifesta circa 2,5 episodi al giorno, questo significa che soffrirà per circa due ore al giorno di un dolore ad elevata intensità. Le linee guida nazionali ed internazionali raccomandano per il trattamento del BTP l’utilizzo di morfina orale a pronto rilascio per trattare gli episodi prevedibili. Gli oppioidi nelle formulazioni intravenose (morfina) o sottocutanee e quelle buccali sublinguali ed intranasali di fentanyl (cioè i ROO) hanno una maggiore rapidità di insorgenza rispetto alla morfina orale”.

Medicina personalizzata: Arriva la “carta d’identità terapeutica del paziente”

Il prof. Paolo Marchetti: “Aumentano i malati di cancro che devono assumere più farmaci per curare diverse patologie”.

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Roma, 25 ottobre 2018 – Creare una “Carta d’Identità Terapeutica del Paziente” con le informazioni relative al metabolismo dei farmaci di una specifica persona che sta combattendo contro il cancro. Uno strumento facilmente consultabile nel quale siano indicati tutti i farmaci che assume il malato, per evitare così interazioni pericolose fra i diversi principi attivi e gli integratori. In questo modo sarà possibile facilitare il lavoro del personale medico-sanitario, ridurre problemi al singolo paziente e i costi per terapie inutili o addirittura dannose. E’ questo l’obiettivo che si pone “Patient DDi-ID”, un progetto di ricerca tutto italiano, il primo mai realizzato al mondo. Prenderà il via nelle prossime settimane e coinvolgerà inizialmente 120 pazienti oncologici reclutati interamente nel nostro Paese. L’iniziativa è promossa dalla Fondazione per la Medicina Personalizzata e viene presentata ufficialmente oggi con un convegno a Roma, al quale partecipano specialisti, giornalisti e pazienti. “Il cancro è una patologia sempre più cronica – afferma il prof. Paolo Marchetti, Presidente Nazionale della Fondazione per la Medicina Personalizzata (FMP) e professore ordinario di Oncologia presso l’Università di Roma La Sapienza -. Sono in totale 3 milioni e 400mila gli italiani che vivono dopo aver ricevuto una diagnosi di neoplasia. Rappresentano ormai il 6% dell’intera popolazione e il loro numero è destinato a salire. Questa particolare categoria di pazienti deve assumere farmaci molto complessi per lunghi periodi di tempo. Non solo. Sempre più spesso capita che le persone siano afflitte da altre malattie, più o meno gravi, e che quindi debbano prendere diversi medicinali, magari prescritti da più specialisti. Esiste quindi un serio problema rappresentato dalle possibili interazioni tra le varie terapie che possono rendere tossiche o inefficaci alcune cure. Diventa quindi necessario avere uno strumento semplice e dinamico (cioè modificabile nel tempo), da utilizzare nella pratica clinica quotidiana, che sia in grado di suggerire ad ogni camice bianco quali sono le associazioni di farmaci potenzialmente a rischio e quali invece quelle consigliabili, permettendo una riconciliazione puntuale delle terapie”. “Vogliamo riuscire a creare un “documento di riconoscimento” – afferma il prof. Maurizio Simmaco, Ordinario di biologia molecolare dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’Andrea di Roma -. Oltre alle possibili interazioni terapeutiche, dovrà tenere conto delle caratteristiche individuali del singolo paziente anche nella loro evoluzione clinica. Oggi, grazie alla ricerca scientifica, abbiamo una conoscenza più approfondita, rispetto a soli pochi anni fa, del profilo metabolico e funzionale, a costi accessibili. Ciascuno di noi presenta piccole variazioni nella velocità di attivazione di alcuni enzimi, che sono coinvolti nel metabolismo dei farmaci. Queste contribuiscono alla differente risposta individuale a farmaci e terapie. Sono caratteristiche che un medico deve tenere in considerazione quando assiste un paziente”. “La realizzazione della “Carta d’Identità” rappresenta una grande occasione che va nella direzione della personalizzazione delle cure – sottolinea Simmaco -. L’obiettivo finale che ci prefiggiamo è quello di contenere la riduzione di efficacia e le tossicità. Così si possono ottenere anche importanti risparmi per l’intero sistema sanitario nazionale. La medicina personalizzata è sempre più importante non solo nella lotta contro i tumori, ma anche nei pazienti politrattati. E questo non vale solo in oncologia ma anche in altre specializzazioni. Si tratta di un approccio largamente utilizzato in psichiatria ed è imprescindibile soprattutto nei soggetti più fragili, come ad esempio gli anziani. Si calcola che siano oltre 7 milioni e mezzo gli italiani over 65 che prendono contemporaneamente più di cinque farmaci. Il progetto di ricerca “Patient DDi-ID” potrà diventare quindi un modello ed essere presto esteso anche ad altre tipologie di pazienti”.