BIOSIMILARI. SIR: IL TAR HA RICONOSCIUTO LA LIBERTA’ PRESCRITTIVA

I reumatologi avevano presentato ricorso contro la decisione di 5 Regioni di unirsi per l’acquisto di un unico farmaco biosimilare

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Roma, 23 novembre 2018 – “E’ stata salvaguardata la libertà di prescrizione del medico, aspetto per noi fondamentale come sancito dalla Costituzione. Abbiamo contrastato così un tentativo di monopolio inaccettabile. Questo grazie alla decisione dello scorso 20 novembre, proprio il giorno prima della discussione in aula, delle Regioni coinvolte di destinare una quota per l’acquisto del farmaco originator. Come SIR ora manterremo alta l’attenzione e vigileremo perché sia salvaguardata e garantita l’adeguatezza prescrittiva ai reumatologi di tutta Italia”. Con queste parole i proff Luigi Sinigaglia e Mauro Galeazzi (presidente eletto e presidente uscente della Società Italiana di Reumatologia) hanno commentato l’ordinanza del TAR del Piemonte che ha respinto l’istanza cautelare promossa dalla stessa SIR contro la decisione di cinque regioni di unirsi per la gara d’acquisto di un farmaco biosimilare per la cura di alcune malattie reumatologiche. La sentenza è stata depositata ieri mentre a Rimini è in corso il 55° Congresso della Società Scientifica. Il provvedimento, se non modificato, avrebbe imposto ai medici di Piemonte, Valle d’Aosta, Lazio, Sardegna e Veneto di utilizzare un unico farmaco per il trattamento di patologie serie ed invalidanti come artrite reumatoide e artrite psoriasica. “Abbiamo deciso di rivolgerci alla giustizia amministrativa solo per tutelare le condizioni di salute dei pazienti – proseguono i proff. Sinigaglia e Galeazzi -. Per l’ennesima volta ribadiamo che noi siamo favorevoli all’uso di biosimilari che sono farmaci sicuri ed efficaci, ma non possiamo adbicare al principio della libertà e dell’adeguatezza prescrittiva che sarebbero venute meno in caso di un unico farmaco disponibile. Anche per questo vogliamo cercare un confronto con le Istituzioni locali per spiegare le nostre ragioni. Nelle prossime settimane come SIR partiremo con un tour nelle principali regioni italiane con una serie di incontri pubblici aperti a medici, clinici, rappresentanti delle autorità sanitarie e dei pazienti”.

Medicina personalizzata: Arriva la “carta d’identità terapeutica del paziente”

Il prof. Paolo Marchetti: “Aumentano i malati di cancro che devono assumere più farmaci per curare diverse patologie”.

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Roma, 25 ottobre 2018 – Creare una “Carta d’Identità Terapeutica del Paziente” con le informazioni relative al metabolismo dei farmaci di una specifica persona che sta combattendo contro il cancro. Uno strumento facilmente consultabile nel quale siano indicati tutti i farmaci che assume il malato, per evitare così interazioni pericolose fra i diversi principi attivi e gli integratori. In questo modo sarà possibile facilitare il lavoro del personale medico-sanitario, ridurre problemi al singolo paziente e i costi per terapie inutili o addirittura dannose. E’ questo l’obiettivo che si pone “Patient DDi-ID”, un progetto di ricerca tutto italiano, il primo mai realizzato al mondo. Prenderà il via nelle prossime settimane e coinvolgerà inizialmente 120 pazienti oncologici reclutati interamente nel nostro Paese. L’iniziativa è promossa dalla Fondazione per la Medicina Personalizzata e viene presentata ufficialmente oggi con un convegno a Roma, al quale partecipano specialisti, giornalisti e pazienti. “Il cancro è una patologia sempre più cronica – afferma il prof. Paolo Marchetti, Presidente Nazionale della Fondazione per la Medicina Personalizzata (FMP) e professore ordinario di Oncologia presso l’Università di Roma La Sapienza -. Sono in totale 3 milioni e 400mila gli italiani che vivono dopo aver ricevuto una diagnosi di neoplasia. Rappresentano ormai il 6% dell’intera popolazione e il loro numero è destinato a salire. Questa particolare categoria di pazienti deve assumere farmaci molto complessi per lunghi periodi di tempo. Non solo. Sempre più spesso capita che le persone siano afflitte da altre malattie, più o meno gravi, e che quindi debbano prendere diversi medicinali, magari prescritti da più specialisti. Esiste quindi un serio problema rappresentato dalle possibili interazioni tra le varie terapie che possono rendere tossiche o inefficaci alcune cure. Diventa quindi necessario avere uno strumento semplice e dinamico (cioè modificabile nel tempo), da utilizzare nella pratica clinica quotidiana, che sia in grado di suggerire ad ogni camice bianco quali sono le associazioni di farmaci potenzialmente a rischio e quali invece quelle consigliabili, permettendo una riconciliazione puntuale delle terapie”. “Vogliamo riuscire a creare un “documento di riconoscimento” – afferma il prof. Maurizio Simmaco, Ordinario di biologia molecolare dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’Andrea di Roma -. Oltre alle possibili interazioni terapeutiche, dovrà tenere conto delle caratteristiche individuali del singolo paziente anche nella loro evoluzione clinica. Oggi, grazie alla ricerca scientifica, abbiamo una conoscenza più approfondita, rispetto a soli pochi anni fa, del profilo metabolico e funzionale, a costi accessibili. Ciascuno di noi presenta piccole variazioni nella velocità di attivazione di alcuni enzimi, che sono coinvolti nel metabolismo dei farmaci. Queste contribuiscono alla differente risposta individuale a farmaci e terapie. Sono caratteristiche che un medico deve tenere in considerazione quando assiste un paziente”. “La realizzazione della “Carta d’Identità” rappresenta una grande occasione che va nella direzione della personalizzazione delle cure – sottolinea Simmaco -. L’obiettivo finale che ci prefiggiamo è quello di contenere la riduzione di efficacia e le tossicità. Così si possono ottenere anche importanti risparmi per l’intero sistema sanitario nazionale. La medicina personalizzata è sempre più importante non solo nella lotta contro i tumori, ma anche nei pazienti politrattati. E questo non vale solo in oncologia ma anche in altre specializzazioni. Si tratta di un approccio largamente utilizzato in psichiatria ed è imprescindibile soprattutto nei soggetti più fragili, come ad esempio gli anziani. Si calcola che siano oltre 7 milioni e mezzo gli italiani over 65 che prendono contemporaneamente più di cinque farmaci. Il progetto di ricerca “Patient DDi-ID” potrà diventare quindi un modello ed essere presto esteso anche ad altre tipologie di pazienti”.
 

Dermatologia: ricerca di un nuovo standard per la raccolta cutanei

ScreenHunter_907 Jun. 08 12.11Barcellona, 8 giugno 2017 – Almirall S.A. e LEO Pharma A/S hanno annunciato oggi una collaborazione che ha lo scopo di migliorare la conoscenza delle malattie dermatologiche sviluppando una nuova metodica di campionamento della pelle. Le aziende intendono sviluppare e validare dal punto di vista clinico un metodo di raccolta di campioni cutanei che sia indolore e il meno possibile invasivo. Tale metodo potrà consentire un’analisi più accurata e completa dei biomarcatori nell’ambito di ricerche esplorative e di studi clinici. L’accordo è unico perché è la prima volta che due aziende leader in dermatologia uniscono i propri sforzi per migliorare la ricerca di base e il trattamento delle malattie dermatologiche. “Siamo molto soddisfatti di questa collaborazione con LEO Pharma, che fornirà alla comunità scientifica nuovi mezzi per la comprensione e lo studio delle malattie dermatologiche – ha dichiarato Eduardo Sanchiz, CEO di Almirall -. Questo progetto costituisce un altro passo avanti per una più profonda conoscenza di queste patologie in modo che in futuro sia possibile offrire soluzioni che rispondano alle necessità insoddisfatte degli operatori sanitari e dei pazienti”. “Siamo orgogliosi di collaborare con Almirall per rispondere alla urgente necessità di un metodo di campionamento cutaneo indolore e minimamente invasivo che sia clinicamente approvato – ha affermato Gitte Aabo, CEO e Presidente di LEO Pharma-. La nostra particolare collaborazione offre la possibilità di aiutare i pazienti e di fatto l’intera comunità scientifica nel settore dermatologico poiché lavoriamo per raggiungere un risultato comune, la migliore comprensione delle malattie della pelle”. La ricerca verrà condotta presso l’Hospital Clinic di Barcellona (Spagna), la Technical University of Denmark e la University of Bath (UK). La metodologia sarà validata in una popolazione di pazienti selezionati e i risultati finali della ricerca verranno pubblicati in riviste peer-reviewed.

 

CANCRO DELLA VESCICA, AL VIA IL TOUR DI “NON AVERE TIMORE”

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Roma, 1 Giugno 2017  – Arriva nelle piazze il progetto dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) “Non avere TUTimore, campagna di sensibilizzazione sul Tumore Uroteliale”. Oggi a Roma (in Piazza San Cosimato dalle 10 alle 18) si terrà la prima tappa di questa iniziativa volta a promuovere l’informazione e la prevenzione del cancro della vescica. E’ allestito uno stand dove viene distribuito del materiale informativo. In più, sempre in piazza, si esibiranno otto ballerini professionisti (della scuola IALS di Roma) con delle performance che racchiudono una serie di messaggi volti a favorire l’importanza della cura del proprio corpo e salute. Durante l’esibizione saranno inoltre coinvolti i passanti, verranno scattate delle fotografie successivamente pubblicate sui social media. “Non avere TUTimore” Il tour proseguirà a Torino (Piazza Solferino 2 giugno), Bari (Piazza Mercantile 4 giugno) e Firenze (Piazza Massimo d’Azeglio 28 giugno). “Il tumore della vescica è una malattia di cui si parla ancora poco anche se ogni anno colpisce oltre 26mila italiani – afferma il prof. Carmine Pinto, Presidente Nazionale AIOM -. La nostra campagna ha il preciso obiettivo di aumentare il livello di consapevolezza tra tutta la popolazione. Abbiamo voluto utilizzare uno strumento nuovo, come un corpo di ballo, per incentivare gli stili di vita corretti. Anche questa neoplasia risente di alcuni comportamenti pericolosi, primo fra tutti il fumo. La metà di tutti i tumori al tratto urinario sono, infatti, provocati da questo pericoloso vizio del fumo”. Non avere TUTimore è una campagna che vede anche il coinvolgimento dei medici di famiglia italiani con la distribuzione negli ambulatori di opuscoli per i cittadini. “Il cancro della vescica non presenta sintomi specifici che possano permettere una diagnosi precoce – aggiunge Pinto -. L’unico segnale che può e che deve destare sospetti è la presenza di sangue nelle urine. È quindi fondamentale, in caso di positività, recarsi immediatamente dal medico per svolgere esami più approfonditi. Sul modello vincente già intrapreso in Canada e Regno Unito abbiamo voluto anche nel nostro Paese avviare un’iniziativa nazionale di educazione sanitaria e insegnare alla popolazione quali siano i campanelli d’allarme da non sottovalutare”.

Lombardia: oltre 3,5 milioni di persone colpite da malattie croniche

Migliorare la preparazione dei medicina di famiglia, sulla gestione degli oltre 3,5 milioni di pazienti lombardi afflitti da malattie croniche, anche alla luce delle ultime delibere della Regione. Questo è emerso dal  13° congresso regionale lombardo della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (SIMG). L’evento, dal titolo Nuovi modelli di gestione della cronicità, si è tenuto a Padenghe del Garda (Brescia) con oltre 200 camici bianchi.

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Padenghe sul garda, 30 maggio 2017 – Entro fine anno i lombardi colpiti da una o più malattie croniche riceveranno una lettera dal Pirellone. Dovranno indicare chi gli fornirà assistenza sanitaria tra il proprio medico di medicina generale o uno specialista che lavora all’interno di strutture sanitarie pubbliche o accreditate. “E’ una piccola rivoluzione che interessa oltre il 35% dei cittadini della più popolosa Regione italiana – afferma il dott. Aurelio Sessa, presidente regionale SIMG Lombardia -. Secondo l’ultimo decreto infatti i pazienti potranno, per la prima volta in Italia, scegliere a quale professionista affidarsi. Questi cambiamenti riguarderanno ovviamente anche tutto il personale medico sanitario. In particolare il medico di famiglia diventerà l’unico responsabile della salute dell’assistito oppure svolgerà questo compito insieme ad altri colleghi formando delle cooperative. In alternativa potrà indirizzare il paziente ad un centro specializzato”. “Un italiano su tre è colpito da almeno una patologia cronica – aggiunge il dott. Claudio Cricelli presidente nazionale SIMG -. In totale costano al servizio sanitario nazionale circa 60 miliardi di euro ogni anno e l’invecchiamento generale della popolazione porterà ad un incremento dei costi per l’intera collettività. Tutto questo ci costringe a sperimentare nuovi modelli organizzativi-gestionali più efficienti ed appropriati come quello che verrà avviato in Lombardia. Per la prevenzione, cura e assistenza dovrà essere sempre più importante il ruolo del medico di medicina generale. La nostra Società sta collaborando con le varie istituzioni sanitarie, sia locali che nazionali, per riorganizzare il sistema delle cure primarie in Italia”. “La riforma in atto in Lombardia dovrà tenere conto dell’esigenze degli oltre 150mila pazienti complessi – conclude il dott. Ovidio Brignoli vice presidente nazionale SIMG -. Si tratta di una particolare categorie di persone che hanno problemi di salute così gravi che necessitano di un’assistenza non solo sanitaria ma anche sociale. Il loro numero è esiguo ma tuttavia assorbono molte delle risorse economiche e umane del sistema sanitario regionale. La ultime delibere del Pirellone mettono giustamente la medicina generale al centro del sistema di assistenza. Però al tempo stesso cambiano alcuni obblighi e paradigmi del nostro lavoro. Noi medici di famiglia dobbiamo saper rimetterci in gioco e rivedere le nostre conoscenze e competenze”.

Oncologi: “Solo il 4,2% della spesa è destinato alla prevenzione”

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Roma, 27 aprile 2017 – In Italia per la prevenzione si spendono 5 miliardi di euro (2014), pari al 4,22% della spesa sanitaria totale: il tetto programmato stabilito nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) invece è del 5%. Il 40% dei casi di tumore (146mila diagnosi ogni anno in Italia) potrebbe essere evitato grazie agli stili di vita sani, all’applicazione delle normative per il controllo dei cancerogeni ambientali, all’implementazione degli screening Gli oncologi chiedono alle Istituzioni un programma ed una regia unica nazionale contro il cancro, che garantiscano una strategia unitaria per combattere la malattia dalla prevenzione, alle terapie, alla riabilitazione, all’accompagnamento di fine vita, all’umanizzazione dell’assistenza,alla ricerca, in grado così di incidere a 360 gradi sull’impatto di questa patologia nel nostro Paese. L’appello è lanciato oggi dall’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) al Senato nel Rapporto sullo “Stato dell’oncologia in Italia 2017”. “Nel nostro Paese sono stati registrati 365.800 nuovi casi di tumore, circa 1.000 ogni giorno – afferma il prof. Carmine Pinto, presidente nazionale AIOM -. I nostri obiettivi vanno in quattro direzioni: diminuzione dell’incidenza e della mortalità per cancro, miglioramento della qualità di vita dei pazienti e istituzione delle reti oncologiche regionali che oggi sono completamente attive solo in Piemonte, Lombardia, Toscana, Umbria, Veneto e nella Provincia Autonoma di Trento. Le reti rappresentano il modello per garantire in tutto il nostro Paese l’accesso a diagnosi e cure appropriate e di qualità, per razionalizzare risorse, professionalità e tecnologie, e per arginare il fenomeno preoccupante delle migrazioni sanitarie: ogni anno infatti quasi un milione di italiani colpiti dal cancro è costretto a cambiare Regione per curarsi. Servono un programma ed una regia unitaria, elemento cardine del ‘Patto contro il cancro’ fra clinici e Istituzioni”. Il cancro rappresenta la patologia cronica su cui le campagne di prevenzione mostrano i maggiori benefici. “Ma serve più impegno in questa direzione – continua il prof. Pinto -. È stato dimostrato che, se la spesa in prevenzione raggiungesse il livello del 5% previsto dai LEA, l’incidenza della spesa sanitaria pubblica sul PIL scenderebbe dal 9,2% all’8,92%, con un risparmio di 7,6 miliardi di euro. Risorse che potrebbero essere utilizzate per migliorare l’accesso di tutti alle terapie innovative. Oggi infatti ad armi efficaci come la chemioterapia, la radioterapia e la chirurgia si sono aggiunte le terapie a bersaglio molecolare e l’immunoterapia, permettendo di migliorare la sopravvivenza e garantendo una buona qualità di vita. La nostra società scientifica da tempo realizza progetti di sensibilizzazione: quest’anno abbiamo lanciato il primo ‘Festival della prevenzione e innovazione in oncologia’ con un motorhome che tocca 16 città per spiegare ai cittadini il nuovo corso della lotta ai tumori. Prosegue la seconda edizione di ‘Meglio Smettere’ con testimonial la campionessa di tennis Flavia Pennetta e l’allenatore della Juventus Massimiliano Allegri: l’obiettivo è far capire agli studenti delle scuole medie inferiori e superiori tutti i danni provocati dal fumo di sigaretta. E promuoviamo ‘Non avere TUTimore’, campagna di sensibilizzazione sul carcinoma della vescica rivolta agli over 50”.

TUMORI RARI: “IN ITALIA 89.000 NUOVI CASI DIAGNOSTICATI NEL 2015

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E la sopravvivenza a cinque anni per questi pazienti, spesso giovani, è del 55%, inferiore rispetto a quella registrata nelle neoplasie frequenti, pari al 68%. Sono alcuni numeri del Rapporto 2015 dell’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM) dedicato ai tumori rari presentato oggi a Milano in un incontro con i giornalisti. È il primo report di questo tipo nel nostro Paese ed è realizzato in collaborazione con l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM). “I dati epidemiologici contenuti nel volume colmano un vuoto importante nelle nostre conoscenze ed evidenziano problemi specifici che spingono a una riorganizzazione del sistema sanitario in questo settore – spiega il prof. Carmine Pinto, presidente nazionale AIOM -. Oggi in Italia vivono almeno 900mila persone colpite da neoplasie rare ed è necessario rispondere alle loro esigenze. Ritardi nella diagnosi, scarse conoscenze, pochi studi clinici e limitate opzioni terapeutiche compromettono talvolta le possibilità di guarigione. Esistono a tutt’oggi importanti differenze nell’accesso e qualità di cura tra diverse aree del Paese. Formazione, definizione di percorsi diagnostici e terapeutici e della rete assistenziale, ricerca e introduzione di terapie efficaci rappresentano punti cardine per una efficiente sanità pubblica”. Queste persone sono affette da tumori eterogenei tra di loro e, molti, estremamente rari. Basti pensare che in Italia ogni anno vengono diagnosticati circa 230 tumori del timo, quelli del polmone invece sono 41.000. Questi pazienti sono quindi numerosi se considerati nel loro insieme, ma rari singolarmente. “La rarità rappresenta il problema principale per la ricerca – sottolinea il prof. Pinto – e l’assistenza va completamente ripensata considerando i numeri che questo rapporto fornisce per la prima volta in Italia. Ci auguriamo quindi che la pubblicazione abbia un impatto anche a livello istituzionale. A partire dal potenziamento della Rete Tumori Rari, istituita nel 1997 e focalizzata soprattutto sui sarcomi. Questa Rete ha svolto un lavoro eccellente, però opera ancora sul principio dell’adesione volontaria delle strutture e non copre tutto il territorio. È indispensabile implementare un network del Sistema Sanitario Nazionale. In questo modo si garantirebbe nell’intero Paese insieme la migliore qualità di cura con la razionalizzazione della spesa, poiché i pazienti sarebbero guidati all’interno di definiti percorsi virtuosi”. “Inoltre – continua il prof. Pinto – occorre sviluppare in maniera coordinata la ricerca clinica per i nuovi trattamenti ed anche in questo settore la Rete può rappresentare un importante e innovativo strumento. Senza dimenticare le regole della prevenzione che devono valere sempre. Basti pensare che alcol e fumo di sigaretta sono i due principali fattori di rischio a cui è riconducibile il 75% dei casi che colpiscono il distretto testa e collo”. Il 7% di tutte le neoplasie diagnosticate in Italia è costituito da tumori ematologici rari e il 18% da tumori solidi rari. Tra questi ultimi, le neoplasie rare dell’apparato digerente sono le più frequenti (23%), seguite dal distretto testa e collo (17%), dall’apparato genitale femminile (17%), dai tumori endocrini (13%), dai sarcomi (8%), dai tumori del sistema nervoso centrale e da quelli epiteliali toracici (5%). “Da notare che, fino ad oggi – sottolinea il prof. Emanuele Crocetti, segretario nazionale AIRTUM -, non si avevano informazioni sul numero di sarcomi in Italia e neanche sul numero dei tumori neuroendocrini. L’AIRTUM ha sempre fornito dati per sede: polmone, prostata etc. Questo rapporto contiene informazioni più dettagliate, per i diversi tipi istologici di ciascuna sede. È la principale novità di questa pubblicazione che risponde alle esigenze degli specialisti, che devono trattare un tipo specifico di tumore, oltre a quelle di sanità pubblica, confermando l’importanza dei registri tumori di popolazione sia in ambito clinico che a supporto della pianificazione sanitaria. Abbiamo analizzato 198 tumori, la maggior parte (139) estremamente rari, ovvero caratterizzati dall’incidenza di meno di mezzo caso ogni 100.000 persone ogni anno in Italia (circa 7.000 casi/anno complessivamente)”. “Questi tumori – continua il prof. Crocetti – condividono i problemi specifici legati alla loro bassa frequenza: le difficoltà nella diagnosi e nel fare ricerca determinano un basso livello di evidenza scientifica, limitate opzioni terapeutiche, ostacoli nell’individuare clinici esperti e ricorso all’uso off label dei farmaci, cioè al di fuori delle indicazioni approvate. Sono disponibili dati epidemiologici a livello europeo, ma è la prima volta che un’associazione di registri si impegna autonomamente a fornire queste cifre per il proprio Paese. Un risultato possibile grazie al grande database di AIRTUM e alla qualità dei ‘numeri’ raccolti in modo standardizzato da oltre 20 anni”. Il volume è frutto della collaborazione con i gruppi di ricerca della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori (INT) di Milano e dell’Istituto Superiore di Sanità che sono stati i primi a occuparsi, nell’ambito di progetti europei e italiani, dei tumori rari dal punto di vista epidemiologico. Il Rapporto è pubblicato sull’ultimo numero della rivista Epidemiologia & Prevenzione, organo ufficiale dell’Associazione Italiana di Epidemiologia, ed è scaricabile dal sito www.registri-tumori.it. “Quelli rari sono spesso difficili da individuare e da trattare – afferma il dott. Paolo G. Casali, direttore dell’Oncologia medica dei Tumori mesenchimali dell’adulto all’INT di Milano e coordinatore della Rete Tumori Rari -. Il principale problema del paziente con tumore raro è ‘dove andare’, cioè a quale istituzione oncologica riferirsi. In molti tumori rari, fra cui i sarcomi, una corretta diagnosi patologica e una buona decisione clinica iniziale di tipo multidisciplinare sono fattori cruciali. Non raramente, l’intervento chirurgico iniziale non è programmato su una diagnosi preoperatoria e deve poi essere ripetuto. Sarebbe fondamentale che il Sistema sanitario lavorasse con le Regioni valorizzando le reti cliniche collaborative nate dal basso, cioè grazie alla volontà dei professionisti, nel campo dei tumori pediatrici, dei tumori ematologici e dei tumori ‘solidi’, riconoscendo e sostenendo le istituzioni partecipanti e fornendo loro strumenti organizzativi che le rendano ‘visibili’ ai pazienti”. L’impatto sociale è notevole, spesso a causa del costo delle cure, delle possibili prestazioni inappropriate e della migrazione sanitaria. In base al tipo di tumore, i trattamenti vanno dalla chemioterapia e radioterapia alla chirurgia fino alle terapie target con farmaci biologici. La sopravvivenza dopo 1, 3 e 5 anni dalla diagnosi nei tumori rari è risultata pari al 77%, 61% e 55%, in quelli frequenti invece è dell’85%, 73% e 68%. “Le differenze un anno dopo l’individuazione della malattia sono limitate, per poi amplificarsi, proprio perché i trattamenti per le neoplasie rare possono essere meno efficaci – sottolinea il prof. Alessandro Comandone, direttore dell’Oncologia Medica all’Ospedale di Gradenigo -. Tuttavia, non vanno escluse differenze nella distribuzione per stadio alla diagnosi, infatti la sopravvivenza a 1 e 3 anni per i tumori rari è inferiore rispetto alle percentuali registrate in quelli frequenti. Inoltre, tra i tumori rari sono incluse molte patologie di sedi tipicamente a cattiva prognosi: ad esempio oltre il 90% dei tumori del distretto testa collo è costituito da neoplasie rare, tale proporzione è pari all’81% per l’esofago, al 65% per l’ovaio, al 53% per il fegato. Al contrario solo il 6% dei tumori della mammella femminile, meno dell’1% della prostata e l’1% del colon-retto, sedi tipicamente a buona prognosi, sono tumori rari”. “I dati del rapporto possono essere rilevanti per diversi portatori di interesse – conclude il prof. Crocetti -. Politici e operatori sanitari trovano nel volume informazioni utili per pianificare e riorganizzare i servizi di assistenza sanitaria in Italia. E i ricercatori hanno a disposizione i numeri per disegnare sperimentazioni cliniche, considerando anche studi alternativi e approcci statistici innovativi”.