Studi clinici: è on line il portale “STUDY CONNECT”, un portale per pazienti e medici

Una piattaforma per trovare informazioni sulle sperimentazioni

ScreenHunter 7358

Roma, 27 marzo 2019  – Un portale che aiuta i pazienti e medici di accedere a informazioni su tutti gli studi clinici in corso, in Italia e nel mondo, condotti da Bristol-Myers Squibb in ambito oncologico, cardiovascolare e autoimmune, aree terapeutiche in cui è attiva la ricerca dell’azienda. Inoltre, il sito permette di accedere, per queste stesse aree terapeutiche, alle informazioni sulle sperimentazioni in corso di altre aziende, tramite un link diretto a clinicaltrials.gov, fonte disponibile pubblicamente. Si chiama Study Connect ed è ora disponibile anche nella versione italiana (www.bmsstudyconnect.com/it).  “Oltre 150 studi clinici in 50 Paesi, con la partecipazione di più di 50mila pazienti – afferma Emma Charles, General Manager Bristol-Myers Squibb Italia -. Sono i numeri delle sperimentazioni in corso sulle molecole sviluppate da Bristol-Myers Squibb, che testimoniano l’impegno dell’azienda verso le persone colpite da patologie gravi. I pazienti chiedono sempre più fonti certificate e questo progetto è totalmente centrato sulle loro esigenze. Oggi, con Study Connect, è disponibile on line una ‘bussola’ per orientarsi, un portale in cui i pazienti, i loro familiari e i medici possono ottenere informazioni sullo svolgimento e partecipazione agli studi clinici. Study Connect è un progetto mondiale di Bristol-Myers Squibb e vuole aiutare i pazienti ed i medici a trovare la sperimentazione più adatta alla specifica situazione clinica. Il nostro obiettivo è offrire informazioni trasparenti e pertinenti, che indirizzino i malati ad assumere decisioni consapevoli, grazie anche alla condivisione delle esperienze. Study Connect permette infatti di sostenerli prima e durante uno studio clinico”. Le sperimentazioni (di fase I, II e III) contenute in Study Connect vanno dai tumori del sangue alle neoplasie solide (ad esempio del polmone, pancreas, testa-collo, urogenitali e gastrointestinali, melanoma), alle malattie cardiovascolari (insufficienza cardiaca, fibrillazione atriale e trombosi) e autoimmuni (artrite reumatoide e lupus). Come funziona Study Connect? “La principale caratteristica della piattaforma, che la differenzia da altre già esistenti, è innanzitutto la possibilità per il paziente di compilare un questionario rispondendo a domande sulla sua patologia – spiega Cristina Lupini, RCO S.E. Europe Unit Director, Bristol-Myers Squibb Italia -. Il sistema mostra quindi all’utente una lista di sperimentazioni cliniche, sia di BMS che di altre aziende – per queste ultime tramite un link diretto a clinicaltrials.gov – che potrebbero essere idonee alla sua condizione clinica, con i relativi centri partecipanti. Il paziente può selezionare una determinata sperimentazione, un centro in una specifica località e, qualora il centro clinico prescelto partecipi ad uno studio BMS e abbia aderito al servizio ‘Patient Referral’ della piattaforma, potrà compilare il modulo di registrazione. Dopo aver sottomesso il modulo di registrazione, le sue informazioni, incluso il questionario, sono inviate al referente del centro clinico, che può contattare il paziente per iniziare il processo di screening dello specifico studio attraverso la visita in ospedale”.  “La pipeline di Bristol-Myers Squibb – spiega Cosimo Paga, Executive Country Medical Director, Bristol-Myers Squibb Italy – comprende molecole in tutte le fasi di sviluppo, dagli studi preclinici in modelli animali fino ad ampi studi clinici randomizzati di fase III. Il nostro impegno nella ricerca è quindi migliorare i positivi risultati già ottenuti con i farmaci che abbiamo reso disponibili, come ad esempio nell’immuno-oncologia, con un focus specifico riguardo i meccanismi di resistenza per superarli. Bristol-Myers Squibb è inoltre impegnata ad investire nella medicina di precisione, con l’obiettivo di fornire il farmaco ‘giusto’ al paziente ‘giusto’ nel tempo ‘giusto’. Un ulteriore aspetto riguarda l’importante impatto derivante dall’introduzione dell’immunoterapia, settore in cui la nostra azienda è leader, che ha determinato uno straordinario beneficio in termini di sopravvivenza, con una quota sempre maggiore di ‘lungosopravviventi’ a cui la nostra azienda sta lavorando per migliorarne la qualità di vita. In quest’ottica la nostra attenzione si traduce, ad esempio, in schedule che consentano una somministrazione ad intervalli più lunghi e in nuove formulazioni sottocute. Inoltre, stiamo sviluppando la possibilità di nuove formulazioni che consentano la somministrazione simultanea di terapie combinate e, infine, servizi per la cura al domicilio. Infine l’impegno dell’azienda a favore dei pazienti è inoltre testimoniato dagli ampi programmi di accesso allargato (Expanded Access Program, EAP) realizzati nel nostro Paese negli ultimi 3 anni. In Italia abbiamo fornito farmaci per circa 3.000 pazienti con diverse forme di tumore, in particolare carcinoma del polmone, del rene, melanoma e linfoma di Hodgkin. In questo modo, si è fornita la possibilità di accesso in tempi rapidi a terapie efficaci e già approvate negli Stati Uniti e in Europa, prima della conclusione dell’iter di rimborsabilità in Italia”.

TUMORE DEL SENO: -24% DI MORTALITA’ SE IL PAZIENTE PRATICA ATTIVITA’ FISICA

_20190227_01_003

 

 

 

 

 

Roma, 27 febbraio 2019 –  Con 150 minuti alla settimana di attività fisica si riduce del 24% il rischio di mortalità per il tumore del seno e del 28% per quello del colon-retto. Non solo. Lo sport rappresenta un ottimo rimedio contro i sintomi della fatigue, uno degli effetti collaterali più frequenti. Si calcola, infatti, che interessi la metà delle persone sottoposte a chemioterapia. Ma gli italiani colpiti da una neoplasia sembrano non essere consapevoli di questi benefici. Se l’88% rispetta le raccomandazioni degli specialisti contro il fumo solo uno su tre modifica il proprio stile di vita sedentario dopo una diagnosi di cancro. E’ quanto emerge dal convegno nazionale La Qualità di Vita in Oncologia promosso oggi dalla Fondazione Insieme contro il Cancro al Ministero della Salute. Rientra in un progetto, realizzato con il supporto non condizionato di AstraZeneca, per incentivare l’attenzione verso la qualità di vita nel paziente, con particolare riferimento alle pazienti con carcinoma della mammella, alla gestione degli effetti collaterali della chemioterapia, ormonoterapia, terapie target e immunoncologia. All’evento partecipano oncologi medici, infermieri, pazienti, familiari, cittadini e Istituzioni. E proprio al convegno è stato presentato il documento finale della Consensus Italiana: Neoplasia della mammella: impatto degli stili e della qualità di vita sull’outcome della malattia in fase precoce e nel setting della malattia avanzata. E’ stato scritto da un comitato di nove oncologi italiani coordinati dal prof. Francesco Cognetti, Presidente della Fondazione Insieme contro il Cancro. “Negli ultimi anni sono aumentate le diagnosi precoci e le terapie anti-cancro sono diventate più efficaci – afferma il prof. Cognetti -. Un problema clinico rilevante è non solo garantire ai pazienti la sopravvivenza ma anche una buona, se non ottima, qualità di vita. Questo aspetto però non sempre viene ritenuto una priorità dall’oncologo, nonostante stia assumendo una dimensione rilevante. In Italia oltre 3 milioni di nostri concittadini vivono con un tumore a la sopravvivenza risulta in aumento. Questa particolare categoria di malati presenta nuove esigenze e bisogni. In totale più del 50% dei pazienti, che ha ricevuto una diagnosi da almeno cinque anni, soffre di effetti collaterali legati ai trattamenti che si manifestano a livello fisico e psico-sociale ed è necessario aumentare la consapevolezza su quali possono essere i rimedi. Anche la scelta tra trattamenti, dotati di simili attività, deve essere guidata dall’eventuale differente tossicità di questi farmaci. In quest’ottica, particolare importanza viene assunta da alcuni comportamenti utili non solo a prevenire il cancro. Oltre all’attività fisica il malato deve prestare grande attenzione al controllo del peso corporeo. Va inoltre eliminato il fumo e limitato il più possibile il consumo di alcol. Un’ampia letteratura scientifica ha dimostrato come siano tutti fattori sui quali bisogna intervenire per evitare la ricomparsa di una neoplasia e migliorare le risposte dell’organismo alle cure oncologiche”.   “Anche l’alimentazione deve essere adeguatamente monitorata sia durante che dopo le terapie – aggiunge il prof. Paolo Marchetti, Direttore dell’Oncologia Medica B del Policlinico Umberto I di Roma -. La malnutrizione può impattare negativamente sulla qualità della vita, ridurre l’efficacia dei trattamenti chemioterapici e di conseguenza anche la sopravvivenza. Oltre l’80% dei pazienti però non ha mai ricevuto una valutazione sul proprio stato nutrizionale. E’ una consulenza ormai imprescindibile e che va personalizzata prendendo in considerazione eventuali perdite di peso e comorbidità. La dieta ideale varia poi in base alla neoplasia e al tipo di trattamento eseguito. Non vanno infine dimenticati gli effetti collaterali delle cure che spesso e volentieri interessano proprio l’apparato gastro-intestinale”.

Influenza: Piu’ di 500mila italiani colpiti, il picco previsto a capodanno

Solo nell’ultima settimana i nuovi casi ammontano a 138.000

ScreenHunter 5752

 

 

 

 

 

Firenze, 30 novembre 2018 – Sono 505.000 gli italiani costretti a letto a causa dell’influenza dall’inizio della sorveglianza epidemiologica.  Le Regioni più colpite risultano Piemonte, Liguria, Lombardia, P.A. di Trento, Toscana, Abruzzo e Sicilia. La stagione sta seguendo lo stesso trend dello scorso anno e probabilmente il picco si verificherà intorno a Capodanno. In totale potrebbero essere oltre 5 milioni gli italiani colpiti dall’influenza nel corso dell’interna stagione 2018-19. Anche quest’anno si segnalano su tutto il territorio nazionale alcuni problemi sull’accesso ai vaccini. In diversi distretti sanitari le scorte sono già finite e questo ha creato problemi sia ai cittadini che al personale medico-sanitario. E’ quanto emerge durante la seconda giornata del 35° Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (SIMG). L’evento si chiude domani a Firenze e vede la partecipazione di oltre 3.000 camici bianchi da tutta la Penisola. “I ritardi nella consegna dei vaccini e altri disguidi sono anche causati dal fatto che le gare, per l’acquisizione di questi presidi sanitari, sono biennali – afferma il dott. Claudio Cricelli, Presidente Nazionale SIMG -. Risulta quindi difficile riuscire ad avere il numero corretto di vaccini perché ogni stagione coinvolge una quota diversa di popolazione. Se vogliamo concretamente aumentare le percentuali di immunizzazione vanno migliorati questi aspetti organizzativi. Ciò nonostante la campagna vaccinale prosegue con buoni risultati. Registriamo, con soddisfazione, una rinnovata fiducia da parte dei cittadini”. “Il nostro ruolo nel contrasto all’influenza è fondamentale – aggiunge il dott. Ovidio Brignoli, Vice Presidente Nazionale SIMG -. Come medici di famiglia siamo presenti in modo capillare su tutto il territorio nazionale e possiamo fornire alle istituzioni sanitarie, locali e nazionali, tutti i dati relativi a incidenza, prevalenza e mortalità. Sulla base di questi numeri è possibile pianificare interventi concreti di salute nell’interesse della collettività”. “L’influenza un fenomeno complesso e che colpisce circa il 10% dell’intera popolazione italiana – conclude il dott. Aurelio Sessa, responsabile SIMG del settore -. Non può essere sottovalutata e bisogna ricordare che la vaccinazione è l’arma migliore a nostra disposizione. La prevenzione però passa anche da una serie di semplici regole di buona igiene che vanno seguite con particolare attenzione in questo periodo delicato dell’anno. Noi medici di famiglia dobbiamo essere i primi a dare il buon esempio ai nostri assistiti, a partire proprio dal ricorso alla vaccinazione”.

BIOSIMILARI. SIR: IL TAR HA RICONOSCIUTO LA LIBERTA’ PRESCRITTIVA

I reumatologi avevano presentato ricorso contro la decisione di 5 Regioni di unirsi per l’acquisto di un unico farmaco biosimilare

termini-per-ricorso-al-Tar

 

 

 

 

 

 

Roma, 23 novembre 2018 – “E’ stata salvaguardata la libertà di prescrizione del medico, aspetto per noi fondamentale come sancito dalla Costituzione. Abbiamo contrastato così un tentativo di monopolio inaccettabile. Questo grazie alla decisione dello scorso 20 novembre, proprio il giorno prima della discussione in aula, delle Regioni coinvolte di destinare una quota per l’acquisto del farmaco originator. Come SIR ora manterremo alta l’attenzione e vigileremo perché sia salvaguardata e garantita l’adeguatezza prescrittiva ai reumatologi di tutta Italia”. Con queste parole i proff Luigi Sinigaglia e Mauro Galeazzi (presidente eletto e presidente uscente della Società Italiana di Reumatologia) hanno commentato l’ordinanza del TAR del Piemonte che ha respinto l’istanza cautelare promossa dalla stessa SIR contro la decisione di cinque regioni di unirsi per la gara d’acquisto di un farmaco biosimilare per la cura di alcune malattie reumatologiche. La sentenza è stata depositata ieri mentre a Rimini è in corso il 55° Congresso della Società Scientifica. Il provvedimento, se non modificato, avrebbe imposto ai medici di Piemonte, Valle d’Aosta, Lazio, Sardegna e Veneto di utilizzare un unico farmaco per il trattamento di patologie serie ed invalidanti come artrite reumatoide e artrite psoriasica. “Abbiamo deciso di rivolgerci alla giustizia amministrativa solo per tutelare le condizioni di salute dei pazienti – proseguono i proff. Sinigaglia e Galeazzi -. Per l’ennesima volta ribadiamo che noi siamo favorevoli all’uso di biosimilari che sono farmaci sicuri ed efficaci, ma non possiamo adbicare al principio della libertà e dell’adeguatezza prescrittiva che sarebbero venute meno in caso di un unico farmaco disponibile. Anche per questo vogliamo cercare un confronto con le Istituzioni locali per spiegare le nostre ragioni. Nelle prossime settimane come SIR partiremo con un tour nelle principali regioni italiane con una serie di incontri pubblici aperti a medici, clinici, rappresentanti delle autorità sanitarie e dei pazienti”.

Tumore polmone: immunoterapia dimostra beneficio significativo in sopravvivenza globale in stadio III

 

Dati aggiornati confermano un miglioramento senza precedenti in termini di sopravvivenza libera da progressione di oltre 11 mesi

ScreenHunter 4276

Milano, 26 settembre 2018 – Sono stati presentati i dati di sopravvivenza globale (OS) dello studio di fase III PACIFIC con durvalumab durante il Presidential Symposium della 19aConferenza mondiale sul tumore del polmone dell’International Association for the Study of Lung Cancer (IASLC, Associazione internazionale per lo studio del tumore del polmone) a Toronto, in Canada. In contemporanea i risultati dello studio di fase III PACIFIC sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine e hanno indicato che durvalumab ha migliorato significativamente la sopravvivenza globale, uno dei due co-primary endpoint dello studio, rispetto allo standard di cura indipendentemente dall’espressione di PD-L1, riducendo il rischio di morte del 32% (HR 0,68; IC 99,73%: 0,47-0,997; p = 0,0025). L’altro co-primary endpoint, la sopravvivenza libera da progressione (PFS), è stato presentato a settembre 2017 in occasione del congresso ESMO (Società Europea di Oncologia Medica), dimostrando un vantaggio di oltre 11 mesi.

Il Professor Giorgio Scagliotti, Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica dell’Università di Torino e Presidente dell’International Association for the Study of Lung Cancer (IASLC), ha dichiarato: “Questi risultati sono estremamente incoraggianti per i pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule in stadio III, non resecabile, che da 15 anni non avevano a disposizione nessuna nuova arma terapeutica, e confermano durvalumab quale prima immunoterapia a dimostrare un beneficio significativo di sopravvivenza globale”. 

Il Professor Umberto Ricardi, Direttore del Dipartimento di Oncologia della Città della Salute e della Scienza di Torino e Presidente ESTRO (European SocieTy for Radiotherapy and Oncology), ha commentato: “Durvalumab rappresenta indubbiamente un importante progresso nel trattamento di questi pazienti e supporta l’introduzione dell’immunoterapia come nuovo approccio terapeutico in grado di ottimizzare l’efficacia degli attuali standard di trattamento con chemio-radioterapia. Emerge inoltre il ruolo chiave del Team Multidisciplinare per l’adeguata selezione e per la corretta gestione dei pazienti con tumore polmonare localmente avanzato”.

 

Tumore della prostata: ogni anno colpisce oltre 7.000 italiani

ScreenHunter 3814

Bologna, 6 settembre 2018 – Ridurre gli esami inutili e valutare correttamente l’efficacia delle cure per gli oltre 7.000 italiani che ogni anno sono colpiti da un tumore della prostata metastatico. Sono questi i due principali obiettivi della Consensus Conference sul monitoraggio del carcinoma prostatico avanzato che si apre oggi a Bologna. L’evento è ideato, realizzato e promosso dalla Società Italiana di Urologia Oncologica (SIUrO) e vede la partecipazione di oltre 100 specialisti da tutta la Penisola. Per la prima volta nel nostro Paese si vuole arrivare ad un documento che stabilisca regole precise per il monitoraggio dei pazienti afflitti dalle forme più gravi della neoplasia. “Attualmente non esiste un programma condiviso che sia valido su tutto il territorio nazionale – afferma il dott. Alberto Lapini, Presidente Nazionale SIUrO -. Spetta al singolo centro stabilire i controlli da svolgere dopo la diagnosi della malattia. Può quindi succedere che alcuni italiani siano sottoposti ad un numero eccessivo di esami mentre altri pazienti non vengano sufficientemente monitorati. Spesso capita che alcuni test, particolarmente complessi e magari superflui, siano pagati dallo stesso malato. Vogliamo quindi razionalizzare e uniformare la pratica clinica per poter così ridurre gli esami superflui. Questo porterebbe anche a notevoli risparmi economici sia per il singolo paziente che per l’intero sistema sanitario nazionale”. In totale sono circa 500mila gli italiani che vivono con un tumore della prostata. I costi per le diagnosi, i trattamenti e il follow-up a cinque anni per ogni singolo paziente ammontano a circa 10mila euro l’anno per un totale di oltre 420 milioni. “E’ in assoluto la neoplasia più diffusa tra gli uomini italiani e perciò è ancora più importante riuscire ad evitare gli sprechi – aggiunge il dott. Giario Conti, Segretario Nazionale SIUrO -. Possiamo inoltre ottenere risultati migliori per quanto riguarda il cancro alla prostata resistente a castrazione (o CRPC). In quelle nazioni, come per esempio la Francia, in cui sono attivi precisi protocolli di monitoraggio si riscontra, infatti, una maggiore sopravvivenza. Il carcinoma prostatico è una patologia particolarmente “furba” perché riesce a mettere in atto dei sistemi di difesa che contrastano l’efficacia delle terapie. Oggi abbiamo a disposizione trattamenti che permettono a oltre il 90% dei pazienti di sconfiggere il tumore. Ciò nonostante ogni anno dobbiamo registrare anche 7.000 decessi soprattutto tra i più anziani. Per garantire al paziente una migliore risposta ai trattamenti, anche in caso di malattia avanzata, è necessario un monitoraggio accurato e dettagliato”. “Nonostante i grandi progressi della ricerca medico-scientifica il monitoraggio del tumore della prostata avanzato rimane una “zona oscura” che non viene ancora affrontata in nessuna linea guida – sottolinea il dott. Orazio Caffo, Consigliere Nazionale SIUrO -. Uno dei motivi di questa grave lacuna è che è sempre stato difficile mettere d’accordo i vari specialisti che si occupano della neoplasia. La nostra Società Scientifica ha la multidisciplinarietà nel suo DNA e riunisce al suo interno oncologi medici, urologi e oncologi radioterapisti. Proprio per questo motivo vogliamo essere i primi promotori di una svolta positiva sia per i clinici che per i pazienti”. Alla Consensus di Bologna oltre alla SIUrO aderiscono anche le altre sei Società che fanno parte del TMD (Team Multidisciplinare Uro-Oncologico): AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), AIRB (Società Italiana di Radiobiologia), AIRO (Associazione Italiana di Radioterapia e Oncologia Clinica), AURO (Associazione Urologi Italiani), CIPOMO (Collegio Italiano Primari Oncologi Medici Ospedalieri) e SIU (Società Italiana di Urologia).

Nel nostro Paese ogni anno si registrano oltre 34.800 nuovi casi di cancro della prostata. Rappresentano il 20% di tutte le neoplasie diagnosticate dopo i 50 anni. “E’ una patologia che ha numeri importanti e che rappresenta un ottimo esempio dei vantaggi che si possono ottenere dalla gestione multidisciplinare e multiprofessionale dei tumori urologici – conclude il dott. Rolando M. D’Angelillo, Consigliere Nazionale SIUrO -. Se un paziente viene assistito da un team al cui interno lavorano e collaborano diversi specialisti, vengono ottimizzati l’appropriatezza diagnostica e terapeutica-osservazionale, l’accesso alle cure disponibili così come l’utilizzo delle risorse disponibili. Infine si riscontano anche miglioramenti sia nella qualità di vita del malato che nell’adesione alle terapie. Nei prossimi mesi organizzeremo una serie di incontri in cinque regioni italiane con i rappresentati delle istituzioni sanitarie locali e del personale medico. L’obiettivo finale è avviare un confronto e valutare se il modello proposto dal TMD può essere applicato e reso operativo sui vari territori. Sarà l’occasione per mettere a fuoco le principali criticità organizzative che caratterizzano le realtà locali e individuare i margini di miglioramento”.

PHOTO-2018-09-06-13-11-30

TUMORI: “IN ITALIA +15% DI GUARIGIONI FRA GLI UOMINI IN 20 ANNI “

Associazione Italiana di Oncologia Medica  ha realizzato il libro “Terapie mirate 100 domande 100 risposte”

ScreenHunter 3721

La pubblicazione è presentata in un incontro con i giornalisti ieri a Milano e disponibile sul sito www.aiom.it e distribuito in tutti i reparti di Oncologia. “Siamo di fronte a molecole innovative che hanno aperto un ‘nuovo mondo’ non solo in termini di efficacia e attività, ma anche di qualità di vita per la bassa tossicità e la facile maneggevolezza – afferma Stefania Gori, Presidente nazionale AIOM e Direttore dipartimento oncologico, IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria-Negrar -. Le terapie mirate oggi non sono più ‘chiuse’ nei laboratori ma disponibili per curare i pazienti, sono cioè parte della realtà clinica di ogni giorno. La loro funzione è di ‘disturbare’ la crescita e la proliferazione delle cellule tumorali, bloccando questi processi o rallentandoli. È come se i farmaci a bersaglio molecolare accendessero la luce rossa di un semaforo e le cellule malate non riuscissero più a proseguire lungo la strada della crescita. Ne consegue che il tumore e le metastasi, in alcuni casi, possono ridursi di dimensione e, in altri, anche mantenendo la stessa grandezza, rallentano o arrestano completamente la loro crescita. Le terapie mirate rappresentano uno dei più importanti strumenti dell’oncologia di precisione: la cura non è più scelta solo in base alla sede di sviluppo della neoplasia, ma anche in relazione alle sue caratteristiche biologiche”. Questi trattamenti infatti sono efficaci in alcuni sottogruppi di tumori che presentano specifiche alterazioni molecolari. “Questi diversi segni distintivi si possono immaginare come le ‘impronte digitali’ delle cellule tumorali – spiega Gabriella Farina, Direttore Dipartimento Oncologia ASST all’Ospedale Fatebenefratelli Sacco di Milano e membro CdA di Fondazione AIOM -. Queste alterazioni sono dette anche biomarcatori (marcatori biologici) e sono individuate con alcuni test che permettono di selezionare i pazienti in grado di rispondere alle terapie mirate”. “Il vantaggio principale delle target therapy è l’azione selettiva che le rende potenzialmente più efficaci e meno tossiche – sottolinea la Presidente Gori -. Inoltre, possono essere utilizzate con la chemioterapia e la radioterapia. Molte molecole si presentano sotto forma di compresse e sono assunte per bocca, un grande beneficio per i malati e per le loro famiglie perché permette di ridurre i disagi, i tempi di ricovero e le giornate in day-hospital”. “Grandi vantaggi che possono essere garantiti anche da una ‘attenzione costante’ agli effetti collaterali – spiega Fabrizio Nicolis -. Gli effetti collaterali devono essere conosciuti dagli oncologi e ri-conosciuti quanto più precocemente possibile quando si manifestano al fine di assicurarne una gestione ottimale. Anche i pazienti devono esserne informati: ecco perché Fondazione AIOM da anni sviluppa il progetto dei Quaderni informativi per i pazienti oncologici, disponibili nel sito di Fondazione AIOM”. “

Fondazione Poliambulanza eccellenza nella cardiochirurgia

ScreenHunter 3387

Brescia, 17 luglio 2018 –  Nell’Istituto Ospedaliero bresciano oltre il 20% dei pazienti operati al cuore è costituito da ultraottantenni: erano solo il 2% del 1997 (+775%). L’incremento è reso possibile dall’assoluto livello di eccellenza del dipartimento cardiovascolare della struttura sanitaria. A conferma della qualità dell’assistenza ci sono i dati ufficiali Agenas: l’ente di monitoraggio del servizio sanitario nazionale. Gli interventi di plastica riparativa o di sostituzione di valvole cardiache hanno, in Poliambulanza, un rischio di mortalità a 30 giorni dello 0,3%, contro il 2,7% a livello nazionale. E’ quanto annunciano con orgoglio gli specialisti di Poliambulanza, ospedale divenuto punto di riferimento nazionale per i pazienti oltre i 65 anni che in Italia, nel 10% dei casi, presenta malattia della valvola aortica o mitralica. “La nostra cardiochirurgia è sicuramente tra le migliori – osserva il dott. Giovanni Troise, Direttore dell’Unità Operativa di Cardiochirurgia di Fondazione Poliambulanza -. Riusciamo, infatti, a garantire a tutti i pazienti l’uso di tecniche d’avanguardia che consentono di operare in massima sicurezza anche gli ultraottantenni. I tempi di recupero post-intervento sono ridotti e le percentuali di successo delle operazioni in costante aumento. Il segreto del successo è nell’impiego sempre più diffuso delle nuove tecnologie e nella capacità di lavorare in team.” Proprio con questa finalità, il prof. Troise è stato promotore della costituzione del GTTV (Gruppo di lavoro per il Trattamento Transcatetere delle Valvulopatie), un “heart team” costituito da vari professionisti (cardiologi, cardiochirurghi, cardiorianimatori) che settimanalmente si riuniscono per discutere i casi di pazienti più complessi, per età e patologie associate, identificando la strategia terapeutica più idonea. La chirurgia delle valvole aortica e mitralica può essere effettuata con modalità operatorie convenzionali, ma con approcci meno invasivi (incisione di 6-7 centimetri invece dei 20 canonici della chirurgia tradizionale). Vengono in aiuto a questo scopo, nuove tecnologie come ad esempio le protesi aortiche “sutureless” (senza suture), che permettono una riduzione significativa dei tempi operatori. “In presenza di rischi operatori più elevati pratichiamo procedure alternative alla chirurgia convenzionale – aggiunge il prof. Giovanni Troise -. Per la stenosi aortica dell’anziano esiste la TAVI (Transcatheter Aortic Valve Implantation), con cui è possibile impiantare una protesi aortica biologica accedendo da un’arteria periferica (anche a paziente sveglio) o da un piccolo taglio laterale del torace. Per l’insufficienza mitralica, abbiamo a disposizione procedure come la “Mitraclip” (correzione con approccio dalla regione inquinale) o le “Neochord” (impianto di corde artificiali di goretex dall’apice cardiaco, a cuore battente). Bisogna precisare che, quando fattibile, la chirurgia convenzionale è quella che garantisce ancora oggi i migliori risultati ma, a beneficiare di queste nuove tecniche meno mininvasive, sono proprio quei pazienti che, per età avanzata e condizioni generali molto compromesse, presentano un profilo di rischio chirurgico particolarmente elevato. Il caso più eclatante è quello di un paziente di 94 anni in buona forma psico-fisica, che era già stato operato d’urgenza al cuore nel 2011 per una grave malattia alle coronarie e che abbiamo rioperato con successo per una stenosi aortica severa”.

Trapianto capelli, attenzione alle offerte low cost

A lanciare l’allarme è Giampiero Girolomoni, ordinario di Dermatologia e venereologia all’Università di Verona, durante il 93.esimo Congresso della Sidemast (Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse)

ScreenHunter 1960

Verona, 28 maggio 2018 –  “L’anno scorso nel nostro paese oltre 5mila persone si sono sottoposte a un trapianto di capelli. Ma si stima che anche alcune migliaia siano coloro che si sono affidati a strutture non specializzate e poco professionali che operano prevalentemente all’estero. A noi arrivano molte complicanze come infezioni da curare per lungo tempo o cicatrici diffuse contro cui poco si può fare.” A lanciare l’allarme è il professor Giampiero Girolomoni, Ordinario di Dermatologia e venereologia all’Università di Verona. La nuova Mecca dei calvi è Istanbul. Nella città turca ci sono una miriade di cliniche (se ne stimano circa 300) che offrono un trapianto di capelli a meno di 3mila euro, la metà di quanto richiesto da un intervento eseguito professionalmente da medici in Italia. E il loro numero, visto la massiccia e crescente richiesta di trapianti a basso costo in Italia e nel resto d’Europa, è in continuo aumento. Altre mete, talvolta offerte da pubblicità su emittenti private, giornali o siti internet offrono trapianti low cost in Grecia e Albania. “Negli ultimi 10 anni il numero di pazienti che richiedeva un trapianto di capelli era molto superiore al numero di chirurghi che potessero soddisfare tale richiesta – spiega il prof. Piero Rosati, chirurgo da più di 30 anni, medico esperto in questi interventi, docente presso l’Università di Ferrara -. Così molti medici non qualificati si sono buttati in questa attività, spesso però senza avere competenze chirurgiche, strutture sanitarie e personale adeguati. E lo hanno fatto rispolverando una vecchia tecnica, alla quale è stato dato un nuovo nome, chiamata FUE. I capelli vengono letteralmente ‘strappati’ dalla nuca con appositi strumenti e impiantati nelle aree diradate, possono praticarla anche medici debuttanti nell’autotrapianto di capelli, costa meno di altre tecniche più avanzate, come la FUT. Questo intervento presenta molti fattori negativi, come miriadi di piccole cicatrici che determinano una importante fibrosi del cuoio capelluto con aspetto ‘a scolapasta’ e con un effetto fortemente negativo sia sui capelli trapiantati che su quelli ancora presenti nella zona donatrice e ricevente. Inoltre, negli ultimi anni si osservano sempre più pazienti che – a distanza di anche meno di 2 anni con tecnica FUE – lamentano caduta di capelli trapiantati oltre che un grave depauperamento dell’area donatrice. E’ quindi una tecnica che, oltre ad essere per molti aspetti obsoleta, presenta diversi fattori negativi. Ecco perché il gold standard delle tecniche di autotrapianto resta la FUT come ribadito da diversi articoli scientifici americani – aggiunge il prof. Rosati -. Un altro problema è il fatto che sempre più pazienti lamentano evidenti cicatrici frutto di prelievi multipli sulla stessa zona, visibili anche con i capelli corti. Purtroppo la tecnica FUE, prelevando i capelli con una metodica a strappo, li traumatizza notevolmente determinando più basse percentuali di attecchimento e ricrescita”.